La Ricerca

Intervista a Luis Kancyper

17/11/08

D.: Quali sono le esperienze, nella tua formazione psicoanalitica, che ritieni più significative?

 

R.: Sono trascorsi 40 anni da quando mi sono laureato in medicina a Buenos Aires. Subito dopo la laurea, mi sono dedicato allo studio e alla pratica della psicoanalisi con bambini e adolescenti. Feci le mie prime esperienze con la teoria e la clinica psicoanalitica presso il servizio di Psicopatologia di Lanùs, diretto dal dr. Mauricio Goldenberg e poi dal dr. Valentìn Barenblit. Già allora ci si interrogava sul setting classico dell’analisi dei bambini e si iniziavano a sperimentare nuove strategie terapeutiche inclusive dei genitori.

 

Dopo alcuni anni, entrai a far parte della Associatión Psicoanalítica Argentina. I miei analisti, docenti, e supervisori mi trasmisero con passione ciò che la psicoanalisi era stata fin dalle origini: conquistatrice e iconoclasta, non icononofilica, né sottomessa. Mi aiutarono a comprendere come il mantenimento di un legame autentico con la psicoanalisi richieda coraggio e rigore; e anche come la scrittura di un testo psicoanalitico sia essenzialmente un esercizio di libertà, il cui fine è contrastare l’inesorabile ripetizione di un destino prestabilito di sofferenza.

 

La mia formazione teorica deriva dallo studio profondo e sistematico delle opere di Freud, Klein, Winnicott e Lacan. Un capitolo a parte è poi costituito dagli incontri settimanali che da molti anni ho avuto prima con Willie e Madeleine Baranger e ora con la sola Madeleine, con i quali ho condiviso e confrontato le mie idee e i miei scritti psicoanalitici.

 

Un’altra fonte importante nella scrittura e nella pratica psicoanalitiche è per me rappresentata dallo studio da un lato dei miti biblici e greci, dall’altro dei rapporti tra letteratura e psicoanalisi. Ritengo che la letteratura apporti alla psicoanalisi qualcosa d’imprevedibile, faccia maturare lo strumento analitico e, grazie alla sua specificità, arricchisca le possibilità di ascolto e comprensione.

 

La psicoanalisi attuale ci pone in una prospettiva temporale che guarda al futuro con uno sguardo bifronte e interlocutorio rispetto alle conquiste e agli errori commessi fino ad oggi. A mio parere, è a questo livello che la funzione trasformativa della psicoanalisi, accanto a quella di altre discipline, potrà affermarsi nella clinica, nella cultura e nella società. 

 

Perciò ritengo che ogni analista, nella pratica, dovrebbe sempre rivedere la composizione del proprio patrimonio teorico e riconoscere in quale misura il suo attuale approccio clinico corrisponda alla sua vigente visione metapsicologica. A mio parere, le molte sfide che la post-modernità lancia con i suoi cambiamenti vertiginosi e aldilà degli effetti positivi o negativi che essi generano in ciascuno, riguardano anche l’analista. Immerso in questa cultura del disincanto, egli si trova continuamente esposto al rischio di una diluizione delle proprie convinzioni psicoanalitiche e di una banalizzazione dei fondamenti metapsicologici e tecnici della sua pratica clinica. Da qui, perciò, la necessità che “si proceda verso la continua ricerca di nuove metapsicologie in grado di dare fondamento ai cambiamenti delle soggettività nella nostra epoca”.

 

 

 

D.: Com’è nata la tua attenzione verso il complesso fraterno e quando ti sei reso conto della necessità di una teorizzazione specifica, a partire dal discorso freudiano

 

 

 

R.: E’ sulla base dell’esperienza clinica e di quanto illustrato dalla letteratura che ho potuto rendermi conto dell’importanza che, in certi soggetti, assumono le dinamiche relative al complesso fraterno: sia in rapporto alla morte di un fratello, o alla presenza di un fratello portatore di un handicap, o malato fisicamente e/o psichicamente; sia rispetto a tutte quelle vicissitudini tra fratelli che abbiano lasciato nelle dinamiche famigliari ferite tali per cui il figlio “sano” si trovi a svolgere le difficili funzioni di “fratello di rimpiazzo”, o sostitutivo.

 

Per altro verso, il trattamento clinico dei gemelli mostra ancor meglio le specifiche caratteristiche del complesso fraterno, al punto che ne è nato un problema di ampliamento della metapsicologia freudiana del narcisismo e dell’Edipo, rivelatasi al riguardo insufficiente. A questo livello, il complesso fraterno va inteso come un insieme organizzato di desideri amorosi e impulsi aggressivi che il bambino sperimenta nei confronti dei suoi fratelli.

 

Inoltre, non sviluppandosi solo in relazione all’influenza esercitata dalla concreta presenza di fratelli nella realtà esterna, lo si deve intendere come complesso che trascende i vissuti individuali. Anche il figlio unico, come ogni altro essere umano, si confronta col modo specifico con cui esso si struttura in lui.

 

D.: Generalmente si pensa che il complesso fraterno derivi da uno spostamento del complesso edipico. Da qui, “derivano” tre considerazioni:  l’affetto originariamente indirizzato verso i genitori troai in fratelli e cugini un oggetto di investimento che funge da passaggio facilitante l’uscita di casa, l’emancipazione e favorisce, con la raggiunta maturità sessuale, l’esogamia;  il movimento regressivo porta invece a una fissazione e ad una permanenza del complesso edipico; il complesso fraterno dissimuai la struttura edipica, impedendone l’elaborazione e generando maggior confusione.

