
Opera propria – Jeff Gibbs
Parole chiave: Ambiente evolutivo, epigenetica, ereditarietà, Evo-Devo, evoluzionismo, filogenesi, genetica, ontogenesi, separazione materna.
Teodosio Giacolini presenta un report su un lavoro di Hofer (2014) che offre parecchi punti di interesse per gli psicoanalisti. Ne enucleerei almeno quattro. Primo, il tema dell’epigenetica e delle basi della trasmissione intergenerazionale dei traumi. Il primo, un tema già ben evidenziato nel recente contributo di Cristiana Pirrongelli su questo ns. sito, Nuove evidenze neuroscientifiche sulla trasmissione intergenerazionale del trauma, 19/06/25 (riportato in sitografia). Riguardo il tema della trasmissione intergenerazionale, Hofer colloca gli aspetti basilari e nucleari della trasmissione nei segnali biologici dalla madre verso il feto, che chiama regolatori materni nascosti, con il compito di preparare l’adattamento preventivo del cucciolo all’ambiente post-natale; dati di ricerca che potrebbero aiutare a colmare la mancanza attuale, in psicoanalisi, di un modello esplicativo della comunicazione psicologica tra soggetti. Secondo tema di interesse, una stimolante discussione sui fondamenti biologici ed evoluzionistici della psicoanalisi. Il tema dell’evoluzione della specie umana è stato eletivamente trattato da Freud in Totem e tabù (1912-13) attraverso le sue congetture sull’orda primitiva, ma anche attraverso l’equiparazione tra il narcisismo primario infantile ed il pensiero narcisistico dei primitivi. Il riferimento all’evoluzione ha permeato molti altri punto nodali del pensiero freudiano: l’inconscio individuale come precipitato delle precedenti esperienze della specie, e delle stratificazioni istintuali e pulsionali, l’ontogenesi come ricapitolazione della filogenesi, lo sviluppo dell’infans isomorfo all’evoluzione della specie, e viceversa. Terzo punto di interesse, le ricadute di alcune ricerche neurobiologiche intorno al legame e all’attaccamento precoce tra neonati e caregiver sull’assistenza e le cure dei bambini prematuri, e le possibilità di comprendere, alla luce degli adattamenti evoluzionistici della specie, che alcune disfunzionalità nell’adolescenza, potrebbero essere meglio lette come permanenza di modelli autoprotettivi in ambienti traumatici ed instabili nel corso del nostro antico passato evolutivo.
A. Falci
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Teodosio Giacolini
LA ATTUALE EMERGENTE SINTESI IN BIOLOGIA TRA LA TEORIA EVOLUZIONISTICA E TEORIA DELLO SVILUPPO.
Commento sull’articolo:
Myron A. Hofer (2014): The emerging synthesis of development and evolution: A new biology for psychoanalysis. (La sintesi emergente di sviluppo ed evoluzionismo: una nuova biologia per la psicoanalisi).
Neuropsychoanalysis: An Interdisciplinary Journal for Psychoanalysis and the Neurosciences, DOI:10.1080/15294145.2014.901022
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M. A. Hofer, è un ricercatore e psichiatra di orientamento psicoanalitico, attualmente professore emerito del Sackler Institute presso il Dipartimento di Psichiatria della Columbia University, College of Physicians & Surgeons. Il suo precipuo campo di interesse è stato lo studio dei processi di sviluppo che intervengono nella relazione di attaccamento tra prole e caregiver, utilizzando modelli sperimentali su piccoli mammiferi.
L’idea portata avanti nel paper, già suggerita nel titolo, è che la sintesi attualmente emergente in biologia tra la teoria evoluzionistica e teoria dello sviluppo, possa fornire un nuovo quadro concettuale all’interno del quale i principi fondamentali della biologia e della psicoanalisi potrebbero trovare un nuovo terreno comune. Ricordo, per inciso, che un’analoga profferta di cooperazione teorica e scientifica venne rivolta alla comunità psicoanalitica internazionale da parte del neuroscienziato e premio Nobel Eric Kandel (1999, 2012). Un invito che non ebbe mai risposte; un segnale di rifiuto o di resistenza, malgrado appaia tutt’ora ineludibile un dialogo tra le nostre teorie e pratiche con gli aggiornamenti biologici, giusto per il ripetuto richiamo dello stesso Freud sull’appartenenza della sua scienza al campo delle discipline naturalistiche.
