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“L’albero” di D.W. Winnicott. Ripensando a “Chi cura chi” L. Fattori

31/01/22
Ripensando a “Chi cura chi” L. Fattori

Joan Mirò, 1927

L’ALBERO

D.W. WINNICOTT

Ripensando a “Chi cura chi”

LUCIA FATTORI

L’albero

Sotto, mamma sta piangendo, piangendo, piangendo.

In questo modo la conoscevo.

Una volta, steso sul suo grembo

Come ora su un albero morto

Imparai a farla sorridere

A fermare le sue lacrime

Ad annullare la sua colpa

A guarire la morte che aveva dentro.

Il rallegrarla era la mia ragione di vita.

Ripensando al recente  convegno “ Chi cura chi” che la SPI ha organizzato  a Genova nel Novembre 2021 sul tema del rovesciamento di ruolo tra bambino e genitore mi è tornata in mente una poesia scritta da Winnicott a 27 anni ed intitolata “L’albero”[1]. In essa Winnicott parla della propria madre piangente e del fatto che allietare questa madre era diventato fin dall’infanzia lo scopo della sua vita.

 Quanto espresso da questo grande psicoanalista  ricorda a molti di noi il collegamento fra l’assunzione di un ruolo genitoriale nell’infanzia e la nostra scelta in età adulta di un lavoro del “prendersi cura” , lo stretto legame che esiste fra la scelta  di un lavoro di questo tipo e il fatto di aver vissuto nell’infanzia l’esperienza del fare le veci del datore di cure: dal sostituirsi  da parte del bambino alla madre nel prendersi cura di un fratellino nato con gravi problemi  o malformazioni  a fronte di una madre affranta, incapace di fornire al nuovo nato un maternage adeguato,  al fare addirittura, come nel caso di Winnicott, da mamma alla mamma nel caso di una madre caduta in depressione o posta di fronte ad un grave  lutto.

Alice Milner (1979) a proposito degli psicoterapeuti osservava come quello dello psicoterapeuta sia un lavoro che un bambino dotato di particolare sensibilità e che si trovi a vivere una situazione difficile, pratica già nell’infanzia: “ È così che siamo diventati psicoterapeuti, affinando la nostra intuizione e le nostre antenne, per  cercare di capire che cosa ci stava capitando intorno, e così sopravvivere.”

Ma non è solo questione di allenamento precoce. E’ all’opera anche il  meccanismo identificatorio, dato che il bambino che cura identificandosi con il genitore nel fornire cure,  contemporaneamente  si identifica  anche con l’oggetto delle  cure, genitore o fratello che sia, per sentirsi indirettamente accudito lui stesso e oggetto di attenzioni e preoccupazioni.

 Questo darsi cura attraverso il curare è, come sappiamo alla base di tante professioni apparentementealtruistiche”. Il Soccorritore, l’adulto prossimo del Progetto freudiano corre in aiuto del neonato inerme per una profonda identificazione con il figlio (“la funzione secondaria estremamente importante dell’intendersi”, Freud, 1895, p.223) , così come la preoccupazione materna primaria di Winnicott(1956) si basa sull’identificazione della madre col bambino: la madre  immagina e sente se stessa nella situazione del bambino rendendosi vulnerabile quasi quanto lui per comprenderne i bisogni e tale identificazione potrà poi funzionare nei due sensi, con un bambino che a sua volta, potrà in un secondo momento curare la madre identificandosi con lei, se di una madre curante ha fatto almeno un po’ l’esperienza. Diventerà così, per usare la metafora di Ferenczi (1932) uno di “quei frutti che la beccata di un uccello ha fatto maturare troppo in fretta e reso troppo dolci…” , acquisendo una precocità  in cui una parte della personalità si sviluppa  sulla linea di una pseudomaturità,  con l’acquisizione di caratteristiche tipiche del funzionamento dell’adulto, sia sul piano emotivo che su quello intellettivo.

  L’identificazione poi non ha alla base solo l’elemento libidico, cioè un qualche rientro narcisistico o un intento riparatorio in quanto tentativo di riparare l’oggetto rotto, ma come ci ricorda Ferenczi (ibidem), ha anche aspetti aggressivi. Il genitore trascurante diventa un genitore “ cattivo”,  un genitore in qualche modo “abusante”. Scatterebbe dunque anche il meccanismo dell’identificazione con l’aggressore.

 Scrive Rocchi (2014) riprendendo Ferenczi Come unica possibilità di sopravvivenza, la vittima abdica, rinuncia alla propria persona, consegnandosi all’aggressore ed identificandosi esattamente con ciò che egli si aspetta. Tende a sentire da un lato ciò che l’aggressore stesso sente, dall’altro ciò che l’aggressore vuole che la vittima senta. Può arrivare così ad anticiparne le mosse, per minimizzare il danno ed avere maggiori possibilità di sopravvivenza.”

 Questo ci porta ad interrogarci anche sulle valenze aggressive del lavoro del prendersi cura: ad esempio dimostrare alla mamma cattiva interna o esterna che si può invece essere una mamma buona, realizzando una specie di vittoria morale sulla propria madre con un sapore vagamente vendicativo.

E che dire dell’albero che compare nel titolo, contenitore- sfondo della scena? Esso  sembra contrapporsi all’ “albero morto” di un grembo rinsecchito su cui il figlio è adagiato e sembra costituire il riferimento ad un “terzo” vitale : forse le teorie cui ci appoggiamo o il setting alla cui ombra protettiva svolgiamo il lavoro della cura.

Ferenczi S. (1932) “Confusione delle lingue tra adulti e bambini”, in: Opere, vol. IV, Cortina Editore, Milano,1992.

Freud S.(1895), “Progetto di una psicologia”, O.S.F., vol.2.

Milner A. (1979), “Il dramma del bambino dotato”, Bollati Boringhieri, Torino, 2008

Rocchi C.(2014), “Identificazione con l’aggressore in Sandor Ferenczi”, Spiweb, 23-01-2014

Winnicott (1956), “La preoccupazione materna primaria”, in: Dalla pediatria alla psicoanalisi, Martelli, Firenze,1975.


[1] Adam Phillips, Winnicott. Biografia intellettuale, Armando , Roma,1995, p.38

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