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“Jean-Bertrand Pontalis” di C. Matteini. Recensione di C. Ieri

4/09/25
"Jean-Bertrand Pontalis" di C. Matteini. Recensione di C. Ieri

Parole chiave: Infantile, Transfert, Temporalità

TITOLO: Jean-Bertrand Pontalis

AUTORE: Chiara Matteini

CASA EDITRICE: Feltrinelli, 2025

Recensione: Cecilia Ieri

RIAPRIRE IL TEMPO

“Dodici luoghi da seguire nel corso del tempo. Osservare costantemente le minime trasformazioni, tentativo commovente e straordinario di intercettare il momento della perdita che ha orientato tutta la sua vita”.

La ricerca sui luoghi, la relazione tra dolore e creatività, la possibilità di intravedere (nella realtà o nell’immaginario) un nuovo inizio a partire dall’immersione nella ripetizione, tra difesa e resistenza, tra trasformabile e intrasformabile, tra illusioni necessarie a vivere e il corteo di quelle disfatte.

Non può che iniziare da qui, da Perec, questa mia recensione al libro di Chiara Matteini sul pensiero di Pontalis, da questi elementi chiave particolarmente significativi in alcune analisi (ed esistenze) e in omaggio ad una delle traiettorie del pensiero dello psicoanalista francese che vengono delineate dall’Autrice, una tra le varie che sono proposte nel volume come sentieri da percorrere, insieme all’identificazione di nodi, ripensamenti, incontri con uno sguardo creativo volto verso alcuni concetti psicoanalitici sin troppo noti per evitare che questi divengano blocchi di pensiero e al pensiero, cioè inutilizzabili, a causa della loro ossificazione (ad. reazione terapeutica negativa, ripetizione, ecc.).

La psicoanalisi di Pontalis, la precisione poetica del suo pensiero e della sua scrittura, sono messe al lavoro nel libro di Chiara Matteini in tutta la loro portata di apertura. L’Autrice scrive riuscendo ad abitare quella posizione incerta, sfuggente e al tempo stesso irriducibile che questo Autore, come pochi altri, ha saputo tenere, se pur senza indicarla come maestro attraverso razionalizzanti messe in chiaro, dunque senza reificarla.

Tra frammenti di luminosità e un necessario tenere l’ombra, Pontalis ha saputo trasmettere il senso di un pensiero con uno statuto epistemologico particolare attraverso la mobilità del suo pensiero e una grande capacità evocativa, testimoniate, queste, dal suo attraversamento, con leggerezza, tra lingue, mestieri e linguaggi. Alla capacità di tessere insieme luce e tenebre si accompagna, in Pontalis, quella di ‘andare al punto’ che nasce dal poter perdere di vista, da uno sguardo che sa essere obliquo, volto all’orizzonte, mobile, ironico e al tempo stesso incantato, appassionato.

L’analisi come il giro degli appuntamenti mancati, come dispositivo per incontrare la quinta stagione, lo psichico visto come serbatorio di tante temporalità in giacenza, tra il ventaglio delle diverse iscrizioni e il continuo movimento di arresto e di ripresa attraverso cui accadono intrecci e scompaginamenti, tra qualcosa che resta e qualcos’altro che inevitabilmente si perde: questi alcuni elementi dell’eredità del pensiero dell’analista francese ancora ‘nuovi’, irrinunciabili.

Dalla ripresa di questi concetti, dal modo in cui essi vengono messi a frutto nel libro (una traversata del pensiero dell’Autore, di alcune sue vicende d’analisi e di alcuni passaggi tra lingue e linguaggi), vediamo Chiara Matteini continuare a mettere in forma, come Pontalis, un pensiero teorico-clinico originale, libero e al contempo rigoroso, pensiero che si contraddistingue anch’esso per una sua natura poetica, nel senso di capacità viva di prendere un pezzo di ‘realtà’ (un concetto, un aspetto della teoria, un elemento clinico o biografico) e di renderla ‘altro’, di far comparire, dagli elementi presenti negli scritti di Pontalis e da alcune vicende del suo lavoro come analista, pensieri inediti, attingendo a quella capacità, al tempo stesso, di luminescenza e di ombra che è proprio una delle cifre dello psicoanalista francese.

 “Stranamente era in me che si scavava il buco. Non mi ero mai sentito così spaventosamente abbandonato” (Pontalis)

“La scrittura è il ricordo della loro morte e l’affermazione della mia vita” (Perec)

L’ineludibilità dell’incontro tra ciò che era già là, e che continua in qualche modo a tornare sulla scena (un disastro all’origine per Perec, un lutto difficile o impossibile per il bambino ‘muto’ e ‘diffidente’ verso le parole che Pontalis è stato), la possibilità di re-iniziare, un dolore in cerca di un luogo psichico (forse per entrambi), la costruzione o ricostruzione della singolarità di una storia (per Perec) e di nuove soggettivazioni emergenti a partire dall’esperienza di una clinica che aiuti la teoria a potersi ripensare, pur continuando a restare in contatto con le sue radici (per Pontalis ma anche per Winnicott, altro Autore che si incontra come riferimento nel libro), questi sono alcuni degli elementi importanti che Chiara Matteini delinea e approfondisce, riuscendo a fare la stessa operazione psichica di tenere insieme gli aspetti imprescindibili delle fondamenta e la capacità di re-invezione creativa di pensiero.

