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“Sul perturbante” di A. A. Moroni. Recensione di E. Bellagamba

30/08/21
“Sul perturbante” di A. A. Moroni. Recensione di E. Bellagamba

SUL PERTURBANTE

Attualità e trasformazioni di un’idea freudiana nella società e nella clinica psicoanalitica di oggi

di Angelo Antonio Moroni

Prefazione di Giuseppe Civitarese, Introduzione di Giuseppe Pellizzari

(Mimesis, 2019)

Recensione a cura di Elisabetta Bellagamba

“Sul perturbante. Attualità e trasformazioni di un’idea freudiana nella società e nella clinica psicoanalitica di oggi”, di Angelo Antonio Moroni, è un libro che propone inedite ed approfondite riflessioni sulla concettualizzazione del Perturbante in uno stile di pensiero chiaro e puntuale, al punto che anche i concetti più complessi sono trasformati in una narrazione fruibile.

Oggi, più che mai, il tema del Perturbante permea la nostra società in quanto, come spiega Bauman, citato da Moroni, ci troviamo di fronte ad una “società liquida”, nella quale sono caduti tutti i riferimenti che la strutturavano. È una società dove è presente un inabissamento dell’ordine edipico. I mutamenti presenti nella nostra società per-turbano, sconvolgono; ciò che è familiare diventa immediatamente estraneo, facilitando l’emersione di “un’immagine del doppio” (pg 30). Negli ultimi decenni, infatti, si è assistito al passaggio da una società moderna a una società definita post-moderna, caratterizzata soprattutto dalla mancanza di punti di riferimento stabili e duraturi, nonché da una profonda crisi delle identità e dei ruoli tradizionali. Si è passati dalla fissità e dalla stabilità propria dell’epoca moderna al continuo divenire e all’incessante cambiamento proprio del post-moderno (Giobbi, 2011), che ha condotto l’esistenza umana ad una condizione di incertezza, instabilità, e indefinitezza. L’attuale fase di radicale cambiamento, vedendo una crescente crisi delle coordinate etiche, familiari, sociali, in cui il soggetto si identificava, conduce alla costruzione di una società che Lasch (1979) definisce narcisistica, che ha, dopo la libera fase edonistica, consentito la valorizzazione del singolo, ma nel medesimo tempo ha condotto l’uomo a essere ingabbiato in un carcere autoreferenzialistico, penalizzando fortemente il senso di appartenza ad una comunità, ad un collettivo.

L’autore ripercorre, nella prima parte del suo lavoro, la nascita del tema del Perturbante in Freud, collocandolo e dandogli una significazione non solo in base al periodo storico, ma anche in base alla storia personale ed alle motivazioni più profonde di Freud. Il Perturbante, spiega Moroni, prende forma in un momento in cui il mondo è immerso in un clima di angoscia mortifera e Freud stesso è profondamente preoccupato per la vita del figlio Martin, (essendosi) arruolato come militare in piena Prima Guerra Mondiale. Tale scritto rappresenta un “momento di pausa” nella stesura di un altro lavoro del 1920, Al di là del principio del piacere, che segnerà un cambiamento importante nel pensiero di Freud. E’ in virtù di questo che il Perturbante può avere avuto per Freud la “valenza di un oggetto transizionale, ossia la possibilità di (…) ricreare, temporaneamente, quell’area di illusione” (pg. 38) e la scrittura dello stesso saggio può aver svolto per Freud la funzione di “oggetto trasformativo” (pg. 41).

