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“Fragili amazzoni” di E. Riva. Recensione di P. Cotrufo

26/07/23
"Fragili amazzoni" di E. Riva. Recensione di P. Cotrufo

Parole chiave: Psicoanalisi, Anoressia, Difese psichiche, Pulsione

Fragili amazzoni. I nuovi disturbi alimentari delle adolescenti

di E. Riva F. Angeli, Milano, 2022

Recensione di P. COTRUFO

Mi viene chiesto di scrivere una recensione dell’ultimo libro di Elena Riva (“Fragili amazzoni. I nuovi disturbi alimentari delle adolescenti”, F. Angeli, Milano, 2022). Accetto volentieri, apprezzo il lavoro di Elena che ben conosco. Devo confessare, tuttavia, che ultimamente la lettura di testi specificatamente clinici mi annoia parecchio, ne leggo pochissimi, ma il volume di Elena cattura e propone diversi spunti di riflessione. Consigliato.

La ricchezza di esempi clinici di questo libro piacerà molto ai lettori e testimonia la grande esperienza clinica dell’autrice. Sono casi molto chiari e ben (de)scritti, ma io mi soffermerò sulle riflessioni cliniche e le proposte nosografiche esplicite e, anche, sulle conseguenze implicite della riflessione clinica che ci propone l’ultimo lavoro di Elena Riva.

Il libro ha il pregio di affrontare la “questione” anoressica da molteplici punti di vista. Oltre alla riflessione sulla società dell’immagine, ai numerosi riferimenti agli effetti della pandemia sull’epidemiologia e le caratteristiche cliniche dei disturbi alimentari, alle dinamiche relazionali interne alla famiglia contemporanea e ai profondi cambiamenti della relazione con il materno e, soprattutto, con il paterno, la Riva fa una riflessione sull’evoluzione che hanno avuto i disturbi alimentari, oggi disturbi della nutrizione (DSM 5, 2014), già nelle varie edizioni del DSM. Ma se la diagnosi la costruiamo sulla presenza di sintomi rubricati in un manuale diagnostico perdiamo qualcosa, è vero. Dunque, Elena si addentra in una formulazione diagnostica non più per presenza/assenza di sintomi – primo fra tutti la restrizione alimentare – ma, direi, per intenzioni. Elena moltiplica le diagnosi, e io credo che, da un certo punto di vista, sia corretto farlo. Il sottotitolo del volume è, per l’appunto, “I nuovi disturbi alimentari delle adolescenti”. A cosa aspira una giovane donna che restringe severamente o, in alternativa, che controlla rigidamente la sua alimentazione? Quali sono i motivi sottostanti per i quali un’anoressica non intende alimentarsi liberamente? Cosa spinge quella persona, e nel libro le persone sono davvero tante, a ricorrere a quel sintomo? La psicoanalisi fa proprio questo, considera il sintomo una formazione di compromesso, una “soluzione”, e non il problema che il clinico intende chirurgicamente eliminare. Noi, ancora, cerchiamo di superare la Sfinge risolvendo l’enigma e non bombardando il mostro.

Con una certa attenzione l’autrice legge il sintomo della restrizione alimentare mettendolo in relazione al contesto culturale più ampio e, a partire da questo, nota quanto nel corso degli ultimi decenni il sintomo del controllo, piuttosto che della restrizione alimentare, sia divenuto “fonte di auto-rassicurazione fine a se stessa, a prescindere dal desiderio di perdere peso” (p. 14). Condivido pienamente la prospettiva di Elena, sebbene personalmente ritenga che forse sia sempre stato così (Cotrufo, 2005; 2022), la perdita di peso è una sorta di ordine di misura del controllo alimentare anoressico. Ma portiamo avanti la prospettiva dell’autrice. “La repulsione nei confronti del cibo-oggetto di desiderio, presente nelle anoressiche ‘classiche’, è sostituita da una vigilanza considerata necessaria, al servizio della buona manutenzione del corpo: saper controllare il desiderio, piuttosto che negarlo, rinforza un Sé sotterraneamente vissuto come infantile e vulnerabile” (p. 19). Dunque gli elementi portanti sono: 1. La fragilità, intesa correttamente nei termini di una vulnerabilità, (quella che nella ricerca empirica è considerata il principale fattore di rischio nello sviluppo e nel mantenimento della patologia, la ineffectiveness); 2. Vigilanza sui desideri del corpo (questa si esprimeva, secondo l’autrice, con la restrizione prima, con il controllo adesso); ergo, 3. Rinforzare il Sé (possiamo anche chiamarlo Io, autostima, self-concept… dipende dai modelli). Sottoscrivo.

Elena Riva ci descrive diversi passaggi della self-starvation nel corso della storia, e li nomina. La novità fondamentale che l’autrice ha notato nella sua esperienza clinica e di ricerca la conduce a differenziare un’anoressia ascetica, quella che descrisse la Selvini Palazzoli, ma che si riferiva alle anoressiche del passato, da un’anoressia più attuale che l’autrice chiama anoressia estetica e che avrebbe iniziato a diffondersi a partire dagli anni ‘60. L’anoressia estetica starebbe lasciando il posto, in questi anni, alle due principali varianti che si riscontrano oggi nell’attività clinica: la vigoressia e la ortoressia. Proverò a definire queste varianti, perfettamente descritte nel testo.

