La Cura

Una goccia nel mare: appunti su un seminario di gruppo. Sandra Maestro

4/10/23
Una goccia nel mare: appunti su un seminario di gruppo. Sandra Maestro

DAMIEN HIRST, 2018

Parole chiave: Psicoanalisi, Gruppo, Bion

Una goccia nel mare: appunti su un seminario di gruppo.

Sandra Maestro

Premessa

Nel suo libro l’Insieme Multistrato Guelfo Margherita suggerisce che lo stesso stato mentale, vissuto dal singolo durante la sessione esperienziale, possa attraversare simultaneamente universi concentrici e presentarsi come odio e rabbia nel soggetto, assunto di base attacco e fuga nel gruppo, conflitto e competizione nella istituzione, guerra e catastrofe nel contesto storico sociale che stiamo vivendo. L’autore parla di sguardo polioculare, come quello della mosca, per poter tenere insieme più punti di vista, o i multistrati della realtà che ci circonda. L’esercizio di questo sguardo può donare maggiore consapevolezza e soggettivazione al singolo, attrezzandolo all’incontro con la componente invisibile/sommersa/inconscia dei propri gruppi di appartenenza, familiari…

Ho ripensato al modello multistrato durante un seminario di gruppo tenutosi all’indomani dell’attentato di Hamas contro lo Stato di Israele. Si tratta di un piccolo gruppo di supervisione clinica integrata da letture teoriche che conduco da molti anni; quel giorno era in programma la prosecuzione della lettura di un seminario di Bion.  

Gruppo al Lavoro

Sono presenti Ado.Je, Oli. Soni. e Simo.

Circola una certa inquietudine, il gruppo parte con un interrogativo   su come sia possibile mantenere il senso di quello che si fa, del quotidiano, dei “micro-eventi della nostra realtà, ”quando siamo immersi in un macro così terribile e devastante;  soprattutto per uno psicoanalista impegnato ad osservare dettagli della realtà interna degli individui come è possibile di fronte all’orrore e al terrore  mantenere curiosità e desiderio  per il proprio campo di osservazione ? Qualcuno si interroga su come possono stare insieme l’interesse per una lattante attaccata al seno della madre, che alterna la suzione del capezzolo a quella del ciuccio tenuto stretto nella manina, con l’angoscia per i 40 bambini uccisi nel Kibutz di Kfar Aza.   

 La prima partecipante, Oli, interviene per dire che quello che teme è di “perdere la lucidità per pensare, anche a cose piccole: la figlia adolescente le ha chiesto il permesso per andare 3 giorni in Sicilia a trovare un ragazzino che ha conosciuto da poco; lei ha forti perplessità perché le famiglie non si conoscono. E poi è molto preoccupata al pensiero di lasciare andare la figlia da sola, di questi tempi

Ado.  ironicamente associa al fatto che in effetti in Sicilia c’è stata una lunga dominazione araba

Oli. Chiarisce che anche lei è di origine siciliana, sa come è gentile e ospitale la gente del luogo. Però la violenza del clima di questi giorni la spaventa.

Sottolineo che l’attacco terrorista sembra andare a sollecitare ansie profonde, che attraversano tutti gli strati della persona, dalla paura di un areo che può cadere per un’incursione bellica, ad una femminilità che può essere violata da un maschile- incursore- sconosciuto. 

Un’altra partecipante, Soni.  ricorda con molta angoscia l’esperienza di un soggiorno di 3 mesi a Londra, quando era ragazza. Abitava in un quartiere piuttosto centrale della città, pieno di emigrati; ricorda il disagio di quando prendeva la metropolitana, sempre a guardarsi in giro come se temesse un’aggressione, ma soprattutto il senso di solitudine, forse anche perché parlava e capiva poco la lingua.

 Oli. dice che è proprio questo che le mette angoscia, il senso di solitudine, i muri e le barriere che privano l’essere umano dello sguardo compassionevole.

