Scene di gruppo per le équipe di cura. A cura di C. Carnevali e V. Sava

Scene di gruppo per le équipe di cura. A cura di C. Carnevali e V. Sava

8/11/23
Eventi


Parole chiave: Psicoanalisi, gruppo, Pichon-Riviere, Bion

Scene di gruppo per le équipe di cura

a cura di C. Carnevali e V. Sava

“Imparare a pensare nemico centrale è lo stereotipo” Pichon-Riviere, 1985*


Il 26 e 27 ottobre 2023 si è svolto a Padova l’evento formativo “Scene di gruppo per le équipe di cura” che ha concluso il piano triennale delle Dipendenze finanziato dalla Regione Veneto di cui l’Ulss 6 Euganea è stata capofila nell’organizzazione degli appuntamenti che hanno coinvolto tutti gli operatori dei Dipartimenti delle Dipendenze dei Servizi Pubblici e del Privato Sociale.

Vito Sava, psicoanalista SPI direttore UOC SerD Alta e Bassa Padovana e Direttore ff del Dipartimento Dipendenze, Patrizia Bricca responsabile UOS SerD Alta Padovana, Barbara Battocchio del SerD di Monselice e Silvia Formentin del Serd di Padova hanno moderato le due giornate. In continuità con i precedenti eventi si è voluto dare spazio alle buone prassi all’interno dei SerD e delle Comunità Terapeutiche con un accompagnamento che ha inteso sottolineare alcuni aspetti della pratica clinica specifica con i gruppi e far circolare un pensiero psicoanalitico.

L’intervento di Cristina Marogna, psicoanalista SPI e Professore Associato dell’Università di Padova, si è incentrato sulle principali dinamiche di gruppo che coinvolgono confini e processi ovvero: appartenenza, coesione, interdipendenza. È stata posta particolare attenzione sull’importanza delle trasformazioni del Campo nelle fasi di vita che ogni gruppo attraversa, quale strumento clinico per la comprensione delle dinamiche nell’Istituzione (Claudio Neri, 2017).

Cinzia Carnevali e Sandra Maestro, psicoanaliste SPI con funzioni di Training della SPI-IPA hanno dialogato su L’approccio analitico gruppale al lavoro nelle Istituzioni, e sulla Psicoanalisi dei Gruppi e Istituzioni: La Manutenzione Multistrato. Hanno guidato i partecipanti attraverso un’esperienza formativa di gruppo: è stato offerto ai presenti sia uno spazio di riflessione sulle teorie legate alla conduzione dei gruppi nelle pratiche cliniche che uno spazio esperienziale sul campo con lo psicodramma analitico, un apparato per rappresentare, un apparatopsichico istituzionale in situazione di sogno.

La sofferenza emotiva, spesso negata soprattutto nel contatto con patologie complesse, porta lontano dal fare un lavoro psicologico profondo e trasformativo. Lo psicodramma diviene allora un apparato per rappresentare, per far evolvere la nostra mente. Gli aspetti emotivi-affettivi sono atti comunicativi che bisogna poter accogliere, attraverso lo sguardo e il gioco. Con le associazioni libere i partecipanti del gruppo in cerchio possono esprimersi spontaneamente e suscitare affetti nell’altro e consentirne la rappresentazione. Gli aspetti emotivi-affettivi sono atti comunicativi che bisogna poter accogliere, attraverso lo sguardo e il gioco. La parola, il gioco e il gruppo sono i tre cardini intorno a cui ruota l’esperienza dello psicodramma psicoanalitico di gruppo. Il gruppo, nella sua possibilità associativa, permette l’elaborazione di esperienze traumatiche e di movimenti pulsionali, “là dove la parola fa difetto”, secondo l’espressione di Kaes (1976), e apre all’inconscio. Lo scenario che ne deriva è la costruzione di uno spazio di figurazione che mette in moto il lavoro del preconscio. Con le associazioni libere i partecipanti del gruppo in cerchio possono esprimersi spontaneamente e suscitare affetti nell’altro e consentirne la rappresentazione.

Si è proposta una prima idea nel lavoro di gruppo con le Istituzioni che potrebbe essere definita “individuo-gruppo-organizzazione”; questa connessione dinamica infatti è alla base di entrambi gli approcci ed è presente come sfondo nella reciproca formulazione teorico applicativa; come afferma Petrella (1981) la dinamica istituzionale vede l’organizzazione come realtà che “va dall’intrapsichico e individuale all’impersonale, collettivo e sociale” (p.50). 