Hofer evidenzia come l’iniziale costruzione della psicoanalisi si sia fondata proprio su due aspetti egemonici nella biologia del suo tempo: l’evoluzionismo e lo sviluppo individuale. Il primo legato all’opera di Darwin (1809-1882) e il secondo ai contributi di Haeckel (1834-1919). A quest’ultimo, come noto, si deve la famosa legge biogenetica per cui “l’ontogensi ricapitola la filogenesi”. Vale a dire che,nelle specie più evolute, lo sviluppo embrionale precoce attraversa fasi simili a quelle degli adulti delle specie più primitive. Tale legge, che univa strettamente l’evoluzione filogenetica con lo sviluppo ontogenetico, fu fatta propria dalla teoria freudiana. Hofer ricorda come Freud delineasse l’inconscio come il “precipitato delle esperienze precedenti della specie. [Infatti] [p]ortando dentro di sé il peso cumulativo dell’evoluzione, il bambino è spinto da impulsi arcaici e perversi” (1914, IV, 448). Insomma le esperienze umane pregresse di emozioni, istinti e memorie si sarebbero tramandate, per Freud, attraverso le generazioni rimanendo presenti nell’inconscio di ogni individuo.
Secondo Hofer l’affermarsi degli studi sulla genetica, nei primi anni del ‘900, accellerò l’interesse della biologia per evoluzionismo e per i processi di trasmissione transgenerazionale dei caratteri, mentre gli studi sullo sviluppo malgrado la fioritura della branca specializzata dell’embriologica, rimasero più isolati.
Soltanto a metà del ‘900, due nuove discipline, l’etologia in Europa e la psicologia comparata negli USA, sollecitarono attenzione sui processi dello sviluppo individuale. La prima, utilizzando i modelli animali, mise a fuoco le radici biologiche delle risposte alla separazione materna, quali il rallentamento motorio, la diminuzione della frequenza cardiaca e della termogenesi, il rapido calo dei livelli dell’ormone della crescita, ma anche l’aumento della suzione non nutritiva, della reattività comportamentale e della secrezione di corticosterone. Il dato sorprendente delle ulteriori ricerche fu che le radici delle risposte alla separazione materna, quindi, non erano spiegabili solo in base al modello dell’attaccamento di Bowlby (1969) circa le risposte alla separazione; un modello caratterizzato dalle fasi di protesta, disperazione, distacco. Altri funzionamenti alterati si collocavano, quindi, ad un livello di funzionamento biologico più profondo rispetto al modello attaccamentale.
Si trattava delle risposte specifiche al venir meno di quelli che Hofer definisce i “regolatori materni nascosti” (hidden maternal regulators), costituiti da molteplici comportamenti e funzioni materne — quali il leccare il cucciolo, fornirgli calore, odori, permetterli la suzione del latte a ritmo adatti — che determinano la omeostasi dei molteplici sistemi della neonata prole, come i livelli di ormoni, la pressione sanguigna, i ritmi del sonno, ed altro. Fu sorprendente osservare come le reazioni alla separazione dalla madre venissero attenuate fornendo al cucciolo elementi sensoriali vicarianti della presenza madre stessa, come una morbida pelliccia sintetica, un ambiente caldo o l’odore materno, singolarmente o in combinazione, ciascuno dei quali contribuiva, in modo additivo, ad una risposta calmante simile a quella del ricongiungimento con la madre vera e propria. Hofer evidenzia come i risultati di queste ricerche abbiano avuto successive applicazioni nella clinica. In particolare la scoperta che i livelli di ormone della crescita nei cuccioli di ratto potevano essere regolati da una vigorosa stimolazione tattile, simile a quella che si verifica quando vengono leccati e puliti dalle loro madri, venne traslata in un contesto clinico che coinvolgeva neonati prematuri umani, con peso alla nascita molto basso e tenuti in isolamento in una unità specialistica (Field et al., 1986). Venne così scoperto un significativo miglioramento del peso e della crescita complessiva dei prematuri, nell’arco di alcuni giorni, grazie a interventi basati su carezze ed accompagnati da mobilizzazione degli arti – solo 15 minuti, tre volte al giorno – che permisero ai neonati di lasciare l’unità di terapia intensiva sei giorni prima rispetto a un gruppo di controllo di neonati che avevano ricevuto cure tradizionali. Tali scoperte, come mette in evidenza Hofer, evidenziavano come i processi di sviluppo di base si siano conservati nell’evoluzione. mostrandone la stretta connessione.