Intervengo per sottolineare che in questo momento c’ è un muro che tiene imprigionati 2 milioni di esseri umani, senza cibo, luce ed acqua; ma c’ è anche una solitudine forse altrettanto angosciosa, quando senti che l’altro parla un’altra lingua che non conosci o quando tu parli una lingua che l’altro non comprende ..

Ado. Esprime tutto il suo sconcerto per un rave organizzato proprio al confine della striscia di Gaza, accanto ad una polveriera, come se ci fosse un diniego totale del rischio, o della rabbia che c’è nella popolazione dei territori;

Qualcuno commenta, un rave per la “pace”, sembra una lingua incomprensibile per chi vive confinato nella miseria e nell’oppressione.

Oli racconta che Lunedì mattina aveva fatto una seduta online con una paziente che vive ad Amsterdam, sposata con un Israeliano. La paziente sembrava tranquilla e minimizzava l’accaduto, sebbene il marito avesse buona parte della famiglia di origine nel sud di Israele, a pochi passi dalle zone attaccate. E’ rimasta molto colpita dalla mancanza di ansia o angoscia nella reazione della paziente

Simo ricorda il suo viaggio in Israele di qualche hanno fa; l’amica israeliana che le faceva da guida si stupiva e ironizzava sulla sua paura; a lei è sembrato un atto di scissione e negazione del pericolo; pensa all’odio reciproco tra palestinesi e israeliani, due popoli che vivono in un assunto di base strutturale di attacco e fuga…

Condivido col gruppo che questi ricordi su Israele toccano corde molto profonde della mia persona, le origini ebraiche, un viaggio fatto con i miei cugini, eravamo andati in visita ad un Kibutz molto vicino a quello in cui è avvenuto il massacro. 

Il gruppo si interroga su cosa possa suscitare diniego e scissione, forse la violenza del trauma può paralizzare e bloccare l’emozioni.  Qualcuno parla del trauma dell’olocausto e il suo impatto sulle nuove generazioni; evidentemente la creazione dello Stato di Israele, non è stata una riparazione sufficiente. I confinamenti, (quello di Israele, non riconosciuto come Stato dai Paesi Arabi, ma anche quello del popolo palestinese nei territori) sembrano infiammare i confini identitari, mantenendo a livello gruppale un assetto paranoico e di scissione.

Simo si sente molto sfiduciata e pessimista; ricorda che all’indomani della guerra Russia-Ucraina aveva deciso di andare a fare un po’ di volontariato in un centro di accoglienza per profughi. A un certo punto era arrivata una famiglia russa e la tensione, l’ostilità nei confronti di queste persone era diventata palpabile, molto difficile da gestire. Aggiunge di sentirsi molto angosciata dal ripetersi del trauma, “Siamo di nuovo di fronte ad un grande trauma collettivo” Israeliani e palestinesi due popoli che hanno già subito traumi violenti, ora si accingono a subire un nuovo trauma. Questa coazione a ripetere  la riempie di angoscia e senso di impotenza .

A questo punto propongo di riprendere la lettura del Seminario di Bion, forse ci può aiutare a dare un senso, o un contenimento alle emozioni che circolano nel gruppo.

Qualcuno rimane colpito dal passaggio in cui Bion sostiene che per diventare saggi occorre avere molto tempo libero; e più avanti afferma che se si è molto intelligenti non si può essere saggi: le adunate di Norimberga evidenziavano molta organizzazione e molta intelligenza, ma poca saggezza. 

Soni associa pensando al paradosso di ritrovarsi a rimpiangere i tempi passati, sinistri personaggi della politica italiana sembrano migliori di quelli di oggi.

Qualcun altro sostiene che ogni generazione ha avuto le sue gatte da pelare, in Italia abbiamo avuto il periodo del terrorismo delle Brigate Rosse, degli attentati fascisti ai treni, anche allora non è stato facile.

