La SPI

Luciana Sica

1/10/12

 

foto sica_-1Nel maggio 2012, a Roma, in occasione delle Giornate Italiane di Psicoanalisi “Realtà psichica e regole sociali”, il Presidente della Società Psicoanalitica Italiana, Stefano Bolognini, ha conferito a Felice Cimatti  e a Luciana Sica il Premio Cesare Musatti.

 

 

Come è tradizione della Società Psicoanalitica Italiana, abbiamo il piacere di attribuire il premio “Cesare Musatti” che fu inaugurato in occasione del centenario della nascita di uno dei nostri Padri Fondatori. Il Premio Musatti è stato assegnato tradizionalmente a figure del mondo della cultura, nelle  sue varie declinazioni, sia nel senso dei contributi intellettuali, -libri, articoli, interventi di varia natura – sia proprio nel senso dell’informazione mirata e specifica.

Sono stati premiati artisti famosi, pensatori e giornalisti di alto livello che hanno fornito quel ponte necessario alla conoscenza della Psicoanalisi da parte del vasto pubblico.

Oggi abbiamo qui due persone che hanno contribuito in maniera molto ricca a questo rapporto del mondo psicoanalitico con il mondo esterno e viceversa. Luciana Sica e Felice Cimatti.

Marta Badoni leggerà la motivazione del Premio a Luciana Sica .

Stefano Bolognini 

RIPORTIAMO I DISCORSI DI CONFERIMENTO ED ACCETTAZIONE DEL PREMIO CESARE MUSATTI  

Premio Cesare Musatti a Luciana Sica : Conferimento.

La Dr.ssa Luciana Sica è stata scelta dal Comitato Esecutivo della Società Psicoanalitica Italiana come destinataria, insieme al Prof. Felice Cimatti, del Premio Cesare Musatti 2012.

MOTIVAZIONE:

Giornalista professionista, ha iniziato al sua carriera a “Paese Sera”. E’ stata poi assunta alla “Nuova Sardegna” e dopo tre anni, nel 1989, è passata al quotidiano “la Repubblica”, occupandosi sempre di tematiche culturali. Nel periodo iniziale ha lavorato nella redazione di “Mercurio”, il supplemento dedicato ai libri. In seguito, all’interno del servizio culturale del quotidiano, ha coltivato un’attenzione qualificata soprattutto per i temi legati alla psicoanalisi, alla psichiatria, alle psicoterapie e alla psicologia.

Si ricordano le sue interviste con gli analisti italiani più importanti, ma anche con personalità di rilievo internazionale come Matte Blanco, André Green, Janine Chasseguet-Smirgel, Salomon Resnik, René Kaës, Luc Ciompi. La rivista “Leggere” ha pubblicato una sua lunga conversazione con Hans-Georg Gadamer.

Sulle colonne del suo giornale, Luciana Sica ha fornito con continuità una lunga serie di articoli molto apprezzati, con indiscutibile spirito di indipendenza critica e una singolare capacità di veicolare al grande pubblico temi di un rilevante impegno culturale resi ben comprensibili e soprattutto vivacizzati da uno stile franco, diretto e aperto alla complessità.

Si è sempre posta in un’ottica libera, riconoscitiva dei valori della psicoanalisi e interessata anche a raccordarli con panorami ampi e controversi della realtà sociale e della cultura contemporanea, rifuggendo da formule scolastiche e dimostrando un costante contatto e aggiornamento riguardo alla psicoanalisi in generale, e a quella italiana in particolare.

Per noi psicoanalisti, il suo sguardo riconoscitivo ma disincantato e la sua tensione critica rappresentano una messa alla prova dell’area di contatto tra la nostra comunità scientifica e il mondo circostante: più volte i suoi articoli ci hanno presentato in modo lucido ed efficace la dimensione di quell’interfaccia, e ci hanno fornito numerose opportunità di riflettere – oltre che di far riflettere – sul rapporto tra la psicoanalisi e il mondo contemporaneo.

La nostra gratitudine va anche a “Repubblica”, la cui coraggiosa apertura di orizzonti si è estesa con generosità all’area culturale che riguarda la psicoanalisi, in un tempo in cui tutto ciò non è scontato. 

Marta Badoni 

Premio Cesare Musatti a Luciana Sica : Accettazione . 

Una premessa necessaria: il mio intervento del 26 maggio 2012, durante la cerimonia di consegna del Premio Musatti, è stato pensato per essere ascoltato e non letto. Proverò a sintetizzarlo, restando fedele allo stile diretto che ho scelto, l’unico ad essermi congeniale.