Con anoressia ascetica Elena intende “giovani donne scheletriche ma infaticabili, sfiancate nel corpo e nella mente dal tentativo onnipotente di aderire alle severe prescrizioni di un Super-Io persecutorio che reclama il sacrificio della salute fisica e del benessere psichico in nome di un ascetico ideale di perfezione che mortifica il corpo e i suoi bisogni” (p. 23). In effetti, le anoressiche del passato sembravano voler raggiungere questo “scopo”. Si rifacevano al principio ascetico di natura mistica per il quale l’elevazione dello spirito passa per la sopportazione e la mortificazione delle pretese (sensuali) del corpo. Il riferimento è quello delle sante ascetiche del basso medioevo e delle fanciulle miracolose del tardo medioevo (Vandereycken & van Deth, 1994).

Poi è comparsa l’anoressia estetica. Con questa definizione Elena Riva intende l’anoressia così come l’abbiamo conosciuta noi nella “seconda metà del secolo scorso, l’iperinvestimento del corpo come specchio del Sé sostituisce l’aspirazione ascetica della mortificazione della carne” (p. 27). Tutto sembrerebbe uguale a prima, a parte il motivo che spinge al sintomo. Il diritto femminile di essere forti ed efficienti ha come immagine corporea di riferimento essere asciutte e dinamiche, essere infaticabili, e questo rinfranca l’idea di sé dominata da un profondo senso di inadeguatezza. I riferimenti che Elena fa, oltre agli interessanti casi clinici della sua copiosa esperienza, sono Twiggy e, soprattutto, Lady Diana.

Ma, a partire “dall’inizio del terzo millennio anche il mito della magrezza che ha alimentato l’ideale di un corpo femminile emaciato e scheletrico, ‘libero’ e svuotato di ogni riferimento all’accoglienza materna e alla recettività femminile, volge al tramonto” (p. 30). Negli ultimi due decenni sarebbe comparsa una “nuova estetica” della femminilità, che non si interessa più alla rinuncia e al sacrificio, ma continua ad aspirare all’autonomia e alla performance (oggi sono divenuti dei valori culturali), lo strumento per giungervi sarebbe il controllo, non più il sacrificio. Al mito della magrezza estrema (ereditato dal martirio ascetico dei primi secoli) si sarebbe andato sostituendo il mito della forma fisica, il fitness, il controllo della alimentazione. Secondo Elena Riva tale controllo avrebbe oggi una doppia finalità, se così posso dire.

Da una parte ci sarebbero le vigoressie, quelle forme anoressiche che consistono in una dedizione assoluta alla forma fisica, al dettaglio di un corpo perfetto e performante costruito in una palestra. “Le nuove anoressiche non aspirano più a un corpo svuotato di grasso, muscoli e carne, ma a un corpo snello dalle forme plastiche e dalla muscolatura scolpita, pazientemente costruito attraverso una rigida disciplina che coniuga duro allenamento e calcolo degli introiti alimentari. Il sogno anoressico non s’incarna più nella leggerezza della farfalla, ma nel mix onnipotente di forza e leggerezza dell’atleta, muscolosa ed elastica, esile e forte insieme” (p. 54). La rigida disciplina di cui scrive Elena è, anche nella mia esperienza, centrale per l’equilibrio psichico delle anoressiche, nodo cruciale degli sforzi terapeutici del clinico, punto di forza a sostegno della fragilità strutturale dello psichismo anoressico che, pertanto, viene portato avanti dalle pazienti con estrema ostinazione e intorno al quale si addensano le resistenze alla cura.

Dall’altra sarebbero comparse, in particolare con il lockdown, le ortoressie. Forme di controllo dell’alimentazione che hanno come motivazione (cosciente) la ricerca di prodotti dalle speciali qualità, non raffinati, biologici, equilibrati, sani. Anche in questo caso il riferimento a varie forme di integralismo alimentare è sotto gli occhi di tutti. L’attenzione delle pazienti sarebbe passata dalle quantità di cibo da ridurre alle qualità da controllare. In un certo senso l’ortoressia andrebbe a braccetto con l’attenzione pubblica crescente ai temi dell’ambiente e della sostenibilità ecologica, della salute del pianeta e della salute personale. L’adolescente attivista Greta Thunberg ne sarebbe un riferimento culturale.

Oltre a portare il lettore a riflettere sugli effetti, apparentemente drammatici, del lockdown sulla epidemiologia dei disturbi alimentari, l’autrice ritiene che proprio questi anni avrebbero così tanto spostato l’attenzione alla qualità dei consumi da determinare il diffondersi della forma ortoressica dell’anoressia.

Le fragili amazzoni contemporanee sarebbero dunque le “vestali del mito della perfezione”, il loro obiettivo sarebbe quello di “liberarsi da qualsivoglia dipendenza” (p. 62). I riferimenti mitici di queste adolescenti contemporanee sarebbero Wonder Woman, in equilibrio fra la bellezza estetica e la potenza distruttiva, e Federica Pellegrini, donna forte e bella, sportiva longeva e vincente, con cinque olimpiadi sulle spalle… ma con la fobia del mare.

