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“Prosciugare lo Zuiderzee” di R. Contardi. Recensione di G. Benincasa

7/02/23
“Prosciugare lo Zuiderzee"di R. Contardi. Recensione di G. Benincasa

“Prosciugare lo Zuiderzee”

Lavoro della cultura ed elaborazione simbolica in Psicoanalisi

di Roberto Contardi

(Alpes, 2023)

Recensione a cura di Giuseppe Benincasa

 

Ho avuto il piacere di leggere questo ultimo lavoro dell’amico e collega Roberto Contardi, psicoanalista didatta della SPI e dell’IPA, che mi ha profondamente stimolato per la sua profondità e capacità di articolare il pensiero di Freud relativamente al tema in oggetto, che ha suscitato in me ulteriori riflessioni, e che appare oggi particolarmente importante, data la situazione di conflitto e guerra in atto nel mondo.

Contardi ha messo in risalto, in questi sei scritti (il primo inedito, ma collegato ai 5 precedenti lavori, pubblicati tra il 1997 e il 2009), uniti da una elaborazione sempre più approfondita del tema, l’importanza del lavoro della “Cultura” nell’ambito della riflessione dello sviluppo della teoria psicoanalitica.

Come dice Freud (citato da Contardi),  “là dove era l’Es, l’IO deve divenire/avvenire”.      È il lavoro della Cultura, metafora del prosciugamento dello “Zuidersee” (che è l’insenatura, in Olanda, liberata dalle acque del mare del Nord nel 1932, ai fini di recuperare tale spazio allo sviluppo agricolo).

Tuttavia ciò non sta a significare – sottolinea Contardi – che è  la Cultura, termine che esprime il processo universale e strutturale di sviluppo antropologico  ( nota di pag. 10 ) che prosciuga – uguale “sopprime” –  lo Zuiderzee (cioè, in metafora, l’ES) per sostituirlo con l’IO  ( 31esima lezione del 1922 di Introduzione alla psicoanalisi), ma che Es e flusso pulsionale devono essere organizzati da un IO riequilibratore, e (pag.11) cooperante, con un Super-IO, alla espressione della pulsionalità (quest’ultima non più vissuta come ‘terzo incomodo’).

E’ il lavoro della  ‘Kultur’ quindi che “affida al pensiero il compito di prevenire il temuto ripresentarsi dell’angoscia e di fornire coerenza al reale” (pag. 17), introducendo implicitamente “lo sviluppo di una funzione etica individuale” (pag. 19).        

Senza questo lavoro di ‘prosciugamento’ si formano i sintomi psicopatologici (pag.20); e di conseguenza non possono nascere né il ‘soggetto’con il suo potenziale creativo e di donazione, né gli scambi relazionali, e neppure la cooperazione interpersonale.  “Soggetto” inteso quindi, in questo senso, come individuo svincolato dalla “fissazione al pelago materno” (pag. 21).

Relativamente alla capacità potenziale di donare del soggetto, un esempio del riconoscimento di tale ‘capacità ’ è  il sorriso del neonato, che sazio dopo la poppata, manifesta, unicamente come ‘riflesso’, un sorriso; sorriso che tuttavia le madri ‘coinvolte’ profondamente nella relazione col figlio (cioè le madri ‘competenti’) tendono a connotare come risposta “volontaria” del neonato, risposta di “soddisfazione”, derivata dalla nutrizione avuta, e dalla intensa affettività che si sta sviluppando tra lei (madre) ed il neonato.

Capacità, o meglio ‘potenzialità’ che deve – a mio parere- essere riconosciuta fin dai primi giorni di vita, al neonato, dall’ambiente circostante (famiglia e società, in tutto il suo insieme).

