Eventi

La psicoanalisi torna alle origini – Risponde il Segretario Scientifico della SPI, Tiziana Bastianini

24/02/14

Tre domande per il Congresso SPI

La psicoanalisi torna alle origini

Intervista a cura di Stefania Nicasi 

Risponde il Segretario Scientifico della SPI, Tiziana Bastianini 

Da quale idea nasce questo Congresso?
 
Approfondire il tema delle origini dell’esperienza psichica ci conduce necessariamente a riflettere sulla formazione delle strutture psichiche, fondamentale crocevia teorico per il confronto tra concezioni dello psichico portate in campo nelle diverse teorizzazioni psicoanalitiche. Contemporaneamente, il tema è terreno di dialogo con altri saperi disciplinari al fine di approfondire e delineare una teoria del funzionamento psichico in grado di produrre una descrizione delle origini dei processi psichici tenendo conto delle numerose acquisizioni e sviluppi delle scienze in questo  ambito.

La psicoanalisi ha del resto attribuito nel corso del  tempo un crescente interesse allo studio dei processi che presiedono il modellamento delle funzioni psichiche e dello sviluppo del senso di sé attraverso gli scambi, le connessioni, i legami nella relazione tra il bambino e l’ambiente di cure, tra il sé e l’altro. Le domande cui gli psicoanalisti hanno tentato di dare risposta sembrano essere: come giungiamo a fare esperienza di noi stessi come soggetti psichici, iniziatori di scambi intersoggettivi, e a costituire la consapevolezza di essere gli autori di quanto facciamo, desideriamo, creiamo e fantastichiamo? Quali sono le condizioni in cui l’incontro con l’altro può favorire oppure impedire esperienze affettivo – sensoriali di interesse, piacere per l’intimità, desiderio, creatività, alla base di un pieno sviluppo della soggettività? In altri termini: in che modo si costruisce il senso della nostra realtà  psichica? In che modo diventiamo soggetti?

Il dialogo fra psicoanalisti e studiosi di campi confinanti ci ha consentito, ad esempio attraverso gli studi sull’osservazione del bambino e delle sue interrelazioni precoci con l’ambiente,  un’ ampia  conferma della presenza di competenze precoci (affettive, cognitive,  relazionali). Il bambino si pone subito come un essere sociale: il bisogno primario del neonato è di entrare in relazione con l’altro.  L’essere umano sembra, dunque, fin dalle sue origini, necessitato al dialogo interpsichico ed intersoggettivo, all’incontro con l’alterità.  Per comprendere come la questione dell’intersoggettività  sia posta sin dalla fondazione della teoria psicoanalitica come una delle condizioni della vita psichica,  dobbiamo cogliere in filigrana quanto avvenuto  nell’evoluzione della teoria psicoanalitica. In essa ha trovato importanza crescente una concezione dell’affetto come costrutto motivazionale centrale della vita psichica soggettiva ed intersoggettiva.
Porre gli affetti al centro dello sviluppo psichico ha significato quindi riconsiderare, in una prospettiva    più ampia, il legame e la relazione con l’oggetto, ma anche riconsiderare la centralità del Sè corporeo che con gli elementi  di base della sincronizzazione, la cinetica, la distanza, la vicinanza, influenzerà successivamente anche il linguaggio nella sua dimensione simbolica, quale  substrato della vita affettiva (forse il più precoce registro poetico della vita umana). Tali scambi e condivisioni affettive, fondati anche, su dispositivi neurofisiologici, rappresentano l’esperienza corporea duale precoce, un’intercorporeità, che precede l’uso della parola ed è alla base del successivo pensiero simbolico e metaforico.

Gli elementi fondamentali che stanno alla base di una riflessione sulle origini dell’esperienza psichica  sono quindi costituiti dal corpo, dall’altro, dalla fantasia e dall’esperienza emozionale. Una possibilità di riattraversare  il rapporto natura-cultura in un’ottica che contenga una prospettiva psicoanalitica ampia , in grado di dialogare con i campi del sapere limitrofi. Se con Freud il radicamento dello psichico nel corporeo è la matrice fondamentale di ogni  funzione psichica, con i  successivi sviluppi del pensiero psicoanalitico, Klein, Winnicott, Bion, Fairbairn, solo per citarne alcuni, grande importanza  assumono gli elementi  che delineano la nascita di un soggetto entro la matrice delle relazioni reali ed immaginarie che consentono la capacità di elaborare le tensioni del corpo, di  produrre  pensieri in grado di contenere stati affettivi. Funzioni indispensabili per giungere alla creazione di una realtà simbolica. Le teorie  della mente che sottolineano l’importanza dell’esperienza dell’essere in relazione a partire dai primi momenti della vita nel senso di  un  bioniano “apprendere dall’esperienza”, rappresentano un apprendimento affettivo  intimamente connesso nell’ impronta concettuale al Freud dei “ Due principi dell’accadere psichico”. In tal senso diviene centrale il tema  “dell’attenzione e della notazione”, al fine di poter percepire le qualità psichiche dell’altro. Un’esperienza emotiva di sé,  mantenuta e conservata come traccia, ancora non pensata, ma utile per le comprensioni future, in quanto andrà a costituire un primo sistema di memoria affettiva che oggi in alcune teorizzazioni è definita  come memoria implicita o conoscenza relazionale implicita: “La struttura dell’io non è dunque una forma di memoria e la sua struttura testimonianza della logica della sua formazione?” (Bollas)

