La Cura

L’interazione bambino-genitori in psicoterapia: dal genitore fantasmatico al genitore reale presente. Amedeo Falci

30/08/23
L'interazione bambino-genitori in psicoterapia: dal genitore fantasmatico al genitore reale presente. Amedeo Falci

HENRY MOORE

L’INTERAZIONE BAMBINO-GENITORI IN PSICOTERAPIA: DAL GENITORE FANTASMATICO AL GENITORE REALE PRESENTE

A cura di Amedeo Falci

Parole chiave: Psicoanalisi, Interazione Genitore Bambino, Fantasmatico, reverie, Winnicott

Abstract: Tra le vare possibilità di estensione del modello analitico, la terapia congiunta genitore-bambino rappresenta una nuova possibilità di lavoro psicoterapeutico in situazioni in cui è importante il coinvolgimento diretto dei genitori nel contesto dele terapia. L’area clinica è rappresentata da bambini sotto i 5 anni, con patologie del neurosviluppo, con difficoltà nelle interazioni sociali, con iperattività e instabilità attentiva, con difficoltà ascrivibili alle zone più funzionali dello spettro autistico.  L’estensione e la modifica del setting è diretta non tanto e solo all’esplicitazione dei contenuti inconsci, quanto ad una regolazione dei processi relazionali ed emozionali del piccolo con le sue figure di riferimento, attraverso i processi di mentalizzazione offerti dal terapeuta sui vissuti relazionali, sulle emozionalità confuse e irrisolte nell’esperienza comunicativa adulto-bambino. Questa metodologia rende possibile condividere non tanto la logica di interpretazioni di contenuti simbolici, quanto, piuttosto, l’esperienza cognitivo-affettivo-emozionale che si sta vivendo nel qui e ora della seduta, e che tutti i partecipanti dovrebbero esser portati a riconoscere con la propria risonanza.

Nell’ambito della psicoanalisi evolutiva appare importante non solo il valore relazionale dell’incontro tra menti, ma anche il riconoscimento del valore delle cosiddette cure ‘materiali’ del neonato.

Sottolineo l’importanza dell’accudimento concreto, del ruolo decisivo giocato dai gesti, dai contatti fisici, dalla veicolazione corporea, per l’appunto incarnata, delle prime relazioni affettive, di contro all’astrazione disincarnata che nella cultura psicoanalitica si ha delle prime fasi dell’interazione del bambino con la madre — vedasi come esemplare la grande diffusione del concetto di reverie bioniana (1962a, 1962b). È stata ormai riconosciuta, da un ricchissimo apporto di dati neurobiologici, la correlazione epigenetica tra accudimenti materiali, la regolazione delle emozioni e la creazione di legami tra cucciolo e madre (Cozolino, 2006).

Il livello di questi contributi è talmente elevato che le scienze biologiche sembrano rappresentare un punto di vista ineludibile nel proporre alla psicoanalisi decisive evidenze sulle relazioni tra mente e corpo nella creazione delle interazioni significative delle prime fasi della vita, e sulla base neurobiologica delle identificazioni precoci tra madre e bambino (Winnicott, 1951).

Naturalmente è impossibile in questa sede riassumere le estesissime ed importanti acquisizioni della ricerca infantile che supportano una rivalorizzazione psicoanalitica del corpo e della corporeità.

Si può solo accennare fugacemente alla condizione integrata e transmodale, tra funzioni motorie, sensoriali, emozionali, nei primi mesi di vita; alla comprovate sincronizzazioni dell’attività cerebrale di madre e bambino purché l’adulto continui a mantenere lo sguardo sul bambino; agli effetti benefici sulla regolazione affettiva del bambino determinata dal contatto fisico nelle interazioni madre-piccolo; alle capacità  di imitazioni facciali, sin dai primissimi mesi; all’evidenza che da 10 settimane i bambini tendano ad imitare le caratteristiche basilari delle espressioni facciali di gioia e rabbia delle loro madri; alla capacità dei bambini, già a 9 mesi di riprodurre le espressioni emotive delle madri. E molto altro ancora.

Questi, pochissimi dati divulgativi sulla competenza dei bambini a instaurare dialoghi significativi con gli adulti fin dalle primissime fasi, dimostrano, se non altro, la decisiva importanza assunta dalle reciproche semiosi corporee.

Le ricerche sull’extended body (Fuchs & Schlimme, 2009) e sulla simulazione incarnata (embodied simulation) (gruppo di ricerca di Rizzolatti, Università di Parma; v. Rizzolatti, Sinigallia, 2006), dimostrerebbero come tutti i processi alla base della sintonia, della sincronia, della consonanza, dell’imitazione, dell’empatia, della conoscenza interna delle condotte intenzionali e degli stati emozionali altrui, non avrebbero una base primariamente psichica (come nel concetto di reverie), ma sarebbero mediati da dispositivi innati preposti all’attivazione di circuiti mirror o da dispositivi di sintonizzazioni che rappresentano la base per una condivisa predisposizione somatica alla reciprocità — la base neurobiologica di tutta la vasta e differenziata gamma di processi di identificazione di cui parla la psicoanalisi.