 

Nella tua teorizzazione, invece, differenzi radicalmente il complesso fraterno dal complesso edipico. Puoi accennare per i nostri lettori al tuo pensiero, in proposito?

 

R.: Possiamo distinguere quattro funzioni del complesso fraterno: sostitutiva, difensiva, elaborativa e strutturante. In questo senso, presentando caratteristiche affatto peculiari, il complesso fraterno è del tutto indipendente dal complesso mascherato che deriva dallo spostamento sui fratelli del complesso paterno e materno.

 

Anche le manifestazioni dei legami fraterni, sia nell’apparente naturalezza della normalità, sia nelle trasfigurazioni e nelle esagerazioni della patologia, sono assai differenti da quelle tipiche delle relazioni con i genitori. In esse, in particolare, si trovano amplificati quel carattere narcisistico dell’investimento e quella intensa ambivalenza che, secondo Freud, sono i fattori che più di ogni altro rendono difficile, e a volte impossibile, il lavoro psichico dell’elaborazione del lutto. In questo senso, il fratello rappresenta da una parte il simile troppo simile e dall’altra la prima comparsa dell’estraneo nell’infanzia. Peraltro, è ben noto come il confronto con l’altro, l’intruso, il doppio, comporti al contempo il raggiungimento di notevoli compromessi anche a livello narcisistico ed edipico. E poiché nella clinica si è soliti trascurare il complesso fraterno in favore di quello edipico e pre-edipico, spesso ci si trova a constatare che l’interpretazione a questo livello provoca dei cortocircuiti e, perciò, si rivela insufficiente quando non addirittura sbagliata.

 

 

D.: Come si situa, allora, il complesso fraterno,  rispetto a Edipo e Narciso?

 

R.: A mio parere, quello edipico non va considerato come l’unico complesso nucleare delle nevrosi. Anche il complesso fraterno ha una funzione strutturante e un ruolo formativo nella vita psichica del soggetto e dei popoli. Ricordo che, in Totem e tabù, Freud sostiene che, ai loro albori, le religioni, la morale, le società e l’arte hanno in comune una stretta correlazione col complesso edipico. Io credo che egualmente il complesso fraterno svolga un ruolo decisivo in questi albori. E, peraltro, nella sua ultima opera, Mosè e la religione monoteista, lo stesso Freud considera ancora una volta come le regole sociali, collegate al nuovo ordine formatosi con l’Edipo, debbano essere ascritte anche al complesso fraterno in quanto stabilizzatore dell’ordine edipico oltre la fase dell’uccisione del padre. Diversamente, sarebbe inevitabile una continua regressione alla fase precedente.

 

Certamente le relazioni fraterne si organizzano anche in base ai legami inter-generazionali con un padre-Dio, ma le loro dinamiche vanno considerate come del tutto peculiari rispetto a quelle edipiche. In effetti, anche verso il proprio simile fraterno il soggetto è capace di sviluppare sentimenti di rivalità anche molto violenta, una rivalità però di tipo intra-generazionale e che riattiva in lui le paradossali dinamiche del doppio nelle sue varie forme: immortale, ideale, bisessuale e speculare.

 

 

D.: Si può arrivare ad un’elaborazione del complesso fraterno solo… “cedendo il passo”?

 

R.: No! E’ necessario che si sviluppino le fantasie inerenti il complesso fraterno e che queste siano poi messe in correlazione da una parte con le fantasie fratricide e di furto e dall’altra con quelle di solidarietà e complementarietà fraterna. Si tratta di quel complesso di fantasie che organizzano il rapporto tra il soggetto e il suo simile e che, naturalmente, sono differenti sia dai fantasmi edipici, incestuosi e parricidi, sia da quelli narcisistici, segnati dall’immortalità, dalla specularità e dall’eternità.

 

Mi preme chiarire ancora una volta che, avendo considerato la centralità delle dinamiche fraterne, non intendo affatto marginalizzare alcuno dei temi concernenti la cruciale importanza di Narciso ed Edipo nell’organizzazione della vita psichica. Al contrario, il mio principale obbiettivo è mostrare precisamente come queste tre strutture si coappartengano in modo molto stretto. Ciò permette di estendere le frontiere della psicoanalisi, di stabilire nuovi ponti tra teoria e clinica e di perfezionare l’ascolto analitico. In effetti, muovendo dal complesso fraterno verso il complesso edipico e il narcisismo e viceversa, si rende possibile una migliore comprensione dell’animo umano e il superamento di molti ostacoli nel processo analitico, in una prospettiva più ampia e finora inaccessibile. Pertanto, non si tratta di relativizzare il complesso edipico come nucleo centrale della nevrosi. Si tratta piuttosto di articolarlo con le specificità delle strutture narcisistiche ed edipiche. Tra queste tre strutture si realizza un intreccio del tutto originale, che è alla base, in ogni soggetto, della formazione di un’identità unica e irripetibile.

 

BIBLIOGRAFIA

Kancyper L. (1997). Il confronto generazionale. Milano, Franco Angeli, 2000.

Kancyper L. (1991). Il risentimento e il rimorso. Milano, Franco Angeli, 2003.

Kancyper L. (2003). Jorge Luis Borges, o la passione dell’amicizia. Roma, Borla, 2005.

Kancyper L. (2004). Il complesso fraterno. Roma, Borla, 2007.

 

 

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