Mi limiterò a qualche rapida considerazione e a qualche suggerimento forse utile, in base alla mia esperienza professionale. Innanzitutto ringrazio Stefano Bolognini e gli analisti della Spi che hanno voluto riconoscere il mio impegno giornalistico, un lavoro che da sempre svolgo con onestà e senso di indipendenza, con una passione di natura non solo intellettuale – e a chi di mestiere fa l’analista questo elemento non sarà certamente sfuggito. Quel che conta è proprio la vostra scelta, il fatto nuovo è l’importanza che attribuite all’attività di una giornalista impegnata a valorizzare la
psicoanalisi: per la qualità preziosa della sua clinica e perché consente una comprensione più profonda di quel che accade.

Al mio sguardo – privo di ogni pregiudizio – il vostro mondo sembra affollato di ottimi clinici e ottimi studiosi, impastato di umanesimo francese come di empirismo anglosassone, di orientamenti teorici anche molto diversi tra loro ma in grado di dialogare senza irrigidimenti dottrinali e tanto
meno di natura personale. Almeno all’esterno, il tempo delle divisioni aspre dentro le scuole – e ormai anche tra le scuole – appare poco comprensibile…

Una questione seria riguarda la compatibilità dei vostri contenuti con i contenitori cartacei e sempre più digitali dell’informazione. Qui l’interrogativo è doppio: intanto bisogna chiedersi se la psicoanalisi abbia davvero un interesse a conquistare una maggiore visibilità. E poi però occorre
anche chiedersi se da parte dell’informazione ci sia un interesse autentico per la psicoanalisi. C’è senz’altro una difficoltà ed è vistosa, simmetrica, reciproca.

È chiaro che non potrà esserci nessuna compatibilità tra voi e il circo mediatico nelle sue espressioni più grossolane. Qui si sta parlando d’altro, della possibilità di stabilire un rapporto tra voi e il mondo molto più circoscritto dell’informazione culturale, un luogo bene o male deputato
alla circolazione delle idee, alla promozione di libri, autori, dibattiti… Pesa come un macigno quell’obiezione che sento da una vita e rischia di diventare un ritornello sterile e paralizzante: la psicoanalisi infatti non sarebbe in nessun caso “dicibile”. È proprio così: non è facile da “dirsi” e
neppure averne dimestichezza. Ma il mio lavoro dimostra che non è impossibile intendersi, se alla base c’è un sentimento di considerazione reciproca, un po’ di coraggio, un po’ di umiltà, e se mi passate l’espressione: un qualche desiderio di compromissione con la vita.

Certamente può dispiacere la traduzione del linguaggio psicoanalitico in una prosa meno oscura – perché è vero: tradurre è sempre un po’ tradire. Bisogna vedere però in che dosi, quale equilibrio sia possibile raggiungere tra l’eleganza del vostro pensiero e la chiarezza che nella divulgazione è odovrebbe essere sempre un’assoluta priorità. Chiarezza non è però sinonimo di brutale semplificazione, e tanto meno di sciatteria. E non dimenticherei quel grido di allarme della Royal Society, che da tempo affronta con piglio deciso la questione dei rapporti tra scienza e opinione pubblica. Non oggi, ma ormai trent’anni fa, l’Accademia britannica delle scienze concludeva un suo celebre rapporto con queste parole testuali: “Gli scienziati devono imparare a comunicare con il pubblico e a considerare questa attività un proprio dovere”. Ora, se la psicoanalisi è “una scienza a statuto speciale”, un numero ristretto e autorevole di analisti dovrebbe porsi il problema di far sentire la propria voce, di restituire un’immagine meno inaccessibile e astrusa del vostro sapere teorico e clinico. Solo se la psicoanalisi sarà in grado di produrre libri originali, colti e ben scritti,  l’informazione sarà incoraggiata ad occuparsene seriamente…

Tutti noi tendiamo ad essere gelosi di quel che amiamo. E però, quando siamo gelosi, rischiamo di diventare un po’ moralisti. Non è l’unico rischio: perché – nella difesa ad oltranza di quel che conta per noi – rischiamo di perdere la nostra stessa libertà, l’autonomia intellettuale, il pensiero critico, il nostro orizzonte creativo. È questo che fatalmente “annacquiamo” di noi stessi quando facciamo coincidere l’identità con un sentimento di radicale e incondizionata appartenenza.

Chiudo citando Bernardo Bertolucci. “Finché c’è analisi c’è speranza”, mi diceva anni fa con enfasi molto autoironica il grande regista, che senz’altro ha meritato il premio Musatti come altri personaggi di primo piano della cultura italiana. Mi sento davvero in buona compagnia, entrando
nella storia di questo premio – da cronista piuttosto ostinata a tenerla viva, quella speranza dell’analisi. Grazie a chi ne ha tenuto conto.

Luciana Sica 

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