 L’osservazione di un’azione nell’altro implica la simulazione della stessa attraverso l’accensione degli stessi circuiti neurali. Ne consegue che la comunicazione emozionale tra due menti è dunque sempre mediata da una ‘condivisione’ del corpo dell’altro.

Tali acquisizioni suggeriscono alcuni importanti cambiamenti paradigmatici. Un primo cambiamento può essere ravvisato nel senso in cui corpo e corporeità, non solo sono più concettualizzabili, ottocentescamente, come la fonte di istinti e pulsioni irrazionali ed arcaici/che, ma piuttosto come sistemi viventi specializzati in complessi dispositivi semiotici per le comunicazioni tra cuccioli ed adulti, essenziali alla sopravvivenza. Un secondo mutamento di paradigma può essere individuato nel diverso valore evolutivo assunto dalla motricità, che non può essere più considerata meramente un’attività di scarica pulsionale, ma come parte di un sistema integrato sensomotorio che garantisce per l’appunto processi di anticipazione e comprensione dell’azione dell’altro simulando una ‘conoscenza’ pre-rappresentazionale inconscia dell’intenzione altrui.

Quello che si può evincere dal vastissimo campo di tali ricerche è che la coppia madre-neonato si regola attraverso dispositivi di accudimento di carattere universale, che consentono tuttavia anche flessibilità diversificate a seconda delle pratiche culturali del contesto. Ad esempio l’interazione diadica faccia a faccia tra madre e bambino è certamente universale, nella cultura occidentale lo sguardo condiviso nella coppia isolata madre e bambino ne è la declinazione più usuale, ma diverse culture assegnano ad una pluralità di caregivers la funzione accogliente e comunicazionale che accompagna la crescita del piccolo, e presumibilmente tali ultimi contesti di accudimento, protratti per centinaia di migliaia di anni (con loro precursori nei primati e nei mammiferi), permettono di spiegare le flessibilità adattive dei bambini a diversi stili relazionali con diversi caregivers (altrimenti non sarebbero, non saremmo, sopravvissuti).

Queste velocissime notazioni ci aiutano a riflettere su quanto la vecchia dicotomia natura/cultura — e quindi l’opposizione binaria interno/esterno — ancora persistente nella psicoanalisi, appaia oggi appartenere ad un paradigma superato dalla concezione di un ben più complesso entanglement natura/cultura. I dati di natura hanno la loro realizzazione attraverso inneschi con specifici ‘organizzatori’ ambientali e culturali, ed essi, a loro volta, non sono semplicemente fattori esterni, ma fattori intrinsecamente predisposti ad attivare le strutture biologiche dell’organismo. Questo cambia tutto.

La centralità della comunicazione corporea nella loro necessaria matrice intersoggettiva sembrerebbe quindi il modello evoluzionistico di default per la formazione evolutiva della mente umana. Sarebbe qui utile, operare una distinzione — spesso obliterata nel linguaggio psicoanalitico — tra intersoggettività (come modello generale dell’interazione tra bambini e adulti, ergo tra adulti conspecifici) e relazionalità che si situerebbe ad un livello più basilare dell’interazione tra piccoli e genitori (Gallese, Migone, Eagle, 2006).

Tale premessa è importante per comprendere il back-ground in cui collocare il ruolo della presenza genitoriale in alcuni contesti terapeutici dell’infanzia.

Scorrendo la gran parte della letteratura sulla psicoterapia analitica infantile, si ha la percezione che lo spazio dedicato al lavoro con i genitori sia stato considerato come secondario o accidentale, a volte quel minimo che basti per una alleanza che sostenga nel lavoro con il figlio.

 Nella storia della  psicoanalisi infantile  la terapia madre-bambino o genitori-bambino, sembra  aver ricevuto formalizzazione a partire da esigenze di  servizi rivolti a un’utenza estesa (Manzano, Palacio-Espasa,  Zilkha, 1999), anche se in essa rimaneva fermo il riferimento al modello tecnico classico centrato sull’interpretazione da parte del terapeuta dei movimenti  inconsci e transferali, tanto del  bambino che del genitore.

Sovente la terapia congiunta genitori-bambino sembra occupare territori collaterali, meno coerenti sul piano teorico-metodologico; condizione che ne fa un’area di sperimentazione non autorizzata rispetto alle procedure tecniche ‘psicoanaliticamente corrette’; in breve esperienze terapeutiche mai del tutto legittimate dal training formativo regolare.