Il perturbante richiama lo spaventoso, ciò che suscita orrore ed evoca inquietudine. Nello scritto dedicato al tema, il padre della psicoanalisi analizza la parola unheimlich, termine tedesco tradotto in italiano con “perturbante”, e lo confronta con il suo opposto, heimlich: familiare, domestico, intimo che rammenta il focolare. Quest’ultimo termine, non è univoco, ha varie accezioni e sfumature, portando il suo significato in senso ambivalente, fino a coincidere con il suo contrario. Infatti in tedesco heimlich significa anche nascosto, qualcosa da celare, pericoloso, sottratto alla conoscenza. Schelling, come ci mostra Freud, aveva osservato e attribuito al concetto di unheimlich di qualcosa che affiora mentre avrebbe dovuto restare segreto, nascosto. Pertanto se l’heimlich nelle sue due rappresentazioni è ciò che è familiare e che deve essere tenuto nascosto, l’Unheimilch è il ritorno del rimosso, e in ciò che prende corpo l’aspetto che turba, inquieta e disturba. Tuttavia, Freud mette in luce che se è vero che in ogni esperienza perturbante è in gioco il ritorno del rimosso, non è vero anche il contrario. Il ritorno del rimosso non causa necessariamente un effetto perturbante. Nel saggio vengono messi in evidenza alcuni fattori scatenanti la trasformazione di un fatto pauroso in un fatto perturbante: l’animismo, la magia, l’onnipotenza del pensiero, la ripetizione involontaria, il complesso di castrazione. Inoltre, tra i motivi che portano ad un effetto perturbante, Freud, riprendendo Rank, analizza il tema del doppio-sosia che evoca il perpetuo ritorno dell’uguale. Il doppio sorge dal narcisismo primario, dall’amore illimitato per il sé e rappresenta una protezione contro le angosce di annientamento e contro il “potere della morte” (Freud, 1919, pg.96). Solo con il superamento del narcisismo primario, che muta il significato del sosia: “da assicurazione di sopravvivenza esso diventa un perturbante presentimento di morte” (ibidem). Le altre forme di turbamento dell’Io a cui ricorre Hoffmann, vengono descritte da Freud in base al modello del motivo del sosia: “una regressione ai tempi in cui non erano ancora nettamente tracciati i confini tra l’Io e il mondo esterno e tra l’Io e gli altri.” (ivi, pg 97). Proprio questi motivi descritti che concorrono, secondo vari gradienti, alla nascita del senso del perturbante.

Moroni spiega che perturbante è tutto ciò che si muove verso una rappresentazione di un’abolizione della frontiera identitaria. È proprio nell’adolescenza, fase evolutiva che investe l’identità del soggetto ed i suoi confini, che l’esperienza perturbante, spesso, fa da padrona. Infatti, tutti i cambiamenti in atto sia a livello psichico che a livello corporeo, portano l’adolescente a muoversi sempre sul confine di una possibile “rottura di senso” (pg. 95). Il corpo infantile si trasforma in un corpo sessuato che diventa per l’adolescente quell’estraneo perturbante (Cahn, 1998) che richiede un’ integrazione psichica. Come sottolinea Philippe Gutton: “Se nell’infanzia il narcisismo fallico è la soluzione per sfuggire alle angosce edipiche, nella pubertà la ricomparsa dell’Edipo rinforza l’attaccamento a una posizione narcisistica. Il bambino, ora pubere, vive l’esperienza perturbante di essere a stretto contatto con il desiderio del genitore edipico. Il pubertario è tutt’altro che un momento di separazione, piuttosto conduce a stretto contatto psichico con il corpo del genitore edipico. Tale contatto risulta, allo stesso tempo, molto eccitante e molto angosciante” (Gutton, 2009, pg. 85).

Nella seconda parte del libro, Moroni, in modo molto abile, presenta il Perturbante secondo gli sviluppi post-freudiani, partendo dalla Klein, passando per Bion, Winnicott e Bollas creando legami tra i pensieri dei vari autori, e mostrando al lettore dove si possano cogliere dei punti di integrazione tra gli stessi. Questo panorama delle varie teorie psicoanalitiche, conduce chi legge a fare l’esperienza di un’interpretazione meltzerianamente ispirata del Perturbante. La creatività, con la quale Moroni ci mette a contatto attraverso la lettura del suo lavoro, ha ripercussioni, necessariamente, anche nella pratica clinica, in quanto è noto come essa sia una componente essenziale del lavoro psicoanalitico ed è ciò che permette all’analista di arrivare a parlare come sognare attraverso quelle “parole che toccano”.