La necessità di costruzione di un’altra scena, a momenti parallela a quella dell’analisi e successiva, lo scrivere, un continuare a scrivere in qualche modo di quell’analisi, dell’analisi, in après-coup, ci aiuta ad immaginare la portata creativa e anche violenta di cambiamento al cuore di questa vicenda analitica e personale, così come forse al centro anche di molte vicende di trasmissione avvenute nella storia della psicoanalisi, tra possibilità e impossibilità di mettere a frutto l’indicibile, l’invisibile, e la portata di ignoto che alberga in ogni resto o nel tentativo di sua costruzione.

Il libro di Chiara – attraverso il lavoro di Pontalis e Winnicott, attraverso l’incontro’ tra i loro pensieri e la messa a frutto anche di Fachinelli – si interroga sul lavoro analitico, possibile o impossibile, tra nuovi inizi e quote di intrasformabile, in particolar modo quando in analisi si tratta di affrontare una distruzione all’origine. In questi casi, secondo l’Autrice, diviene imprescindibile per il paziente trovare un modo per ‘fare No’ prima di poter ‘dire No’, un No fondamentale che consenta alla persona di andare verso la vita e di separarsi dal verdetto originario che lo inchioda ad un incesto tra apparati psichici, ad un indifferenziato mortifero che tiene bloccato il tempo.

Dall’utilizzo che in analisi viene fatto di questo impossessamento, dalle sue quote di impossessamento di vita e di morte, e dalla possibilità di rendere l’analisi un luogo per dare forma al vuoto, può dispiegarsi un’esperienza che, in aprés-coup, ha la capacità di cambiare il senso del viaggio, la vita, dei due protagonisti.

Chiara Matteini, attraverso la rielaborazione e la proposta di alcuni concetti e l’identificazione di fili teorico-clinici, ci porta a percorrere in controluce alcuni sentieri di questa avventura analitica ed esistenziale di Perec-Pontalis, al tempo stesso singolare e generale, poiché forse parla anche di molte altre vicende, analitiche e personali, teoriche e cliniche.

Il lavoro incessante di Perec, tra presidio e tentare la perdita, e della relazione analitica Perec-Pontalis, attraverso la dinamica transfert-controtransfert, mettono in forma un crocevia di tempi, rielaborazioni identificatorie, accoglienza del caso, creando “un luogo nuovo, in cui riscrivere il tempo”.

“Non si arriva all’analisi che dopo” eppure “nel transfert qualcosa accade prima”, scrive Chiara Matteini in punti diversi del volume.

Da questo sfasamento, dalla possibilità di un paradosso, dall’incontro-passaggio veloce di un animale selvatico nel bosco, dalla possibilità di sorpresa che, come un cielo di primavera fuori stagione, talvolta ci viene inaspettatamente incontro, dall’irriducibilità di una stagione inesistente che ci abita profondamente e che non cessa mai di venire, nelle esperienze soglia, di faglia o di pulsazione si mostrano i lampi dell’inconscio, l’inconscio nella sua veste di irrealizzato e di potenzialità psichiche e di vita sempre in divenire.

I transfert, il movimento, la temporalità, la ripetizione, gli inizi, tra perdite di vista e l’erranza tra identità e tra lingue, sono messi al lavoro da Chiara Matteini come elementi centrali del pensiero di un Autore che pur abitando quello dei suoi maestri non ha ammaestrato il suo, che ha saputo usare il loro per incontrare il suo.

Pontalis è stato capace di valorizzare ciò che Chiara, a più riprese, descrive come movimento fugace del nucleo pulsante e invisibile dell’inconscio; quello da cui derivano le possibilità di lavoro psichico, le tracce, la costruzione della temporalità attraverso la messa a frutto del paradosso della ripetizione.

Nel pensiero di Pontalis, rigoroso e sfuggente, la psicoanalisi – come esperienza e come pensiero – recupera la sua dimensione di libertà nel riconoscimento dell’ineludibile doppio movimento dello psichico tra apertura e chiusura, tra ripetizione e nuovo inizio, entrambi sempre sul punto di avvenire, nell’oscillazione tra illusioni disfatte e costruzione di possibili nuove illusioni a venire, possibilmente sempre più soggettivate.