Come si può riflettere sull’origine della propria esperienza in una società dominata dalla esteriorità?
Proverò ad affrontare questa domanda da una prospettiva diversa. Mi sembra che il dominio dell’esteriorità contenga un tentativo del soggetto di provare a radicarsi in contenitori effimeri che illudono di poter contrastare l’infragilimento  identitario attraverso la negazione del rapporto con la propria interiorità con le forme di dipendenza a essa associate. Ho definito questo aspetto, lo dirò sinteticamente, rimandando ad altre occasioni l’approfondimento, un resistere al materno. Dovremmo infatti chiederci  se ad “evaporare” non sia proprio il materno e la madre e non  solo quel  Padre  la cui evocazione, così come prevalentemente viene posta,  sembra  contenere ancora  elementi di cultura patriarcale, mai chiaramente esplicitati e analizzati sino in fondo. Afferma a tale proposito Winnicott: “l’accettazione della dipendenza assoluta e poi relativa è davvero molto difficile, poiché riguarda l’uomo e la donna reali”. E prosegue:  “Donna è la madre ai primi stadi della vita di tutti gli uomini e di tutte le donne, e della quale non si ha consapevolezza”.
Credo che tutti noi possiamo osservare  quanto la sofferenza attuale  origini da sentimenti di vuoto esistenziale e inautenticità affettiva, dalla difficoltà a generare e attribuire significati all’esperienza soggettiva. Frammenti di esperienza spesso privi di riferimento e di senso si accompagnano alla fatua  proliferazione di immagini, messaggi, prodotti disseminati nella spazio psichico, in una superficie da consumare velocemente, quasi bulimicamente direi. Tutto ciò comporta una frattura radicale nel nostro senso soggettivo della realtà stessa che rende  la rappresentazione della identità di sé  costitutivamente fragile.
I nostri pazienti soffrono di un’ incapacità di amare, di una difficoltà a costruire e mantenere legami intimi e duraturi , talvolta essi segnalano un fondo di angoscia apparentemente priva di significato.
Sembra che la base narcisistica, il sentimento di sé  che fonda la soggettività e, di conseguenza   il senso del proprio valore, abbia subito un duro scacco. L’armonia di un solido senso della propria soggettività  che tiene in equilibrio l’economia psichica dell’individuo, sembra aver lasciato il posto ad un senso di costane minaccia traumatica costituito dal timore “dell’altro” e dalle ineludibili richieste della realtà esterna.

Questo delicato equilibrio in costante oscillazione sembra mostrare dei segni di frattura. Le difese narcisistiche del sé  e le relazioni oggettuali narcisistiche a esse collegate hanno la funzione di preservare la struttura psichica dal dolore mentale non pensabile.
In una condizione fallimentare, l’essere umano sperimenta che la propria soggettività è esperibile solo a patto di escludere l’altro intrusivo, che il legame può essere vissuto solo attraverso la resa passiva all’oggetto. Una dipendenza sprovveduta e fuori controllo che rende ogni legame intimo e profondo una oscura minaccia da rifuggire. In questo spazio si colloca anche l’esperienza analitica.

Allora, forse  è necessario prendere atto che l’organizzazione narcisistica – con la quale l’analista può trovare a misurarsi – costituisce di alcune forme di esistenza l’unico esito possibile: una trasformazione evolutiva che  Green  proponeva con queste parole: “quando gli oggetti sono stati precocemente delusivi, al soggetto non rimane che contare sulle risorse della fiducia  illusoria  che egli pone per compensazione nella propria onnipotenza”( Green 1979 ).  Ciò che è fondamentale in questa prospettiva è il comprendere che l’organizzazione narcisistica non è  fondata tanto su un rifiuto onnipotente della dipendenza quanto sulla mancanza di oggetti  affidabili da cui potere dipendere.

Come si configura oggi il rapporto fra esperienze precoci e patologie mentali?

Le vicissitudini della soggettivazione,  il divenire soggetti , poggia sulla “radicale creatività della Psiche” e sulla “necessità assoluta dell’altro”. Questa relazione tra gli elementi idiomatici e le qualità dell’accudimento, dà luogo a una relazione  in cui si sviluppa la soggettività dell’essere umano. La teoria psicoanalitica dello sviluppo ha dato corso a diverse metafore: contenimento, holding, riconoscimento, sintonizzazione affettiva, ne sono le principali espressioni.

Dobbiamo prendere in considerazioni causalità complesse e non lineari, in cui il divenire soggetti  fa riferimento a un processo di trasformazioni psichiche messe in forma nell’arco di tutta l’esistenza, secondo traiettorie  che si costituiscono per gran parte sul piano inconscio.

Il modello psicoanalitico è unico nel proporre una teoria dello sviluppo (dei legami precoci)  che è ormai solidamente confermata dall’evidenza.Esso ci consente pertanto di comprendere la relazione tra esperienze precoci, eredità genetica e psicopatologia dell’adulto. Questa cornice evolutiva ci consente inoltre di comprendere sempre di più e meglio e di comprendere quanto intervenire precocemente, penso alla Psicoanalisi dell’Infanzia e della Adolescenza, sia cruciale per contrastare rischi di incistamenti psichici che impediscono possibilità di crescita emozionale e condannano a forme di esistenza mancanti.

21 febbraio 2014

LEGGI ANCHE :

Dove va la psicoanalisi ? – Risponde il Presidente  della SPI Antonino Ferro

Dove va la SPI? – Risponde il Vice Presidente della SPI Cono Aldo Barnà

La psicoanalisi è per i giovani? – Risponde il Segretario dell’Istituto Nazionale del Training, Anna Ferruta

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

Le "trans-identificazioni" e il trattamento psicoanalitico nelle non-conformità di genere. Luca Bruno

Leggi tutto

XVI Colloquio Italo-Francese “Declinazioni del perturbante” Napoli, 10 e 11 giugno 2023. Report di M. M. Ligozzi

Leggi tutto