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14-16 marzo 2014, ISEO, Discorsi delle arti, discorsi della psicoanalisi

9/04/14

“DISCORSI DELLE ARTI, DISCORSI DELLA PSICOANALISI” –
Il convegno residenziale dell’Associazione Culturale Tristitropici ad Iseo (BS), 14-16 marzo

Facendo seguito al felice convegno residenziale dell’ottobre 2009, di cui erano stati pubblicati gli atti nel libro Sogno o son’ desto (Milano, 2012), Graziano De Giorgio ci ha dato ulteriore prova della sua grande capacità di organizzare un evento psicoanalitico di rilievo, non solo sul piano scientifico e culturale, ma anche su quello umano. In realtà, si è trattato di una due giorni di relazioni ed incontri, di eventi culturali e di stimoli tale da far desiderare ai 150 partecipanti di non dovere tornare al lavoro il lunedì, ma di potersi trattenere sul Lago di Iseo – e godere il primo sole spuntato proprio a metà marzo nel bel parco dell’Iseolago Hotel, che ha ospitato la manifestazione.
In realtà, già venerdì pomeriggio, tra le 16.30 e le 19.30, aveva avuto luogo un Pre-convegno dedicato alla presentazione di cinque lavori inediti di analisti e terapeuti in formazione, i cui lavoro erano stati selezionati da una commissione messa a punto dalla segreteria scientifica del convegno. Per i nomi degli autori e i titoli delle loro relazioni, rinvio il lettore al sito internet dell’Associazione : www.tristitropici.altervista.org. In serata ha avuto luogo invece una lettura di una serie di passaggi del libro di Arnaldo Milanese La conchiglia del Lac d’Isé, un libro denso di memorie e segnato dalla sfida di dare loro una degna rappresentazione letteraria e artistica.
Non meraviglia che sia toccato a Stefano Bolognini – festeggiato anche a Iseo per la sua investitura a Presidente dell’IPA a Praga l’agosto scorso – cercare di introdurre il tema generale dei rapporti tra discorso psicoanalitico e dimensione artistica, cosa che egli ha fatto dal punto di vista de “La mentalità artistica” – come suonava il titolo della sua relazione. Naturalmente lo ha fatto partendo dai suoi pazienti, da una paziente che da bambina disegnava bene, ma che faceva e fa tuttora fatica a fare collegamenti che vadano al di là del binario che sta percorrendo. Del resto è proprio intorno a questo nodo che ruota il problema dell’arte come autentica creazione e come imitazione, un nodo che, nel caso per esempio delle famose “Teste di Modigliani” di Livorno, non fu certo facile da sciogliere ! E che dire della capacità incredibile di muoversi tra processo secondario e processo primario che possiamo attribuire non solo a Freud, ma anche a Bach e a Dante ? Un altro concetto psicoanalitico che si può con profitto applicare all’arte è naturalmente quello di transfert : il Carracci non è artisticamente inferiore al Caravaggio, ma il primo (pittore della perplessità) è su questo piano molto meno attraente del secondo (pittore dannato ed estremo). E’ chiaro che una relazione di questo tipo si lascia difficilmente riassumere e questo proprio perchè proviene direttamente dalla “stanza dell’analista”.
Parlare dopo Bolognini riuscendo a tenere una relazione – diversa, ma – non meno affascinante è un’operazione riuscita molto bene a Cecilia Alvarez, e questo non solo grazie al grande interesse del tema da lei scelto, quanto anche grazie alla profondità della sua esplorazione di esso. In questione era “L’immagine del fratello in Van Gogh e Dalì” : entrambi “figli di sostituzione”, essi andarono però incontro a destini molto diversi, ossia il primo morì a seguito di una ferita da lui stesso procuratasi e il secondo morì vecchio e famoso. Decisivo nel consenso avuto dal suo lavoro è stato il grande spazio dato dalla collega alle lettere di Vincent al fratello Theo nonchè a tutta una serie di immagini pittoriche del powerpoint che ha accompagnato la sua esposizione.
Discorso analogo vale in effetti anche per la terza relatrice della mattinata presieduta da Vanna Berlincioni, ossia per Paola Golinelli : mi riferisco alla serie di incredibili e affascinanti immagini di cui ha corredato la sua relazione “Creatività e patologia in Melancholia di Lars von Trier”. Una delle sfide di un film così erudito e complesso, per rimandi artistici e letterari, era riuscire a coglierli e ad elaborarli, cosa che alla collega di Bologna è riuscito molto bene. Per non parlare della sua analisi della rabbia distruttiva del regista che nel film trova espressione, insieme alla winnicottiana illusione come fonte di ogni relazione.