Chiara Matteini ci propone uno sguardo errante e al tempo stesso approfondito degli elementi e delle direttrici del pensiero di Pontalis, dando al lettore sia la possibilità di scoprire come egli sia passato dai nodi concettuali chiave del pensiero psicoanalitico in modo nuovo e originale, coniugando leggerezza e profondità, sia di intravedere – passando da Pontalis – come lei stessa lavori per mettere in forma il suo pensiero-sentire, a partire dal resto in giacenza, in lei, dell’incontro con quel pensiero, con il movimento più che con il contenuto che i concetti, quando sono tali, sono in grado di attivare in chi li incontra, facendosi in questo modo ereticamente erede di un pensiero lei stessa.

Chiara Matteini identifica l’ombra, l’incertezza, ciò che non si vede, come paradossali capisaldi a partire da cui Pontalis concettualizza le direttrici del suo pensiero: il movimento di pulsazione dell’infantile, attraverso la continuità e stabilità del setting dell’analisi, si fa cogliere nell’emersione, nei momenti ‘buoni dell’analisi’, di frammenti del fuori-tempo e fuori-dal-linguaggio.

Riprendendo e mettendo a frutto la ricchezza e la bellezza del concetto di quinta stagione l’Autrice ci porta al cuore stesso della poesia psicoanalitica di Pontalis, ci fa affacciare alla finestra suo laboratorio: un cantiere, una casa in divenire, un vagone ferroviario, un nido per le rondini.

Là dove il pensiero trova la strada per mantenersi terso, leggero, sempre in cerca di un sentiero, esso riesce a imbrigliare, e al tempo stesso a far scorrere, l’energia necessaria alla costruzione/invenzione di un luogo nuovo per ciò che non c’è stato, a rimettere in circolo possibilità, ad attivare crocevia di temporalità plurali che danno la possibilità di vivere e poi di perdere un dolore. Attraverso l’agieren trasferale, ma non solo, è possibile vivere e tratteggiare un cammino che sappia essere una continua apertura verso l’ignoto, recuperare quote di urgenza ad esistere.

In analisi, si può dunque rinnovare quella possibilità di amore degli inizi che trae la sua forza dall’illusione ma anche dai suoi crolli, si può andare oltre l’abbagliante miraggio seduttivo di un Origine, verso quell’orizzonte-ricerca del potere infinito di attrazione che ci rende vivi.
Scrivere con il potere di dissolvenza delle parole, con l’ombra melanconica che abita il linguaggio trasformata in potenzialità evocativa del linguaggio stesso, sono le due sfide che sembrano accomunare Pontalis e Chiara Matteini.
Scrivere non per dire, dirsi, ma per portare e portarsi incessantemente altrove, al di là e al di qua del linguaggio, per costruire/inventate tracce che consentano forme paradossali di memoria, souvenir d’enface, come possibilità di costruzione, in après-coup, di scene vissute o anche mai accadute.

Sul finale del libro Questo tempo che non passa, Pontalis ci offre una serie di brani; questo, a mio parere, uno dei più belli che ci ricorda la portata dell’incontro/l’attrito da tenere vivo in analisi.

Ella ha posto la sua condizione: “Lei non mi parlerà mai, non mi dirà una sola parola…”.

Al medico che la cura, dice, parlando di questa “strana amicizia” che in realtà era un amore folle: “Bisogna che restiamo estranei l’uno all’altra”.


Di questo nucleo passionale, quello che sta al fondo dei legami profondi e della conoscenza, parla la psicoanalisi, almeno una parte della psicoanalisi, sicuramente quella di Pontalis. Questo è ciò che Chiara Matteini rilancia, tra soste nell’invisibile, il riconoscimento della portata di apertura del No e della resistenza, il pensiero dell’analisi non solo come un luogo ma soprattutto come forza attrattiva di incontri con l’estraneità, l’inedito e come territorio per la costruzione di ‘nostalgie di vita’ possibili.


“L’illusione di non essere solo ciò che si è incontrato”, detto in questo modo, non lo troverete nel libro, in questo libro di Chiara Matteini; lei lo ha detto e lo ha scritto, forse, da qualche altra parte.

Una di quelle affermazioni lievi, preziose che compaiono ‘inspiegabilmente’ con lo zampino di Ça e che, proprio perché non ben identificate, mantengono, in giacenza, tutta la loro portata di nuovo.
Insieme al pensiero di Pontalis e a molti elementi presenti nel libro, queste parole ci ricordano che l’analisi – e forse anche la vita – è in fondo ‘un cammino invisibile che non esiste se non perché lo si prende’.

Operazione sempre precaria e al tempo stesso fondamentale, che consente di poter continuare ad incontrare, ancora e ancora, almeno un po’ ma irriducibilmente, il disordine della vita, la follia di Eros, l’erranza dell’infantile e dell’imprevedibile-ignoto che esso porta con sé. Il nucleo incandescente, oggetto ed energia che tiene in moto il pensiero psicoanalitico, così come altri saperi, ci ricorda non solo i rischi ma anche la potenzialità della creatività errante che non può che continuare ad incendiare, almeno un po’, il nostro sapere.

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