La somiglianza tra i ratti e gli esseri umani agli effetti della separazione dalla madre era visibile anche alla risposta positiva di entrambi alle benzodiazepine e alla serotonina, che riducevano gli effetti delle manifestazioni dell’ansia da separazione. Analogamente Hofer descrive come un rapido apprendimento olfattivo positivo — uno stimolo verso cui orientarsi — possa essere rinforzato attraverso la fornitura di latte, o attraverso le carezze al cucciolo con una spazzola morbida per simulare le leccate della madre. Ma inaspettatamente, anche fornendo associazioni negative i cuccioli impararono rapidamente a cercare e rimanere vicino a qualsiasi odore nuovo associato a queste forme di stimolazione! Potrebbe trattarsi un processo simile all’imprinting responsabile dello sviluppo della forte inclinazione dei giovani mammiferi, compresi gli esseri umani, a preferire e rimanere vicini alle proprie madri, anche se fonti di esperienze negative. Forse anche quest’attivazione appare in grado di spiegare i paradossali forti legami di attaccamento che si creano tra i soggetti umani in età evolutiva e i loro caregiver abusanti: l’aspetto avversativo e negativo del rapporto violento è intrinsecamente congiunto con i segnali di sicurezza provenienti dallo stesso oggetto. L’esposizione ad un odore positivo di sicurezza (ad es, l’odore della saliva della madre), in ratti adulti, può migliorare i comportamenti simil-depressivi, se gli animali erano stati sottoposti fin da cuccioli all’odore familiare. Si tratta di un evidente “segnale di sicurezza” legato agli odori positivi, che, però, si può attivare anche in presenza di pericoli.
La scoperta dei regolatori materni nascosti indusse Hofer a chiedersi quale potesse essere stata la storia evolutiva di tali processi di sviluppo. Un fondamentale stimolo in tale direzione, è stato, per il ns. autore, il saggio Wonderful Life (1989) (La vita meravigliosa) di Steven J. Gould, che evidenziava l’interconnessione tra evoluzione e sviluppo, descrivendo come in un breve lasso di tempo tra 570 e 540 milioni di anni fa — la così detta esplosione Cambriana, consistente nella prima organizzazione verso organismi multicellulari complessi da organismi unicellulari come protozoi (algae, amoebas, flagellates) e batteri — avesse permesso l’apparizione degli antenati di tutte le principali classi (Phyla) di animali, alcune delle quali molto simili a quelle che conosciamo oggi. È da questa unione di numerose cellule in organizzazioni più strutturate che si è potuto cominciare a parlare quindi di processi che oggi raggruppiamo sotto il termine di “sviluppo“. Un concetto che è andato così assumendo un posto centrale nella prospettiva evoluzionistica, dando luogo, tra la fine del secolo scorso e l’inizio degli anni 2000, a quel nuovo campo di ricerca in biologia denominato biologia evolutiva dello sviluppo, informalmente noto come “Evo-Devo” (Evolutionary Developmental Biology)[1]. Il passaggio degli organismi verso processi di sviluppo, non solo permetteva di aumentare la variabilità presente in ogni generazione, ma introduceva anche la possibilità di nuove modalità ereditarie che avrebbero reso possibile una accelerazione del tasso di cambiamento evolutivo; un passaggio che potrebbe essere sintetizzato secondo il concetto di “evoluzione della capacità di evolvere” (Carroll, 2002), cha ha senza dubbio allargato la nostra comprensione dello sviluppo, come una delle grandi forze creative dell‘evoluzione. Questa nuova prospettivacapovolge la visione meccanicistica e semplificata di Haeckel sulla filogenesi ricapitolata nell’ontogenesi, di cui egli stesso non sapeva spiegare l’intima correlazione. Ma capovolge anche l’idea di Freud di uno sviluppo forgiato su un concetto mitico e vago di evoluzione da fasi primitive come “precipitato o rievocazione delle esperienze precedenti della specie o di impulsi arcaici e perversi” — ma depositate dove e come? — e soprattutto l’idea freudiana di una concezione di sviluppo che non mostrava nessun riferimento alla grande lezione darwiniana dell’evoluzione come frutto di processi adattivi biologici.
