La Ricerca

Parliamo di …Censura con D. Chianese

6/05/22
“Il vivente e il sacro”  di D. Chianese. Recensione di L. Spanò 

PARLIAMO DI… CENSURA

PSICHE INCONTRA DOMENICO CHIANESE

Intervista a Domenico Chianese, di Carmine Pisano.

In Censura, numero 2/2021 di Psiche

A cura di Alessia Fusilli De Camillis

Psiche ha ospitato un dialogo tra Domenico Chianese, psichiatra e psicoanalista con funzioni di training della SPI, di cui è stato Presidente dal 2001 al 2005, e Carmine Pisano, ricercatore di Storia delle religioni presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. In occasione dell’uscita del suo ultimo saggio “Il vivente e il sacro” (Astrolabio, 2020), Domenico Chianese è stato intervistato in tema di sacralità del vivente. Riproponiamo di seguito un estratto dell’intervista rintracciando tre concetti chiave:

Dimensione estetica e antropopoiesi

Il libro sembra proporsi come una psicoanalisi storica del processo di antropopoiesi (creazione dell’uomo), e può essere concepito come una seduta psicoanalitica in cui il paziente/sognatore è l’Uomo considerato come soggetto, presenza o Esser-ci che con il suo sogno esprime in immagini il processo di soggettivazione, il “dramma storico” della presenza, per dirla con Ernesto De Martino. Su questo punto Chianese precisa: «È l’estetica che dà ragione della nascita del soggetto e non viceversa. Non deve nascere un soggetto per avere un’estetica, ma al contrario è dall’estetica che nasce il soggetto». Sebbene i suoi interlocutori non siano solo gli psicoanalisti, a loro l’Autore propone l’idea per cui al fondo dell’essere umano ci sia una dimensione estetica. Estetica in quanto aisthesis (il guardare, il percepire), vale a dire una dimensione che concerne il dominio della visione, che unisce i viventi e sui cui si installa il simbolico. In questo senso  il campo del visivo precede il campo del linguaggio. Chianese menziona e discute a questo proposito studi di matrice antropologica: «In campo antropologico, Dissanayake (1992) ha rintracciato l’origine della predisposizione estetica dell’uomo a trasfigurare la realtà nelle prime scene di interazione tra madre e infante che, a dispetto delle variazioni culturali, implicano universalmente meccanismi di ripetizione e imitazione. Questo è molto importante in campo psicanalitico, dove si suole dire che il simbolo nasce dall’assenza, dalla perdita dell’oggetto. Questo è vero, ma è una verità parziale. Il simbolo nasce dalla perdita dell’oggetto, ma su uno sfondo di presenza, perché se in un prima non c’è stata la presenza, la presenza attiva, per esempio di una madre con il bambino, abbiamo un vuoto che richiama un vuoto. Per cui io penso che la rappresentazione, l’elemento simbolico nasca sì dall’assenza, ma su uno sfondo di presenza, di presenza significativa».

Gli «antenati» della psicoanalisi

Carmine Pisano rintraccia nel testo i passaggi in cui l’Autore, parlando di teoria e di pratica clinica, insiste su quelli che egli chiama gli «antenati» dell psicoanalisi, dalla cura sciamanica all’iniziazione misterica, dal buddhismo al dialogo socratico fino al mito: «Ma qual è il valore esatto che Lei assegna a questi «antenati»? Si tratta di equivalenti ante-litteram, termini di confronto o piuttosto di modelli ispiratori della cura psicoanalitica?». Chianese precisa innazitutti che concepisce questi «antenati» nei termini di genealogia del sapere di foucaultiana memoria, con dei gradienti differenziali. Laddove il paragone tra i misteri eleusini e la psicoanalisi risulta più azzardato, alcuni antenati, come il dialogo socratico, sono invece dei parenti più stretti della psicoanalisi: dialogo socratico e psicoanalisi nella loro indagine hanno in comune il ruolo del “conosci te stesso”, della meraviglia e dello stupirsi. Rispetto poi all’accostamento tra cultura greca e cultura indiana, Chianese puntualizza: «Io penso a una continuità piuttosto che a una alterità della cultura greca. Ad esempio, ne “Il vivente e il sacro” sottolineo che gli dèi greci non sono scomparsi, ma si sono inabissati e abitano il nostro inconscio, che le Erinni sono diventate sintomi… Poi non dimentichiamo che la psicoanalisi nasce con l’Edipo, nasce dall’autoanalisi di Freud che, per dar conto della sua dimensione interna, ricorre all’Edipo elaborando così il mito fondatore della psicoanalisi. Con la sua interpretazione di Edipo, l’ebreo Freud realizza uno strano innesto della legge ebraica del padre nel mito greco».

Il concetto di «sacro»

«Questo sacro, che compare nel titolo del suo ultimo libro, è un concetto assai complesso, oggetto di continue discussioni e riformulazioni all’interno del dibattito scientifico». Con queste parole Pisano introduce uno dei punti finali del dialogo con Chianese. Questo concetto di sacro può «esprimere il Totalmente Altro (scuola fenomenologica), la dimensione del sociale (scuola sociologica francese), un prodotto storico-culturale (scuola italiana di storia delle religioni) o una forma universale di categorizzazione dell’esperienza (scuola psicoanalitica). Che cosa intende Lei per sacralità?». Trattenuto dalla dottrina freudiana e diffidente verso la religione la mistica, Chianese dice di essere arrivato tardi al tema del sacro, e arriva poi a chiarire come intende il sacro: «L’aspetto più audace della mia riflessione può essere sintetizzato in questo modo: il sacro e lo psichico nascono insieme. L’Homo sapiens è anche un Homo spiritualis oltre a essere un Homo aestheticus (cfr. Dissanayake, 1992). Scopre non solo l’aisthesis («il guardare, il percepire») ma anche la poiesis («il fare»), disegna sulle pareti di roccia perché lì c’è la sacralità e lo fa in un luogo come la grotta che è un luogo circoscritto. Nella visione di Otto (1917) abbiamo il sacro laddove creiamo una recinzione tra il dentro e il fuori, sia essa la boscaglia, la grotta o il tempio. All’interno c’è il sacro e fuori c’è il profano, e le cose che passano dal fuori al dentro acquistano una loro sacralità proprio perché sono messe all’interno del recinto (in greco temenos, spazio ritagliato). Così accade anche per lo psichico. Quando portiamo dentro le percezioni sensoriali dell’esterno, è in quel momento e in quell’atto di portarle dentro che le trasformiamo in rappresentazioni e simboli. Anche lo psichico ha una sua recinzione, altrimenti non potremmo costituire rappresentazioni e simboli. Questa è la parte più originale delle mie indagini sul sacro (…) Alla fine de Il vivente e il sacro, cito due volte “La persona e il sacro” di Weil (1942-43), dove trovo un modo di intendere la sacralità che mi è particolarmente caro. Secondo Weil non è la persona, che è un concetto, a essere sacra. Sacro è lui, proprio lui, quell’uomo, con le sue braccia, i suoi occhi, i suoi pensieri, fossero anche banali. E poi sacro nell’arte è la bellezza, sacro nella scienza è la verità. Leggendo e meditando queste parole, ho pensato alle esperienze scientifiche di Einstein, Heisenberg, Bohr, che – a mio modo di vedere – erano tutti alla ricerca di entrambe le cose: la verità e la bellezza».

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