Un altro partecipante rimane colpito dalla metafora del fiume Alfeo e chiede lumi sul mito…

Nello raccontare il mito mi chiedo se i pensieri e le emozioni del gruppo troveranno una loro via per emergere, come le acque del fiume Alfeo. Aggiungo che il punto sembra essere come ogni generazione riesce a sviluppare le sue difese immunitarie rispetto alla violenza e alla distruttività cancerogena; il gruppo può oscillare tra sviluppo del pensiero, verso “l’edificazione della civiltà” o regredire nell’orda selvaggia, distruttiva e mortifera.  Cito Kaes quando propone come obiettivo della ricerca psicoanalitica” arrivare a dire in che cosa e in quali condizioni un gruppo è l’uno e l’altro e non l’uno o l’altro”.

Nelle ultime battute Soni ricorda il film del Giardino dei limoni; anche Oli ha in mente qualche film, forse romanzi? In uno addirittura si parla di innamoramenti tra palestinesi e israeliani, forse “L’amante” di Yeoshua?

Qualche pensiero  

Come premesso nell’introduzione il gruppo si era riunito per continuare la lettura di testo e discutere di una situazione clinica. Tuttavia i fatti dei giorni precedenti, come onde sismiche con moto inverso-     dall’esterno all’interno – hanno attraversato il gruppo modificandone temporaneamente l’oggetto di lavoro.

Nel 1938 Freud in una intervista rispondeva a chi gli chiedeva se durante l’invasione nazista aveva continuato a vedere i pazienti “No, quando la coscienza è distrutta è difficile mostrare interesse per l’inconscio” Freud era stato costretto a rifugiarsi in Inghilterra per sfuggire alla persecuzione nazista, stava vivendo in prima persona il trauma.

In questo momento per noi occidentali il trauma deriva da quello che scuote le nostre coscienze, dalle paure per un’estensione del conflitto e per alcuni di noi dal rimbalzo della tragedia nelle architetture antiche del trans-generazionale. Malgrado la distanza delle bombe, la metafora del multi strato ci avverte che qualcosa nel nostro interno può crollare, (vedi il senso e la motivazione in ciò che facciamo), o al contrario irrigidire e infiammare i nostri confini identitari rendendoci più violenti e aggressivi nel confronto con l’altro. Nel 1935, Freud scriveva in una lettera a Thomas Mann in occasione del suo 60° compleanno, “posso esprimere l’intima certezza che Lei non farà e non dirà mai cose ignobili o meschine, le parole del poeta sono infatti azioni; anche in tempi e condizioni che rendono incerto il giudizio, Lei saprà trovare la via giusta e saprà indicarla agli altri.”    [1]  

Per gli  psicoanalisti ,come per i poeti, le parole sono lo strumento principe del mestiere e possono quindi diventare azioni .Si può allora sperare che le parole  i pensieri che nascono in   uno sparuto gruppo di psicoanalisti  riunito un sabato mattina, una goccia nel mare appunto,  possano   servire alla causa della pace;  la condizione però è quella   di mantenere alta la guardia nei confronti dell’israeliano e del palestinese interni (o chi per essi)  che continuano ad agitarsi nei fondamentalismi delle nostre radici identitarie.  

Bibliografia

Badawi M.K. (2011) “Being, Thinking, Creating. When War Attacks the Setting and the transference Counter-Attacks”, IJP 92,2 pp 401-409

Bion W (1977) “Seminari Tavistock”, Roma, Borla editore

Kaes R.(1999) “Le teorie psicoanalitiche del gruppo” , Roma, Borla editore

Margherita G (2012) “L’Insieme Multistrato”, Roma, Armando Editore,


[1] Ripreso da una citazione di  Davide  Meghnagi nel suo intervento effettuato nel Giugno 2009, alla Commissione  Parlamentare della Camera sull’indagine conoscitiva sulle violazioni dei Diritti Umani nel mondo.

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