Un dimostrativo esempio dei legami tra evoluzione e sviluppo è stato da Hofer evidenziato in ricerche su ratti precocemente svezzati (Liu et al., 1997). Essi, una vota adulti — prima generazione — mostravano a loro volta comportamenti analoghi con la propria prole — seconda generazione — riducendo il tempo di accudimento, in confronto alle madri precedentemente non svezzate precocemente. Ed ancora, questi cuccioli che avevano ricevuto poche cure diventavano due volte più vulnerabili all’ulcera in situazioni di stress in età adulta, rispetto alla prole di femmine allevate normalmente. Elementi sorprendenti erano non solo che tali caratteristiche di sviluppo disturbato si trasmettessero alle generazioni successive, ma che tale caratteristica transgenerazionale si mantenesse anche nella prole che, dopo essere stata partorita, veniva allevata da madri che non erano state precocemente svezzate. Dati che indicavano come tale esperienza avesse generato una vulnerabilità trasmessa durante lo sviluppo embrionale e fetale della prole interessata — dalla seconda generazione in poi — all’interno dell’ambiente intrauterino delle madri svezzate precocemente, oppure tramite un effetto ancora più precoce sulle cellule germinali della madre durante o dopo lo svezzamento precoce subito da parte della nonna della prole interessata. Queste osservazioni trovarono una cornice esplicativa nell’ambito dell’epigenetica[2], che ha consentito di comprendere come le cellule di un singolo individuo, nonostante abbiamo lo stesso DNA, si diversifichino durante lo sviluppo, diventando cellule specializzate dei vari organi. In effetti è stato dimostrato come nel corso di divisioni cellulari, alcuni geni nelle cellule figlie vengano silenziati, mentre altri geni vengono attivati[3]. Come si può constatare, suggerisce Hofer, il termine epigenetica appare come un vasto ombrello concettuale che copre sia i micro-meccanismi di regolazione genetico-molecolare, sia i processi di epigenesi evolutiva che riguardano le macro-interazioni ambientali in grado di influenzare i dati ereditari.
Gli effetti dell’allevamento della madre sulla plasticità a lungo termine dei processi di sviluppo della prole possono adesso essere meglio spiegati con il vantaggio evolutivo che deriva dall’essere effetti “anticipatori” che, equipaggiando la prole, possano dare ai cuccioli la capacità di sviluppare adattamenti anche prima di incontrare caratteristiche difficili dell’ambiente particolare in cui funzioneranno da adulti. In altre parole, i giovani organismi si evolvono per essere sensibili al loro ambiente iniziale, ma ciò viene comunicato da istruzioni fornita dalla madre, anche a partire dall’ambiente fetale.
Nei mammiferi, la madre è il primo ambiente completo e fa parte dell’eredità del cucciolo, un “ambiente ereditato” (una frase che non è affatto un ossimoro). La relazione madre-bambino è quindi in grado di funzionare come matrice e modello per guidare i processi di sviluppo nella prole.
Un esempio di questo tipo di processo evolutivo può essere trovato nelle ricerche di Champagne e Meaney (2006), i quali hanno dimostrato che, se le femmine di ratto gravide venivano sottoposte a condizioni stressanti, il loro comportamento successivo nei confronti dei cuccioli veniva alterato, fino al punto di leccarli e pulirli meno. Questa alterazione nelle cure, a sua volta, alterava lo sviluppo dei cuccioli a livello epigenetico, così che, appena più cresciuti, essi mostravano comportamenti sessuali e riproduttivi precoci, e da adulti erano più aggressivi e meno ansiosi, con meno probabilità nel mostrare risposte estreme allo stress, mostrando, in tal modo, di essere preadattati alle dure condizioni prevedibili dalla precedente esperienza di vita della madre.
Hofer constata che attualmente il ritmo dell’evoluzione culturale e la generale “accelerazione della storia” hanno portato a un costante aumento di rapidità del cambiamento intergenerazionale in molte società umane. Di conseguenza, i sistemi di sviluppo selezionati dall’evoluzione, che potevano “prevedere” in quale tipo di ambiente i bambini sarebbero cresciuti, in base alle esperienze di vita precedenti dei genitori, allo stato attuale dei cambiamenti antropologici e sociali potrebbero non essere più così adattivi.
Parlando adesso delle esperienze umane, il comportamento “patologico” degli adolescenti che emergono da esperienze infantili, che ora consideriamo essere costituite da abuso e abbandono, potrebbe in realtà essere risultato protettivo in ambienti primitivi e instabili, durante il nostro passato evolutivo, in cui la mancanza di investimento nelle relazioni sociali insieme a iperattività, aggressività, breve capacità di attenzione e rapida maturazione sessuale, sarebbero stati adattivi e garanti di sopravvivenza.
Infine Hofer si chiede, a proposito delle ricerche qui esposte per la comprensione dello sviluppo mentale precoce, se le loro implicazioni non possano anche coinvolgere la psicoanalisi che ha sempre mostrato una precipua attenzione ai temi della nascita della mente. Prove crescenti dimostrano che i circuiti cerebrali responsabili dei sentimenti soggettivi e persino del pensiero astratto negli esseri umani sono chiaramente collegati funzionalmente a (e probabilmente si sono evoluti da) circuiti molto più antichi che analizzano ed elaborano le nostre esperienze sensoriali e gli atti motori a livello dell’organizzazione comportamentale (Panksepp, 2003; Kandel, 2012).