Dopo una meritata pausa per il caffè ha preso la parola la collega ticinese Rita Anna Manfredi con la relazione “Fotogrammi di eternità. Attrazione verso l’illimitato nel momento dell’attesa”, centrata attorno al molto commovente caso di un paziente diventato fotografo nell’ambito della sua reazione creativa al tumore maligno dal quale era stato colpito. Fotografare per, in qualche modo, fermare il tempo !
Non meraviglia che una mattinata così densa abbia dato vita a più di una mezz’ora di discussione, conclusa da Stefano Bolognini con l’aneddoto di un suo paziente veneziano che era finito nello studio di Virgilio Guidi (1891-1984), in cui aveva trovato più di un centinaio di tele della laguna veneziana con l’Isola di S. Giorgio ! “Non era forse che il paziente, nel transfert, intendesse puntare il dito sull’’analista che troppo spesso si ripete'” ?
Nel pomeriggio è toccato a Marta Capuano aprire la sessione da lei coordinata con “Alcune considerazioni sul ‘narcisismo architettonico’”. Tra i molti esempi citati dalla collega toscana, mi piace ricordare quello del Guggenheim di Bilbao (che ho visitato per la seconda volta l’ottobre scorso), ossia quello di un contenitore diventato più importante del contenuto che ospita. Per non parlare di come Capuano sia riuscita a convincere chi l’ascoltava dell’importanza di questo campo di applicazione della psicoanalisi – che era stato inaugurato, tra gli altri, dal collega tedesco Alexander Mitscherlich (1908-1982) negli anni ‘60. Lo stesso vale per Cosimo Schinaia, che ha presentato il suo ultimo libro Il dentro e il fuori. Psicoanalisi e architettura alla luce del capitolo di esso dedicato alla varietà di lettini e di spazi analitici che mettiamo a disposizione dei nostri pazienti – facendo tesoro dell’antologia pubblicata su questi tema in Germania da Claudia Guderian nel 2004. La prima sessione pomeridiana è stata conclusa da Marco Sarno con la relazione “Architettura e mondo interno : spazio e intimità”, una relazione molto ricca di spunti, inclusa la sua profonda conoscenza di come una serie di progetti architettonici abbia trasformato Berlino in una delle città più interessanti e suggestive del nostro tempo – con la cupola di vetro del Reichstag e il Museo Ebraico di Libeskind.
Dopo una pausa per il caffè, il convegno è proseguito intorno alle 17 con la relazione di Graziano De Giorgio “La voce e il dolore nell’arte e nell’interpretazione”, centrata attorno alla sua ricerca dell’atteggiamento di ascolto più efficace nei confronti di un paziente cinquantenne con un disturbo narcisistico di personalità, incluso il trovarsi a regolare il suo ritmo respiratorio su quello del paziente. Raccogliendo gli stimoli provenienti dalla ricerca di Domenico Chianese sulla dimensione iconica e sensoriale del nostro lavoro e quella di Mauro Mancia (1928-2007) sulla musicalità del transfert, De Giorgio ci ha eloquentemente dimostrato la necessità di dotarci di un “radar psichico” sensibile a queste dimensioni. Detto questo, il campo era libero, ovvero il pubblico pronto, per una relazione incredibilmente sofisticata ed affascinante come quella di Fausto Petrella (presidente SPI 1997-2001), dal titolo “Improvvisazione musicale, improvvisazione analitica”. Da essa abbiamo appreso che Kleist parlava dell’improvvisazione come di “una forma di spontaneità studiata, che riunisce in sé calcolo e grazia” ; e che Rossini valorizzò l’Estetica di Hegel, aumentando la discrezionalità del cantante, ovvero lo spazio di interazione e di collaborazione tra cantante e compositore. Per non parlare della “ricerca dell’aleatorietà” nella musica colta del 1900, come ad esempio nel “Canto del cactus” di Cage. Come l’improvvisazione venga sistematicamente coltivata non solo da noi analisti, ma anche dai musicisti è emerso infine dal bellissimo video portatoci da Petrella, che mostrava Celibidache dirigere la sua orchestra, ai cui elementi aveva chiesto di improvvisare, tenendo per sé solo la determinazione del volume, del forte-piano dei loro strumenti.
