La Cura

“Annotazioni sul controtransfert” di C. Rocchi

9/12/21
“Annotazioni sul controtransfert” di C. Rocchi

PIPILOTTI RIST, 2021

Abstract: Il controtransfert, i suoi rapporti con il transfert ed i suoi livelli “fenomenico” e di “lavoro psichico”.      

Keywords: Transfert; Controtransfert; Ferenczi; relazioneanalitica; 

“Annotazioni sul controtransfert”

Cristiano Rocchi

Quando due personalità si incontrano si crea una tempesta emotiva. Se fanno abbastanza contatto da essere consapevoli lun dellaltro o anche abbastanza da esserne inconsapevoli, la congiunzione di questi due individui produce uno stato emotivo e il disturbo che ne risulta non necessariamente ha da essere considerato come un miglioramento rispetto a prima nello stato delle cose. Ma visto che si sono incontrati e visto che la tempesta emotiva si è verificata, le due parti in gioco in questa tempesta possono decidere di cavarsela alla meno peggio in un brutto affare. (W.R. BION, 1979, Making the best of a Bad Job).

In una delle (sole) due occasioni in cui nell’opera di Freud viene citato il termine  controtransfert leggiamo: “Insorge nel medico per   l’influsso del paziente sui suoi sentimenti inconsci” (S. Freud, 1910a Le prospettive future della terapia psicoanalitica, p. 200 )

Dalla posizione periferica in cui questo concetto era a lungo stato costretto fin alle soglie degli anni ’50 si è da tempo posto al centro dell’interesse nella maggioranza delle comunità psicoanalitiche; è un argomento di grande attualità anche perché rimanda immediatamente alla rilevanza della partecipazione, conscia ed inconscia, dell’analista ed a quegli aspetti relazionali che costituiscono una cornice della cura.

Parlare di controtransfert implica necessariamente parlare prima di transfert, concetto di cui mi pare importante dare una delle definizioni date da Freud stesso: ‘Sono riedizioni, copie degli impulsi che devono essere risvegliati e resi coscienti durante il progresso dell’analisi, in cui però – e questo è il loro carattere peculiare- a un persona della storia precedente viene sostituita la persona del medico. In altri termini, un gran numero di esperienze psichiche precedenti riprendono vita, non però come stato passato, ma come relazione attuale con la persona del medico. Vi sono traslazioni il cui contenuto non differisce in nulla da quello del modello se si eccettua la sostituzione della persona; queste sono allora, per seguire la metafora, vere e proprie “ristampe” o riedizioni invariate. Altre sono compiute con più arte (…) appoggiandosi su una qualche particolarità reale, abilmente utilizzata, della persona del medico o del suo ambiente. In questo caso non si tratta più di ristampe, ma di rifacimenti’ [S. Freud, 1901, pp. 396 sg., caso di Dora]. Definizione che può essere arricchita con la seguente riflessione, sempre di Freud: ‘…certamente è così; ma non proiettano per così dire nel vuoto, dove non trovano nulla di somigliante; invero si lasciano guidare dalla loro conoscenza dell’inconscio e spostano sull’inconscio delle altre persone l’attenzione che hanno stornato dal proprio’ [ S.Freud,1921,b pp.370 sg.; corsivo mio]. Ed è proprio da questo mio corsivo che partirei per dire che bisogna distinguere: 1) il controtransfert, pur nella sua accezione più ampia che include le teorie dell’analista, le sue interpretazioni, come anche le sue risposte inconsce, da quell’area privata costituita dalla persona dell’analista, come sostiene ad esempio Winnicott; 2) il controtransfert -come fenomeno interpsichico ineludibile che segue il vettore che va dall’analista all’analizzanda/o- dal lavoro controtransferale dell’analista. Come accade per parecchi concetti psicoanalitici anche per questo difatti i due livelli, quello fenomenico e quello “di lavoro”, sono stati confusi. Si potrebbe dire che se il controtransfert dell’analista è quello sforzo mentale lieve ma avvertibile in condizioni di analisi ordinaria e soggetto a turbolenze intense con pazienti difficili o comunque in certe fasi dell’analisi (Winnicott), allora la persona dell’analista è chi svolge questo lavoro. Per adottare una metafora teatrale, si potrebbe dire che la relazione interna fra il controtransfert dell’analista e il suo lavoro controtransferale è la stessa che c’è fra un attore che impersona sul palcoscenico un personaggio, immedesimandosi in lui, che vive intensamente le passioni suscitate dalla scena, e l’autore/regista che, non visto, segue da dietro le quinte la rappresentazione ed eventualmente interviene per introdurre delle modifiche.