Condivido con Elena Riva che l’ideale cui mirano le anoressiche sia cambiato nel tempo, non solo nella patologia alimentare ma anche tra la gente comune. Sempre più persone fanno attenzione alla forma fisica, all’allenamento. Gli scaffali dei supermercati propongono sezioni dedicate agli integratori proteici, anni fa del tutto assenti dalla grande distribuzione, finalizzati ad ottimizzare l’allenamento fisico nel crescente numero di palestre presenti ad ogni angolo di strada e frequentate da persone di ogni genere ed età. Solo qualche decennio fa Jane Fonda proponeva le innovative VHS di fitness, oggi la maggioranza dei giovani sembrano condividerne il motto: “no pain, no gain”.  Se vuoi un corpo snello e potente c’è da soffrire, questo credo riprenda il mito della passione di Cristo. È vero anche che l’attenzione al cibo sano sia molto diffusa, l’attenzione alla provenienza degli alimenti, la tendenza a voler rifiutare l’industrializzazione, l’uso di concimi chimici e anticrittogamici mi pare una tendenza collettiva dei nostri tempi, solo qualche anno fa il tema non era presente nella mentalità corrente.

Ma, mi domando, quanto i motivi coscienti addotti da un’anoressica ci aiutano a muoverci nella comprensione delle dinamiche psichiche che spiegano il ricorso al sintomo del controllo ossessivo sul corpo erotico? Credo che i sintomi dei nostri pazienti abbiano un fondamentale legame con i diversi contesti culturali nei quali si esprimono. Le sante anoressiche del passato, estreme digiunatrici per motivi mistici di elevazione spirituale, come potrebbero essere sopravvissute nell’epoca della morte di Dio (Nietzsche)? La donna in carriera degli anni ’80, post-femminista, che punta a raggiungere riconoscimenti sociali ed economici e che abbandona i riferimenti al ruolo di madre nutriente e moglie formosa, trovava nel corpo mascolino efebico un evocativo esempio di efficienza e rigore, ma ormai la donna non ha più la stessa necessità di rivendicare la propria posizione sociale, come accadeva negli ultimi decenni del secolo scorso. La donna di oggi, con altisonanti esempi al femminile nella politica, nella scienza, nella cultura e nell’economia, perché mai non dovrebbe avere come riferimento simbolico un corpo forte e sano? E se noi ci interessassimo meno a cosa cerca l’anoressica e di più a come mai lo cerca? Ecco, io credo che la dimensione ascetica sia ancora centrale nella dinamica psichica anoressica, credo che lo sia sin da quando erano tutti maschi, dai “padri del deserto”, sin dal IV secolo. All’epoca, in contrasto con il declino morale di una Chiesa che finalmente aveva raggiunto lo status di religione ufficiale dell’Impero, con la fine delle persecuzioni e del martirio, nasceva l’esigenza in alcuni asceti di imporsi rigide regole di comportamento e di disciplina sul corpo.  L’ascetismo ha una storia lunga e si presta ad essere usato da diverse angolature. Con “Ascesi” si intende un “tirocinio spirituale e fisico che, attraverso digiuno, isolamento, meditazioni e preghiera, procura la perfezione interiore e il distacco dal mondo e dagli istinti”. Dal greco ἄσκησις: esercizio (Cortellazzo & Zolli, 1979). L’etimo dell’ascetismo, esercizio, si riferiva originariamente all’allenamento fisico e alle diete rigorose degli atleti in preparazione delle competizioni olimpiche. Con i Pitagorici l’ascesi assunse un significato meno legato all’esercizio fisico e sempre più legato a quello spirituale, iniziò a riferirsi non più alla disciplina del corpo praticata dagli atleti ma al rigore della vita morale. La realizzazione della virtù implica la limitazione dei desideri e “ascesi” come rinuncia e mortificazione diventò il significato prevalente. Di ascetismo come risorsa psichica difensiva ne ha scritto Anna Freud la quale, pur ignorandolo, stava parlando dell’anoressia. Nel 1936, in “L’Io e i meccanismi di difesa”, dedica il Cap. 12 alla “Angoscia pulsionale durante la pubertà” e introduce l’ascetismo come fondamentale meccanismo di difesa, ritenendolo addirittura più efficace della rimozione.

Cortellazzo, M. & Zolli, P. (1979). Dizionario Etimologico della Lingua Italiana. Zanichelli.

Cotrufo, P. (2005). Anoressia del sessuale femminile. Dal caos alla costituzione del limite. Franco Angeli.

Cotrufo, P. (2022). The fear of facing drives and desires: is it still appropriate to reduce anorexia and bulimia to eating disorders? Psychoanal. Q., 91:145-169.

Freud A. (1936) “L’Io e i meccanismi di difesa” Opere Vol. 1, Boringhieri, Torino, 1978.

Vandereycken, W. & van Deth, R. (1994). From Fasting Saints to Anorexic Girls: The History of Self-Starvation. Athlone Press, 2000.

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