L’attenzione alla genitorialità è invece divenuta campo imprescindibile della competenza scientifica e culturale della psicologia e della psicoanalisi infantile. I mutamenti antropologici e sociali spingono ad una continua riconsiderazione del contributo che madre e padre negoziano tra di loro nella attribuzione di ruoli, funzioni, dal momento che tali ruoli non appaiono più come competenze naturali o di genere, nella consapevolezza attuale che siano invece costrutti ‘dettati’ dai contesti storici, culturali e politici (Mondello, 2001).

 I genitori pur presenti nella stanza di terapia, nelle loro rappresentazioni simboliche nel gioco e nei disegni dei bambini, sia come fantasmi delle relazioni precoci, sia come genitori della triangolazione edipica, possono nondimeno riprendere la loro funzione di essenziali, insostituibili e attivi interlocutori, in presenza, nelle loro interazioni significative con il figlio, anche in alcuni contesti psicoterapeutici.

Le esperienze emozionali, affettive, di legame, nel corso della terapia analitica non sono solo segni di una ripetizione del passato, quanto anche una continua rimodulazione attuale delle emozioni nell’interazione significativa con l’altro, in presenza.

Consentire a genitori e bambini in difficoltà l’esperienza possibile di una comprensione dei propri stati e di quelli dell’altro in risonanza, costituisce l’utile spazio di una estensione della psicoterapia analitica infantile.

In aggiunta ai mutati paradigmi sulle teorie evolutive e sulle concezioni teorico-tecniche della psicoanalisi, inserirei anche l’importante riferimento al costrutto dell’interiorizzazione del sé pensante compreso nell’oggetto contenente (Fonagy & Target, 2001), l’acquisizione della funzione riflessiva e la competenza mentalizzante dell’adulto, elementi teorici che assumono particolare importanza nel presente modello teorico di terapia congiunta.

Il bambino, nei contesti terapeutici in presenza congiunta,  non solo percepisce nella regolazione del genitore l’atteggiamento mentalizzante, cioè un’attenzione fortemente significante e interiorizzante di quanto il bambino sta vivendo, ma in particolare il bambino percepisce la realizzazione nella mente del genitore di una concezione del suo sé di bambino dotato anch’esso di capacità di mentalizzazione, vale a dire della capacità di concepire, a sua volta, desideri, credenze, sentimenti, emozioni nell’altro oltre che in sé stesso.

Dina Vallino ha chiamato consultazione partecipata (Vallino, 2004) il suo modo di accogliere la famiglia che porta il bambino allo psicoanalista.  Ella aveva maturato, all’interno di una sua concezione clinica, supportata dalla pratica della infant observation, la necessità di condividere col genitore la comprensione del problema del figlio, sia pure nell’ottica della consueta psicoterapia individuale. La pratica della consultazione partecipata ha avuto come naturale evoluzione, nel suo lavoro, l’estensione verso un assetto che accogliesse genitori e bambino nella stessa psicoterapia, senza tuttavia cambiamenti del quadro teorico psicoanalitico (Vallino, 2010), pur riconoscendo la necessità metodologica di una definizione della mutata condizione psicoterapica. Lo stesso impianto può essere apprezzato per i bambini autistici nella impostazione della consultazione di Chiara Cattelan (2011).

Il progetto di cui qui parlo, riguarda invece un’estensione ed una modifica della terapia, diretta non tanto all’esplicitazione dei contenuti inconsci, quanto ad una regolazione dei processi relazionali ed emozionali del piccolo con le sue figure di riferimento, attraverso i processi di mentalizzazione offerti dal terapeuta. Il modello parte dalla costatazione clinica per la quale se l’interazione madre-bambino risulta perturbata, per qualsiasi motivo si sia determinata, allora i sentimenti di inadeguatezza della madre produrranno effetti incrementali sulla stessa disregolazione del bambino, sulla coppia genitoriale, sulle regolazioni degli adulti con il figlio, e quindi sul mantenimento o aggravamento della patologia di base.

Il genitore è dunque chiamato a condividere l’attenzione dedicata al figlio nella stanza di terapia perché vi è la consapevolezza che il contributo di un’attività parlante e pensante, di comprensione partecipata e competente, da parte del terapeuta, può essere messa a frutto da genitori e figli nella loro vita intima, con un primo auspicabile vantaggio del contenimento di quegli effetti incrementali cui sopra si è accennato.