Moroni nelle sue riflessioni sugli autori post-freudiani, ci mostra come nonostante la Klein non citi mai esplicitamente, nei suoi scritti, l’elemento perturbante, tutta la sua opera possa essere letta come una “metapsicologia del perturbante” (pg. 65). Secondo il pensiero kleniano la produzione artistica è esito del raggiungimento della posizione depressiva, quindi strettamente connessa al concetto di riparazione dell’oggetto e non legata, come sostiene Freud, alla sublimazione pulsionale. Moroni, con grande acume, tuttavia, ci mostra come nel saggio della Klein del 1929, Situazioni d’angoscia infantile espresse in un’opera musicale e nel racconto di un impeto creativo, il perturbante sia in primo piano. Ma occorrerà attendere uno degli ultimi scritti dell’autrice, come Alcune riflessioni sull’Orestiade, per giungere a un’apertura ad un pensiero della produzione artistica che abbracci anche elementi perturbanti ed inquietanti. Proprio su questa scia si muovono sia Meltzer che Bion.

Meltzer, nella sua opera Amore e timore della bellezza, pone l’accento su quanto il seno sia non solo fonte di sensazioni buone ma anche un oggetto enigmatico, in virtù di questi doppi movimenti; su come alla base del conflitto estetico si situi un sentimento di non familiarità. La produzione artistica è mossa da questo vissuto che si avvicina maggiormente alla posizione schizo-paranoide, nonché ai movimenti oscillatori di amore e odio che il bambino vive nei confronti del seno. In questi movimenti ciò che preserva l’oggetto, spiega Moroni, è il desiderio di conoscenza, la curiosità e l’amore per l’esplorazione dell’ignoto, che rappresentano anche dei motori per la creatività.

Per cogliere l’elemento perturbante nella teoria bioniana, l’autore è dell’idea che occorra tenere a mente due riferimenti concettuali: il cambiamento catastrofico e il terrore senza nome. In quest’ottica il perturbante è l’esito dell’impatto degli elementi beta sulla barriera di contatto, e l’effetto perturbante potrebbe essere dato dal lavoro della funziona alfa che cerca di ricostruire una barriera che è stata danneggiata da ciò che la perturba. Addentrandosi maggiormente nell’opera bioniana, Moroni, analizza lo scritto del Gemello immaginario, dove possiamo vedere come il perturbante nasce dalla parte psicotica della personalità. Anche Winnicott si situa in questa linea di pensiero bioniana, poiché il perturbante ha origine nel caso in cui il bambino abbia esperito una madre ambiente non facilitante, ed è proprio dalle agonie primitive che prendono forma i sentimenti perturbanti per l’Io del soggetto.  Moroni continua la sua disamina con il pensiero di Bollas, per il quale la madre è in primis un oggetto trasformativo, e ogni persona ha il suo peculiare idioma: c’è un nucleo nascosto nel Sé di ogni soggetto che si rinsalda sulla base delle prime interazioni madre-bambino. L’esperienza del Sé abbraccia fin dall’inizio il perturbante,  poiché la conoscenza dell’oggetto è sempre preceduta dall’esperienza dello stesso. Pertanto l’esperienza del perturbante è “consustanziale alle origine stesse del Sé e di fonda sulla nascita dell’esperienza del Sé in quanto relazione con un oggetto che è simultaneamente terribile e sacro” (pg 85).

Partendo da questa lettura storica, l’autore offre una visione originale dello stesso concetto, secondo un vertice osservativo binoculare, che abbraccia il tema del Perturbante tenendo insieme l’aspetto “buono”, come ricerca di un oggetto trasformativo, e l’aspetto traumatico dello stesso. Infatti, spiega Moroni, il Perturbante, inteso come “esperienze emotive che fanno traballare le sicurezze acquisite, le categorie del mondo” (pg. 96) può creare uno sfaldamento vissuto come esperienza traumatica. Ma è proprio grazie ad esso che può avvenire una crescita mentale: grazie al “tentativo della mente di costruire una teoria narrativamente coerente ed in grado di contenere l’angoscia” (pg. 103).

Questa riflessione mi ha evocato la lettura di un altro libro, Cinque meditazioni sulla morte di Francois Cheng, che sottolinea come sia solo la coscienza della morte a spingerci a vivere ardentemente. È lo sperimentare profondamente e l’entrare a contatto con la propria finitezza che porta alla reale crescita mentale.