Da questo punto di vista si può dire quindi che il controtransfert è uno strumento di lavoro, largamente inconscio, di cui dispone il sé dell’analista mettendosi in gioco, ma non è tutto il suo sè. In questo senso potremmo prendere la seguente asserzione di Bion:

“Controtransfert è un termine tecnico, ma, come spesso succede, il termine tecnico si usura e si trasforma in una specie di moneta consunta che ha perso il suo valore. … A volte gli analisti dicono: <<Quel paziente non mi piace, ma posso fare uso del mio controtransfert>>. In realtà l’analista non può usare il suo controtransfert. Può forse fare uso del fatto che il suo paziente non gli piace, ma questo non è controtransfert.”.

Continuando su questa strada considero che sia un’illusione coltivata per decenni quella che considera il controtransfert una semplice reazione al transfert del paziente, in quanto nel campo analitico si incontrano due soggettività, quella dell’analizzando e quella dello psicoanalista. Queste due soggettività sono in una posizione asimmetrica, il che comporta molte conseguenze, una delle quali, in ordine al concetto che stiamo esaminando, è che sia più facile e sicuramente più comodo individuare ed analizzare il vettore che va dall’analizzando all’analista che viceversa. Mentre di certo risulta più difficile e scomodo rintracciare e seguire il vettore inverso: questa è una delle ragioni per cui il controtransfert è stato a lungo considerato un ostacolo nel processo di rendere conscio l’inconscio, considerato per molti anni l’obiettivo principale della psicoanalisi. Del resto il mito della neutralità analitica adesso per molte ragioni è caduto e con questo l’idea che il controtransfert sia solo una sorta di errore dovuto a quelle “macchie cieche” (vale a dire aree non analizzate nella psiche dell’analista); ma in realtà già  in un lettera datata 7 giugno 1909 e indirizzata a Carl Gustav Jung, lettera nella quale Sigmund Freud illustra ulteriormente i movimenti del controtransfert in riferimento alle dinamiche relative alla giovane Sabina Spielrein, questo viene definito “a blessing in disguise” (in inglese nel testo), espressione idiomatica che indica un evento benefico inaspettato, o tale nonostante le apparenze. Vanno poi  senz’altro a Sándor Ferenczi, per un periodo allievo prediletto di Freud, l’onore e l’onere di aver approfondito il concetto di controtransfert e di averlo fatto diventare oggetto specifico di riflessione analitica. Benjamin Wolstein, analista americano del White Alanson White Institute di New York, non molto conosciuto in Europa, ma autore di due splendidi testi, Transference, del ‘54 e Countertranference, complemento del primo, del ’59, scrive a proposito dell’analista ungherese:

“I suoi tentativi hanno consentito di esplorare quindi la resistenza del paziente come correlato funzionale del controtransfert dell’analista e riconoscere tale interlock [in/con-catenamento, incastro, ingranaggio… ma anche dispositivo di blocco come un salvavita] come una sorgente di impasse tra i due copartecipanti per studiare la loro interazione man mano che si sviluppa nel campo esperienziale della terapia”. (Wolstein,1989, p. 685, tr. mia).

Da Ferenczi, in realtà, hanno preso spunto tutti quegli analisti che dalla fine degli  anni ’40 in poi si sono occupati specificamente del controtransfert (P.Heimann, M.Little, H.Racker, A.Reich, H.Searles, D.Winnicott…) e che continuando ad esplorare le gallerie da lui aperte hanno portato la psicoanalisi attuale ad estendere, proprio grazie anche all’attenzione alle dinamiche controtransferali, la sua applicabilità.

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