Lavorare sui processi di mentalizzazione, sui vissuti relazionali, sulle emozionalità confuse e irrisolte nell’esperienza comunicativa adulto-bambino, rende possibile condividere non tanto la logica di interpretazioni di contenuti simbolici e profondi, quanto, piuttosto, l’esperienza cognitivo-affettivo-emozionale che si sta vivendo nel qui e ora della seduta, e che tutti i partecipanti dovrebbero esser portati a riconoscere con la propria risonanza.

Riguardo all’applicazione clinica, riterrei che sia l’infanzia fino ai 5 anni la fascia più idonea alla proposta degli interventi terapeutici congiunti, in quelle psicopatologie fortemente intrecciate con una disabilitazione delle capacità di contenimento e comprensione da parte di genitori, laddove queste figure vengano valutate potenzialmente funzionali.

Ma una indicazione particolare per interventi congiunti sarebbe nelle patologie del neurosviluppo, nei bambini con difficoltà nelle interazioni sociali, nei bambini con iperattività e instabilità attentiva, e anche nei soggetti che si collocano nelle zone più funzionali dello spettro autistico. 

Nell’accogliere familiari e bambino, si accettano tutte le iniziative di quest’ultimo, anche l’inerzia immobile, anche il suo muoversi agitatamente per la stanza, anche il suo caotico entrare in contatto con persone o oggetti. Si tratta di provare a lavorare sui significati emozionali avvertiti dal terapeuta, edi parteciparli al bambino mentre è in presenza dei suoi genitori.

Mettersi in ascolto del piccolo, sopportando i tentativi che sembrano andare a vuoto, permette di costruire pian piano con le nostre parole, ma anche con i nostri gesti, un possibile trama soggettiva, consentendogli di regolare come può, come vuole, le proposte di vicinanza e condivisione.

Non sappiamo come possano funzionare nel bambino autistico o simil autistico, le proceduralità sub-simboliche e non simboliche (Bucci, 1997). È pensabile che attraverso la terapia si vada realizzando una qualche forma di organizzazione mentale che consenta quelle competenze che comunque alcuni bambini autistici maturano e che a noi paiono così ovvie da non considerare che comunque siano frutto di faticosissima comprensione e di lentissimo apprendimento.

Concluderei questa brevissima nota sintetizzando i vertici essenziali che riteniamo debbano funzionare da guida nel lavoro terapeutico con questi bambini:

  1. Come noi percepiamo e ci relazioniamo con il bambino autistico, o autistic-like, quando risulta assente quella pragmatica corporea semiotica comunicativa.
  2. Come possiamo immaginare che il bambino percepisca noi e i suoi familiari.
  3. Come possono i genitori entrare in una risonanza compartecipativa e identificativa con il/la terapeuta senza sentirsi tagliati fuori dalla relazione che lui/lei ha con il bambino.

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Bion W.R. (1962a), Una teoria del pensiero. In: Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Roma, Armando, 1970.

Bion W.R., (1962b), Apprendere dall’esperienza. Roma, Armando, 1972.

Bucci W. (1997), Psychoanalysis and cognitive science: a multiple code theory. New York, NY: Guilford Press [trad. it. Psicoanalisi e scienza cognitiva. Una teoria del codice multiplo. Fioriti, Roma, 1999.

Cattelan C. e al. (2011), Un bambino, i suoi genitori e una diagnosi. Questioni aperte sull’autismo. In: Busato Barbaglio C., Mondello M.L. (a cura di) Nuovi assetti della psicoterapia psicoanalitica dell’età evolutiva. Borla, Roma.

Cozolino L. (2006), Il cervello sociale, Cortina., Milano, 2008.

Fonagy P., Target M. (2001), Attaccamento e funzione riflessiva. Cortina, Milano

Fuchs T., Schlimme J. E. (2009), Embodiment and Psychopathology: a Phenomenological Perspective. Current Opinion in Psychiatry, 22, pp. 570-575.

Gallese V. Migone P. Eagle M.N. (2006), La simulazione incarnata: i neuroni specchio, le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività ed alcune implicazioni per la psicoanalisi. Psicoterapia e scienze umane, 2006, XL, 3: 543-580.

Manzano J., Palacio Espasa F., Zilkha N., Scenari della genitorialità. La consultazione di genitori-bambino.  Cortina, Milano, 2001.

Mondello M.L. (2011), Con i genitori in psicoterapia infantile. In: Busato C., Mondello M.L (a cura di) Nuovi assetti della psicoterapia. Borla, Roma.

Vallino D. (2004), La Consultazione partecipata: figli e genitori nella stanza d’analisi. Quaderni di psicoterapia infantile n. 48. Borla, Roma.

Vallino D. (2010), Fare psicoanalisi con genitori e bambini. Borla, Roma.

Winnicott D.W. (1951), Transitional objects and transitional phenomena. Int J Psichoanal., 34, 89.

Letto al Centro Psicoanalitico Romano, 5 maggio 2023

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