Una seconda idea potrebbe essere definita “cambiamento”, entrambe le modalità infatti si propongono di favorire nelle istituzioni forme di elaborazione simbolica e di cambiamento.

Racamier (1970) parlando di istituzioni propone l’immagine dell’orchestra come modello di istituzione che accorda contributi differenti elaborando una sua musica. Anche nella concezione sociale freudiana dunque vi è il tema dello scontro tra le esigenze sociali, le leggi dell’ordine e del lavoro, e le tendenze pulsionali. E’ a tutti nota la frase di Freud (1929): “l’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza” (pag. 602).

La famiglia, funzionando da serbatoio di energia affettiva e la psicologia sociale, secondo Bleger (1970), possono trovare il loro fondamento nella psicologia dell’organizzazione come agenti di trasformazione, ma anche come fattori che rafforzano l’Istituzione, il che costituisce una resistenza al cambiamento.”

Su questa ipotesi si sviluppano la teoria e la metodologia attraverso la quale Fornari ha affrontato l’indagine del funzionamento istituzionale. Nelle istituzioni di lavoro, secondo Fornari (1987), sarebbero i codici affettivi familiari[1] a orientare la struttura dei gruppi, determinando sia la cultura dell’organizzazione che la specificità dei ruoli. Pochi mesi prima della sua morte Fornari scriveva che: “…i codici affettivi sono le potenze decisionali inconsce che promuovono tutti i progetti di cambiamento. Essi sono infatti preposti alla generazione e allo sviluppo del bambino fino allo stato adulto”. Ma i progetti di cambiamento, anche le rivoluzioni, impazziscono quando i codici affettivi – verità naturali comuni a ogni uomo – vengono alienati e scissi, posti gli uni contro gli altri come potenze straniere nemiche, dai singoli progetti di cambiamento, che si pongono come verità culturali (1987, p. 6).

Ne consegue che per conoscere come funziona un certo gruppo di lavoro è necessario esplorare i codici famigliari inconsci che ne caratterizzano la vita. Riprendendo Jaques sui sistemi sociali come difesa contro l’ansia, Fornari pensa che l’uomo si socializzi e crei la cultura per difendersi dall’angoscia; le istituzioni nascono come difese dall’incesto, dalla morte e dalla follia. Il senso e le finalità dell’intervento psicoanalitico nelle istituzioni sono riassunte così: “La psicoanalisi nelle istituzioni dipende dalla possibilità di elaborare un modello teorico capace di decostruire le diverse e contrastanti, e spesso conflittuali, storicizzazioni culturali dei codici affettivi, per ricostruirle in chiave di competenza comune a ogni uomo, assunta come naturale. Si tratta di una decostruzione in vista di una costruzione del mondo dei valori, in quanto, e solo in quanto, è possibile una loro trasformazione che permetta a tutti di vedere riconosciuta la propria verità assunta in chiave di codici affettivi”. (Fornari, 1987, p. 157).

In Psicoanalisi della guerra (1976) Fornari scrive che quando il singolo individuo si ammala l’azione della psicologia persegue il suo ritorno al benessere mentre, quando le istituzioni soffrono, l’azione di codice lavora per riportare la capacità di cooperazione al suo interno, quando interi popoli si scontrano l’analisi di codice cerca la strada per un’educazione alla pace.

 Sono nati e si sono diffusi altri punti di vista che considerano, invece, centrale pensare l’istituzione come sistema che deve conservare l’esistente ma anche aprirsi al nuovo, pensando che in essa si vive il continuo alternarsi di rotture e di composizioni, di restringimenti e aperture, di esplosioni e assestamenti (Kaes, 1988). In questa prospettiva l’analisi di codice appare essere una buona membrana per filtrare le esperienze personali e quelle sociali e, attraverso la capacita di riorganizzare la speranza, muoversi nella direzione di costruire quella che Fornari ha chiamato “la democrazia degli affetti”.

Jaques E. (1971) per contro parlando delle finalità dell’intervento socioanalitico esprime la possibilità di favorire l’emergere di una organizzazione sufficientemente sana, che aiuti i suoi membri a pensare e creare qualcosa insieme.