Ed è stato proprio con un concerto che la serata di sabato si è conclusa, ovvero con il Recital “Tango y nostalgia” offertoci da Hugo Aisemberg al pianoforte e da Leonardo Sapere al violoncello, con Astor Piazzolla come il compositore più eseguito. Naturalmente, i due musicisti di origine argentina non hanno cominciato subito a suonare, ma lo hanno fatto solo dopo che Cecilia Alvarez si era intrattenuta col pianista – naturalmente non solo sul suo rapporto con la psicoanalisi, ma soprattutto sull’origine e sul significato del Tango, “il linguaggio musicale popolare più interessante della storia contemporanea”.
Altrettanto ricca di stimoli è stata la sessione della domenica mattina aperta dalla relazione di Domenico Chianese (presidente SPI 2001-2005) “Per un’estetica del vivere”. Mostrando una straordinaria capacità di riciclarsi sui mezzi di comunicazione del giorno d’oggi, Chianese ci ha mostrato un video (prodotto da un gruppo di giovani antropologhe) centrato attorno alla “dimensione dei sensi come un ingrediente essenziale dell’esperienza”, ovvero al concetto dell’antropologo Tomasello delle “scene di attenzione condivisa e degli oggetti estetici anteriori allo sviluppo linguistico”. Per non parlare di come gli animali stessi (ad esempio, l’Uccello Giardiniere) abbiano il “sense of beauty” che attribuiva loro Darwin, e il “senso di libertà” che Kant aveva posto alla base della sua estetica. Oppure di come Rilke parlasse della bellezza anche in termini de “l’inizio dello spaventoso”. Proprio da questo aspetto ha preso le mosse la relazione di Giuseppe Civitarese “Il bello terribile. Sul sublime e il conflitto estetico”, tramite la quale egli ha – come Chianese stesso – condiviso col pubblico uno dei frutti più recenti del suo lavoro di ricerca. Questo è di fatto il tema al quale Civitarese è approdato negli ultimi mesi, proseguendo la sua ricerca pluriennale sulle fonti della creatività e dell’opera di Wilfred Bion, e facendola partire questa volta dal trattato Del sublime di Pseudo-Longino, ossia dalla differenza tra “bello classico” e “bello terribile” e dal “piacere del brivido”. E’ così che come ogni forma del bello ci confronta con un enigma, questa enigmaticità è uno dei caratteri di fondo di Bion e della sua opera, un carattere che va al di là della sua personalità e della sua biografia e che affonda le radici in tutta una tradizione artistica e letteraria. E proprio attorno alla tradizione letteraria, in tema di eroi ed antieroi, è risultata centrata la terza relazione di domenica mattina, “Eroi, antieroi, eroi negativi, Narrazioni e modelli del maschile”, tramite la quale Valeria Egidi Morpurgo ci ha messo a parte di tutto il suo lavoro preliminare di ricerca intorno all’attualissimo tema della “società senza più modelli” in cui viviamo. Ma è stato ad una delle pioniere italiane del dialogo della psicoanalisi con letteratura, arte e cinema come Simona Argentieri che è toccato dire l’ultima parola sul tema del convegno, tramite la relazione “L’Io narrante in letteratura e in psicoanalisi”. In effetti, si tratta di un tema così stimolante da continuare a tutt’oggi ad appassionarla e a contribuire ad affinare la sua ammirevole competenza psicoanalitica, pur rimanendo nel solco del polilogismo di Bachtin che già aveva rappresentato un dei temi di fondo de Babele dell’inconscio (pubblicato più di venti anni fa con Jacqueline Amati Mehler e Jorge Canestri). In altre parole : è sulla pluralità dialogica che si fonda il gioco della narrazione.
Ma la fantasia organizzativa e la generosità di Graziano De Giorgio (e di quanti hanno collaborato alla segreteria del convegno) non si sono fermate qui. Il convegno è proseguito nel pomeriggio con la proiezione (aperta a tutta la popolazione) del film del 2010 Una vita tranquilla, con Toni Servillo (nei panni del latitante pluriomicida scappato in Germania), proiezione preceduta da un’”Introduzione al tema : cinema e psicoanalisi“ di Paola Golinelli e seguita da un’intervista di Elisabetta Marchiori a Francesco Di Leva, uno degli attori protagonisti del film.

Marco Conci,
marcoconci@aol.com
Trento, 5 aprile 2014

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