Su questa scia Moroni mette in luce che perturbante è tutto ciò che offende, che spaventa, e che il palesarsi di tali situazioni emotive porta con sé un aspetto traumatico, poiché viene innescata, come risposta, una reazione di angoscia. È in questi termini che l’autore propone la lettura del perturbante come teoria traumatica del Sé, cioè lo sforzo di dare una raffigurabilità ed una rappresentazione a ciò che per-turba: “Il Perturbante…è il tentativo dell’Io di creare una formazione di compromesso per darsi una ragione, per tollerare l’angoscia che invade i confini e per tentare di ristabilire la propria omeostasi narcisistica” (pg. 96)

Sempre nella seconda parte del libro Moroni collega il perturbante non solo alla clinica contemporanea, ma analizza il concetto anche secondo un vertice gruppale, tenendo insieme non solo la persona ma anche l’ambiente allargato in cui essa è inserita. Nella terza parte del volume l’autore poi si addentra nello sviluppo del Perturbante nell’arte contemporanea (letteratura, arti figurative e cinema).

L’arte perturbante, ci fa notare Moroni, attrae, particolarmente gli adolescenti che si trovano al confine tra un passato che devono lasciar andare ed un futuro dove traghettare il proprio Sé. Chi sono, chi diventerò? Sono tra le numerose domande che albergano nella mente adolescenziale. Essi sperimentano come quel familiare improvvisamente possa assumere i connotati di estraneo, come lo stesso corpo che si sta trasformando e che spesso nella stanza di terapia affermano di sentire familiare, ma di non riconoscerlo. Per loro, soprattutto il cinema perturbante, in primis il genere horror, può “fornire una cornice rappresentativo-narrativa che contiene gli effetti traumatici dei cambiamenti esistenziali che stanno vivendo” (pg 95).

Infatti, come sostiene Epstein (1921), “il cinema è psichico” ed il film può essere paragonato a “un abile agopuntore” in grado di stimolare la partecipazione affettiva dello spettatore (Morin 1956, p. 111). Il coinvolgimento emotivo stimolato dalla visione produce nel soggetto un’attività immaginativa che si confonde con il flusso delle immagini provenienti dallo schermo, andando a creare una co-costruzione intersoggettiva del significato filmico. Infatti è nell’incontro con un soggetto dell’esperienza cinematografica che le immagini iniziano a prendere significato (Terrone, 2014).

Come scrive Pellizzari, nell’introduzione del libro di Moroni, i film horror contengono elementi perturbanti e particolarmente durante l’adolescenza vi è un’attrazione per il mostruoso, che rappresenta “l’aggressione pulsionale che minaccia il soggetto all’uscita dall’infanzia” (pg 21). Il Perturbante deve essere reso palese, come avviene nei film horror: quando il mostro si rende visibile improvvisamente e, pertanto, diventa rappresentabile. Nel mostrarsi il mostro perde, infatti, tutta la sua onnipotenza perturbante. Il rendere visibile permette una raffigurabilità di ciò che fa paura.

La lettura del libro è altamente evocativa e stimola molti moti interni associativi che conducono con naturalezza ad una ri-trascrittura e ri-narrazione, anche soggettiva in chi legge, dell’”idea freudiana” di Perturbante.

BIBLIOGRAFIA

Cahn, R. (1998). L’adolescente nella psicoanalisi. Roma: Borla

Chen F. (2014). Cinque meditazioni sulla morte: ovvero sulla vita. Torino: Bollati Boringhieri

Epstein J. (1921). L’essenza del cinema. Scritti sulla settima arte, a cura di Pasquali V., Fondazione Scuola Nazionale di Cinema,Biblioteca di Bianco & Nero, Roma, 2002.

Freud, S. (1919). Il Perturbante. O.S.F. 9. Torino: Bollati Borighieri

Giobbi L. (2011). Per una sociologia delle mobilità. Le nuove trame della società post-moderna. Milano: FrancoAngeli

Gutton, P. (2008). Il genio adolescente. Roma: Edizioni Magi

Lasch C. (1979). La cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni collettive. Milano: Bompiani Trad. It 1981

Morin E. (1956), trad. it. Il cinema o l’uomo immaginario. Saggio di antropologia  sociologica, Feltrinelli Editore, Milano, 1982

Pellizzari, G. (2019). Introduzione, in Moroni A.A., Sul perturbante. Attualità e trasformazioni di un’idea freudiana nella società e nella clinica psicoanalitica di oggi. Milano: Mimesis

Terrone E. (2014). Filosofia del film. Roma: Carocci editore

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Perturbante (Il)

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