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“La cura che ammala” di B. Piovano. Recensione di C. Conforto

12/10/23
"La cura che ammala" di B. Piovano. Recensione di C. Conforto

“La cura che ammala. Adattamento creativo al trauma iatrogeno”

di Barbara Piovano

(Alpes, ed. 2023)

Recensione a cura di Carmelo Conforto                 

Ho ripensato, scorrendo i temi e gli enigmi presenti nel libro di Barbara Piovano, alla complessità della formazione medica e psicoanalitica, quella che cercai di scorgere e tentai di far scorgere diversi anni fa (1980) lavorando, nella mia funzione di prof. di Psicoterapia, con piccoli gruppi di studenti di medicina.

L’incontro con le ambiguità presenti nel mito edipico, il paradosso in cui si muove inconsapevole l’Eroe tragico, portatore di verità rifiutate, mi permise di avvicinare lo studente alle fondamenta del percorso di formazione del futuro analista: “La soluzione dell’enigma del paziente non può che ottenersi attraverso la chiarificazione dell’enigma personale del terapeuta” (p.232).

Ricordai agli studenti le assolutamente contrastanti identità narrate nel mito d’Edipo, eroe che ignorando distrugge e comprendendo accede alla colpa. Utilizzai il pensiero di Vernant (1975) che oggi riprendo per dare ulteriore profondità ai temi che porge il libro di Piovano, proponendo le due incompatibili identità che è possibile alloggino nell’inconscio del medico, dello psicoterapeuta.

Tyrannos, l’eroe figlio delle sue opere. che ha il potere supremo (sul male) e che, seguendo Meltzer (1967) si avvicinerebbe inconsciamente alla credibilità dell’onnipotenza.

 Poi, paradossalmente, Pharmakos (capro espiatorio) in quanto possibile prigioniero dell’errore, della colpa, del non ascolto di cui è tragico portatore Edipo.

 Percorso che, nel medico, necessita della dolorosa, a volte non   consentita, ammissione dell’errore, della possibile colpa perché “spinto dall’umana e comprensibile esigenza di assolversi” (Piovano, p. 31). Ammissione necessaria per permettere che si rinnovi, attraverso l’esperienza del dolore, la ricerca dell’aiuto, l’accettazione della dipendenza, quella che fu necessaria per consentire l’operato del formatore e della formazione e che, infine, rimanda all’incontro con il primo oggetto contenitore, il “seno materno” allora e che oggi può riproporsi nell’affidarsi allo psicoterapeuta.

Condizione collocata diversamente nell’individuo ‘ammalato dalla cura’, paziente che, come scrive Barbara Piovano, “si è affidato ad una persona supposta curare e sapere” (p.V) e da questa danneggiato nei diversi percorsi dell’umano. 

Intendo dire che l’esperienza del trauma, negli esempi illustrati nel libro mi hanno rimandato a quanto propone Correale (2022) a proposito della morte psichica, l’esperienza psicotica, una discontinuità brusca del flusso vitale, il senso profondo d’essere dominati da qualcosa nei cui confronti si è passivi, inerti. Tema che ritrovo nella vicenda della donna che ricerca un contenitore (l’analista Piovano) ove versare una sofferenza ancora senza nome, messa in movimento dalla data non condivisa di fine-analisi proposta con autoritarismo dal proprio psicoterapeuta (p.15).

 Paziente, pazienti che possono proporsi vittime non solo del trauma recente ma possibili portatori di antichi  traumi separativi, occlusivi, che aggiungono angoscia, incoerenza, sospetto al nuovo rapporto.

A questi livelli di sofferenza, di difficile accettazione di una nuova dipendenza, di rinnovata irruenza di persecutori interni che nell’ammalare vengono risvegliati, scontro con una corporeità dolorosa e inaccettabile, Piovano affronta il capitolo degli interventi terapeutici, la  psicoterapia psicoanalitica, in particolare (p.35), ma certamente non solo.

Leggo i percorsi che l’autrice descrive, commenta nell’incontro tra questi paziente ed il terapeuta, sottolineando l’imponenza delle angosce abbandoniche. Osserva che la possibile accettazione della regressione terapeutica costituisce il new beginning, l’incontro con una nuova scintilla relazionale, ove assume profondo valore il dialogo intercorporeo che , pur nella diversità dei modi, ci rimanda alla fondamentalità dell’integrazione corpo-mente, pensiero del corpo, movimento della mente, disposta a dare rappresentazione, immagine a ciò che la risonanza corporea tra terapeuta e paziente stimola, consente.

In definitiva Piovano propone le possibili modalità relazionali, illustra la complessità della terapia nelle sofferenze che la cura che ammala affida a chi non è stato curato. Chiede, racconta in quali, molti modi, è possibile, per uno psicoanalista con quel paziente, il percorso inverso, guarire.

Infine: Manica, in altro contesto pone la domanda, che faccio mia, con cui mi trovo, qui, con Barbara, a riflettere : Nuovi parametri per la cura? (2023).

Certo, di questo parla il libro di Barbara, di questo parla lo scritto di Manica, il movimento del lavoro psicoanalitico dalla dimensione del sapere e far sapere a quella di Bion, Ogden, Manica: il divenire, la trasformazione  del corpo, della mente, nella coppia analitica, il percorso ontologico.

Questo credo di vedere nel lavoro di Piovano.

Bibliografia

Conforto, C. (1980) Onnipotenza e onniscienza. Un’esperienza di formazione in piccoli gruppi di studenti di Medicina. In: Speziale-Bagliacca, R. (a cura), Formazione e percezione psicoanalitica, Feltrinelli, Milano.

Correale, A. (2022)  La potenza delle immagini, Milano/Udine, Mimesis.

Manica, M. (2023) L’arte di guarire: dal conoscere all’essere,Psiche, 1/23.

Meltzer, D. (1967)    Il pensiero psicoanalitico, Roma, Armando, 1971.

Vernant, Y. P. (1975) Ambiguità e rovesciamento sulla struttura enigmatica dell’Edipo Re. In: Detienne, M., (a cura), Il Mito, Bari, Laterza, 1976.

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