Cultura e Società

Habemus Papam – Recensione di A. Battistini

17/05/11

Nanni
Moretti, 2011, I-F, 104 min.

Commento di Angelo
Battistini

 

UNA CITTA’ SUL
LETTINO

 

Chissà se Moretti, quando decise di fare “Habemus Papam”, pensava che
sarebbe uscito quasi contemporaneamente alla beatificazione di papa Wojtyla.
Sta di fatto che i due eventi si sono incrociati con singolare coincidenza,
come se il film di Moretti costituisse una sorta di contrappunto a questo
momento di globale tripudio della Chiesa Cattolica. Di fronte a un processo di
beatificazione straordinariamente abbreviato, che molti si spiegano come un
modo di dare slancio e vita a un’istituzione in crisi, “Habemus Papam” potrebbe
essere letto come il commento ironico, talora grottesco, di un laico
profondamente insofferente nei confronti dei rituali propri delle grandi
istituzioni, sia religiose sia politiche. Un’insofferenza impietosa,
graffiante, che vede nell’apparato, nella cerimonia, nella solennità dei riti
collettivi, l’eclissi della persona, il trionfo dell’ufficialità e
dell’ipocrisia. Il grido di terrore e impotenza del neo-eletto papa Melville,
uno straordinario Michel Piccoli, segnala un dramma umano che l’istituzione non
può tollerare: quello di una persona schiacciata dall’angoscia della propria
inadeguatezza di fronte all’assunzione di un’enorme responsabilità. A quel
punto la crisi dell’uomo diviene al contempo la crisi dell’istituzione. Se
quello che dovrebbe essere il capo carismatico, il pastore di tutte le anime,
si sottrae ai propri compiti in preda a un malessere sconosciuto o, peggio
ancora, abbandona “il palazzo” per perdersi nel mondo secolare, i Cardinali, i
Principi della Chiesa, come potranno identificarsi con lui e ritrovare il senso
d’appartenenza e di continuità che l’elezione di un nuovo papa dovrebbe
garantire? A quel punto è il panico, l’angoscia per l’incertezza che potrebbe
prefigurare una catastrofe. In questo stato di cose, ogni Principe della
Chiesa, accantonata l’ufficialità del proprio ruolo, lascia trapelare l’uomo,
il vecchio, con i suoi limiti, le sue piccole debolezze, i suoi infantilismi.
Il torneo di pallavolo tra cardinali, organizzato dallo psicoanalista
Brezzi/Moretti per ingannare il tempo, è una grottesca rappresentazione degli
aspetti infantilizzanti e regressivi che in certi momenti di smarrimento
possono coinvolgere uomini e istituzioni. E la risposta dello psicoanalista al
Cardinale che aveva chiesto se non si potesse invece giocare a palla
prigioniera, “Cardinale, palla prigioniera non esiste più da 50 anni!”, sembra
riassumere in una battuta il senso di tutto il film: questa Chiesa è indietro
di almeno 50 anni, come può andare incontro alle esigenze del nostro mondo? Ma
le stoccate di Moretti non si limitano all’istituzione Chiesa, esse colpiscono
qualunque istituzione che abbia perso, nella propria fossilizzazione, un
rapporto autentico con la gente, non mediato da rituali e dogmi. E’ anche il
caso di una certa psicoanalisi, rappresentata dallo stesso prof. Brezzi e dalla
moglie, essa stessa psicoanalista. Brezzi, infatti, non rinuncia a
sottolineare, con un certo sussiego, il suo essere prigioniero della fama
d’essere il migliore, cosa che non può non contrastare con la necessità per uno
psicoanalista di guardarsi da ogni lusinga narcisistica. In quanto alla moglie
psicoanalista, la sua “fissazione” di leggere le problematiche di ogni
paziente, in modo stereotipato, nella prospettiva di un “deficit di
accudimento”, segnala con ironia i limiti e le storture di un approccio
terapeutico quando sia viziato da preconcetti teorici.

 

Pubblicato il 4 maggio 2011 su “Il Resto del Carlino”, cronaca di
Rimini

 

14 maggio 2011

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