Per questo il primo pensiero associativo è andato al Seminario di Padova e alla bella giornata di formazione trascorsa con gli operatori di Dipartimenti delle Dipendenze del Veneto. Teoria e momenti esperienziali si sono bene amalgamati, sia per la struttura data alla giornata dagli organizzatori, sia per la recettività, sensibilità e attitudine dei partecipanti al pensiero psicoanalitico in gruppo.

Nel primo momento esperienziale condotto con la tecnica delle psicodramma gli operatori hanno messo in scena una riunione di equipe in cui è stato “svelato” un evento traumatico subito da un’educatrice da parte di un ospite della comunità terapeutica.  Nella drammatizzazione della scena i diversi punti di vista dei singoli operatori sono stati messi in luce, a partire dal blocco e imbarazzo dell’educatrice, al senso di tradimento degli altri membri dell’equipe dello spirito di gruppo, all’ansia del responsabile di andare troppo oltre nell’esplorazione dei vissuti dell’educatrice varcando i confini della sua intimità. L’equipe rappresentata nella scena ha risuonato nel gruppo allargato alternativamente come un tribunale giudicante o come un gruppo di lavoro alla ricerca di forme di contenimento e accoglienza del disagio degli operatori e degli utenti. Nella discussione è stato possibile ampliare i significati del gesto dell’utente, come un tentativo di oltrepassare i confini tra utenti e operatori, come la ricerca di un seno onnipotente, come una violazione del maschile sul femminile, come colpa e vergogna di non riuscire a mantenere il proprio ruolo professionale rispetto agli utenti e rispetto al resto dell’equipe, come pulsione  libidica che può attraversare il campo . A lato del gruppo, o sullo sfondo, è rimasta in attesa di una risignificazione la figura di un giovane vecchio, alcolista, deteriorato e barcollante, simbolo di deterioramento ma anche oggetto di insofferenza.

Nella discussione del pomeriggio i temi sono stati ripresi e allargati alla luce della metafora del “Multistrato”. Durante i giorni dell’ultima alluvione dell’Emilia Romagna, di notte le persona sentivano un rumore di fondo cupo e minaccioso, dato dalla pioggia che infiltrava il terreno argilloso e che ha poi portato ad uno slittamento di pezzi di collina. Quali legami tra gli strati? Siamo a rischio di un cambiamento catastrofico? Nel corso della discussione si è parlato del sovraccarico degli operatori, la sensazione di non avere tempo a sufficienza, qualcosa di “tossico” impedisce che si crei nel legame una vera intimità. Si può sentire empatia, ma intimità? In quali contesti e con che organizzazione (ambulatorio vs comunità) si possono trovare spazi per il pensiero e per il recupero della giusta distanza nella relazione col paziente? La manutenzione multistrato diventa allora necessaria per proteggere la mente del gruppo da intossicazione e deterioramento e mantenere vivo negli operatori passione e investimento comune.

La molteplicità della stratificazione permette di cogliere un’altra prospettiva molto interessante della funzione dei gruppi nelle patologie dell’addiction, in quel rimando speculare o “isomorfo”, come direbbe Kaës (1992) tra gruppo dei pazienti e gruppo dei curanti: spesso si tratta di gruppi dove l’aspetto dell’“indifferenziato” prevale e dove avvengono comunicazioni senza separatezze. Un’area dove prevalgono aspetti sensoriali, emotivi e affettivi, e che è bene rimangano taciuti mentre vengono condivisi. Qualcosa di questo è stato possibile sperimentarlo anche nell’azione psicodrammatica.

Il gruppo nelle patologie di addiction può essere uno spazio privilegiato perché i suoi si possono sentire parte di un processo in corso di sviluppo.

C’è qualcosa di analogo al processo di allattamento, che non è solo scambio del nutrimento, ma anche una comunicazione favorita da quel piacere che la madre ne trae stimolata in ciò che la posizione stessa del bambino provoca.

L’aspetto sensoriale e fisiologico del nutrimento costituisce anche una prima “ombra”, una prima “idea”, anzi una sensazione, un sentire la possibilità nello stesso oggetto materno, nella stessa esperienza con la madre, di una differenziazione. Lì c’è un terzo, un sentire un ambiente più ampio che non è soltanto la mamma, ma un vissuto, un pre-sentire l’incontro col terzo.