I regolatori materni nascosti possono costituire le prime esperienze che il neonato interiorizza della sua relazione con la madre, e le radici delle rappresentazioni dell’“essere insieme” ad un’altra persona significativa, la quale regola i suoi stati di bisogno, le radici dei legami affettivi e della disperazione alla loro perdita.
Dunque, l’espressione usata da Hofer nel titolo “Una nuova biologia per la psicoanalisi”, è ora comprensibile alla luce della ripresa dell’interesse in biologia per lo sviluppo come aspetto centrale dei processi evoluzionistici (Evo-Devo). Ciò potrebbe rappresentare un invito al coinvolgimento degli psicoanalisti — che hanno avuto per così tanto tempo come riferimento una biologia ottocentesca, e che si sono trovati in una situazione di isolamento rispetto agli avanzamenti delle ricerche biologiche ed evoluzionistiche — a partecipare ad un dialogo con il mondo delle nuove neuroscienze molecolari. Un invito dello stesso tenore di quello così elegantemente presentate, anni fa, alla psicoanalisi da Eric Kandel (1999, 2012).
Siamo consapevoli di essere nei primissimi step per la comprensione dell’evoluzione e lo sviluppo della mente. Forse questo può unire le prospettive di biologi e psicoanalisti, riconoscendo che i progressi nella ricerca psicoanalitica sono stati meno rapidi rispetto alle accelerazioni della ricerca biologica negli ultimi decenni. Hofer auspica una crescente comunicazione tra i due campi, poiché sembra impossibile che i neuroscienziati e gli psicoanalisti non colgano la preziosa importanza di pensare a comuni quadri di riferimento che vedano in un modo integrato lo sviluppo psicologico e lo sviluppo biologico.
Riferimenti
Bowlby J. (1969). Attachment: Attachment and loss. New York, NY, Basic Books.
Carey N. (2012). The epigenetics revolution. Icon Books, London.
Carroll R. (2002). Evolution of the capacity to evolve. Journal of Evolutionary Biology, 15, 911–921. doi:10.1046/j.1420- 9101.2002.00455.x
Champagne F. A., Meaney, M. J. (2006). Stress during gestation alters postpartum maternal care and the development of the offspring in a rodent model. Biological Psychiatry, 59, 1227–1235. doi:10.1016/j.biopsych.2005.10.016
Field T. M., Schanberg S. M., Scafidi, F., Bauer C. R., Vega-Lahr N., Garcia, R., Kuhn, C. M. (1986). Tactile/kinesthetic stimulation effects on preterm neonates. Pediatrics, 77, 654–658.
Freud S. (1912-13), Totem e tabù. OSF, VII. Bollati Boringhieri, Torino.
Freud S. (1914). Prefazione alla 3°. ediz. di Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), OSF, IV. Bollati Boringhieri, Torino.
Goodman C. S., Coughlin, B. C. (2000). The evolution of evo-devo biology. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 97, 4424–4425. doi:10.1073/pnas.97.9.4424
Gould S. J. (1989). La vita meravigliosa. I fossili di Burgess e la natura della storia, Feltrinelli, Milano, 1990. (Wonderful life: The Burgess Shale and the nature of history.W.W. Norton & Co, New York, NY.)
Kandel, E. R. (1999). Biology and the Future of Psychoanalysis: A New Intellectual Framework for Psychiatry Revisited. American Journal of Psychiatry, 1999, 156: 505-524.
Kandel, E. R. (2012). Biology and the future of psychoanalysis: A new intellectual framework for psychiatry revisited. Psychoanalytic Review, 99, 607–644.
Liu D., Diorio J., Tannenbaum B., Caldji C., Francis D., Freedman A., … Meaney M. J. (1997). Maternal care, hippocampal glucocorticoid receptors, and hypothalamic-pituitary-adrenal responses to stress. Science, 277, 1659–1662. doi:10.1126/science.277.5332.1659.
Panksepp J. (2003). At the interface of the affective, behavioral and cognitive neurosciences: Decoding the emotional feelings of the brain. Brain and Cognition, 52(1), 4–14. doi:10.1016/S0278-2626(03)00003-4
[1] Per un’analisi delle implicazioni dell’“esplosione” Cambriana e del suo ruolo nelle origini dell’“Evo-Devo”, vedi Goodman & Coughlin, 2000.
[2] L’epigenetica è un recente settore della biologia che studia i rapporti tra geni e fattori ambientali, i quali possono effettuare attivazioni o disattivazioni nell’espressione genica, senza però modificare la sequenza del DNA.
[3] Per un resoconto vivace e leggibile di questo nuovo campo, vedere Carey, 2012.