Proseguendo in questa direzione mi pare che il secondo lavoro del libro metta in risalto l’importanza dell’atteggiamento trasformativo dell’analista che, attraverso il proprio intervento, rivaluta la potenzialità trasformativa del soggetto. Che è un altro modo di ridefinire quest’ultimo, sotto il profilo del suo agire, non come inserito in una situazione di sottomissione, ma di “agente”, soggetto propositivo che rende disponibile ad altri (= dona!) le proprie scoperte e competenze, di carattere “trasformativo”.

Il terzo capitolo, che rievoca il Mosè di Michelangelo come figura della “Kultur” e “rinvia al ruolo cardine del desiderio nella progressione della cultura stessa “ (pag. 47) mette in risalto che i fenomeni culturali in senso lato (esempio mitologia e poesia) spingono l’apparato psichico ad ottenere sempre nuovi soddisfacimenti. Spinta che  poi ‘costruisce’ il piacere di essere riconosciuti come ‘agenti’ costruttori di relazioni umane;  che non solo appagano il soggetto che dona, ma anche i destinatari, i ‘riceventi’, mettendo così in azione  un circolo positivo, che crea relazioni, non di dipendenza ma piuttosto di ‘reciprocità’.

In questa ottica anche il lungo capitolo sulla “Gradiva” di Freud ripropone   (restituendo a Gradiva vita, nel senso di opporsi alla rimozione e ridando senso  all’inconscio), il desiderio del soggetto di essere riconosciuto come tale; e contemporaneamente il desiderio di condividere con altri il progetto di realizzazione di sé; desiderio che, nel percorso analitico, va rintracciato e disseppellito, pena il fallimento della terapia.

Anche nel capitolo successivo  l’autore, riflettendo sulla “Morfologia del disagio e sue flessioni nel soggetto della post-modernità”, dovuto ad un mancato appagamento libidico, al fatto che tale ‘Soggetto’ non sia riconosciuto come ‘donatore di senso’ nei confronti dell’Altro, sottolinea implicitamente il rischio che troppi individui (soprattutto i giovani) non riescano a superare il vissuto di inadeguatezza che genera poi disagi e isolamento, o reazioni antisociali e distruttive.  Si rischiano rigurgiti di onnipotenza (o meglio di ‘prepotenza’), travalicando il limite del rispetto altrui, non riconoscendo l’importanza della cooperazione sociale, e sostituendo atteggiamenti di onnipotenza  ad un comportamento  che abbia accesso al “mondo del limite” e quindi di cooperazione tra “soggetti” per promuovere un benessere sociale di tutti.

Anche l’ultimo capitolo, infine,  che riflette sul ‘narcisismo’, diventa estremamente importante, in quanto ci apre ad una riflessione sul funzionamento dei rapporti interpersonali nel mondo odierno.                                                                           

Vediamo infatti  dilagare, a livello mondiale, una aggressività sempre più preoccupante, con una conseguente incapacità di dialogare e cooperare al miglioramento dei rapporti tra individui e tra popoli,  nel rispetto della differenza e soggettività dei singoli e delle diverse culture.

Il soggetto non riconosciuto come ‘donatore’ attiva una reazione tendenzialmente ‘distruttiva’ dell’altro, ma anche  di se stesso. Al sentimento di impotenza che troppo spesso pervade i vissuti odierni, specie nei giovani, si contrappone, oggi,  la tendenza a prevaricare, spesso  imporsi e sopraffare,  addirittura distruggere l’Altro.

E l’autore del libro, che ci parla non solo di psicoanalisi, ma anche di formazione, educazione, costruzione di una società più giusta ed attenta agli altri, ci fa capire che, se come genitori ed analisti non riconosciamo ai nostri figli, ai nostri pazienti, al mondo che ci circonda, una capacità di “donare” qualcosa di noi stessi agli altri, non abbiamo fatto quanto ci era stato implicitamente ricordato dal fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud: divenire individui, soggetti protesi alla cooperazione per un miglioramento del mondo. E tutti noi sappiamo quanto ce ne sia, oggi, bisogno.

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