C’è un gruppo e un analista nel gruppo: è la funzione di contenere; l’analista può ‘stare lì, ‘in gruppo’, in attesa, può intervenire, con discrezione, mentre avvengono le interazioni tra i pazienti. C’è il tempo. L’analista del gruppo è consapevole di poter essere oggetto di attenzione da parte dei membri del gruppo per possibile riferimento verso nuovi legami identificatori. Analogamente il gruppo di lavoro: assume la funzione di “contenitore” (Bion, 1962), aiuto a limitare la dispersione, “involucro” (Anzieu, 1985) che limita e significa. Il contatto con i pezzi, in genere evitato perché doloroso e/o sostituito dall’ armonia del sentirsi “sconvolto”, “sedato”, “eccitato”, ecc…, viene mediato dalla funzione terapeutica del gruppo stesso.

McDougall (1982) scriveva che le patologie della dipendenza sono manifestazioni dei conflitti psichici attraverso “atti-sintomi”.

Il paziente dipendente non ha potuto contare sulla presenza di un oggetto transizionale capace di fargli sopportare l’assenza, perché non è stata possibile un’introiezione dell’oggetto.

Questa relazione ambivalente è caratterizzata da un forte bisogno di fusionalità unito a un profondo timore di influenza malefica. Il terapeuta, come “l’altro”, nella relazione, è come Giano bifronte visto da un lato come oggetto buono e salvifico perché idealizzato e dall’altro come maligno e sadico che costringe alla sofferenza.

Depressione e ansia devono essere evacuate: “l’atto sostituisce il lavoro psichico, paralizzando il funzionamento del preconscio (…) il fallimento della rappresentazione va di pari passo con la tendenza all’agire e alla scarica della tensione”. Il paziente dipende narcisisticamente da un oggetto che funge da sostanza vitale, da contenitore di parti e funzioni vitali. Percepire la possibilità della perderlo è intollerabile, per cui il mondo interno del soggetto viene scisso.

La sostanza è quel terzo transizionale dotato di qualità materne capaci di tranquillizzare, contenere, placare. La dipendenza diventa soluzione psicosomatica, piuttosto che psichica, a uno stress psichico conscio e inconscio (McDougall, 2003).

La patologia dell’addiction si configura come una mancanza di regolazione del sé, per cui l’oggetto additivo è un sostituto concreto, corporeo di un regolatore interno. Si tratta di personalità vulnerabili, il cui funzionamento mentale si colloca a livello sensoriale e pre-oggettuale, ove i processi interattivi, mediati dagli affetti, operano in maniera indifferenziata.

Nella presa in carico e nella cura osserviamo l’alternanza di momenti di idealizzazione e momenti di grande rabbia. La seduzione o l’aggressività da parte del paziente possono spingerci ad agire dispositivi di cura inadeguati, se non dannosi. La fatica è mantenere uno stile e una posizione caratterizzati da fermezza e flessibilità è uno degli elementi costitutivi del setting, che coinvolge anche il transfert-controtransfert.

Le esperienze gruppali costituiscono opportunità terapeutiche di grande umanità e delicatezza, che attingono al pensiero e alla clinica psicoanalitica, soprattutto nei Servizi, perché permettono di declinare vicinanze e distanze, di regolare affetti ora troppo caldi ora troppo freddi, in quell’incontro che, come scrive Di Petta (2004) avviene in una “terra-di-nebbia” e richiede la capacità di orientarsi, di sostare, di rischiare. Ogni contatto con questi pazienti infatti, scrive Correale (2013), è come se lasciasse aperta la domanda a ogni operatore e all’equipe nel suo insieme: quanto durerà tutto questo? sarò capace di resistere a questo “attacco” misto di amore e odio, di fatica e di tenerezza, di ripetizione e di novità per tutto il tempo necessario, che spesso dura anni?

* Pichon-Riviere, Il processo gruppale, 1985


[1] In breve i codici elaborati da questo psicoanalista sono: 1) codice materno: rispecchia le caratteristiche della madre e cioè accoglienza, contenimento e nutrimento affettivo 2) codice paterno: è espressione delle caratteristiche del padre e cioè spinta all’autonomia e al rispetto delle regole e delle norme 3) codice dei fratelli: è l’espressione della socialità, della fratellanza, dell’accettazione dell’altro 4) codice del bambino onnipotente: è espressione della libertà e della spontaneità 5) codice della sessualità: è espressione della creatività e della capacità di generare.

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