Cultura e Società

Amour 2

13/11/12

Titolo: Amour

Autore: Elisabetta Bernetti

Dati sul film: M. Heneke, Francia, Austria, Germania, 2012, 105 min.

Giudizio: 5/5 ***** 

Genere: Drammatico

Trama:il film è incentrato sulle figure di Georges e Anne, due ottantenni colti, professori di musica in pensione. La figlia, anche lei musicista, vive all’estero con la sua famiglia. Un giorno Anne è vittima di un TIA. Viene operata, ma rimane parzialmente paralizzata. Esce dall’ospedale e torna a casa. L’amore che unisce questa coppia viene messo a dura prova. Georges mantiene fino alla fine, intensamente drammatica, la qualità e la dignità del loro rapporto. 

Perché andare a vederlo: Il regista Haneke declina con grande talento il tema della vecchiaia come fase della vita in cui c’è poco tempo per attrezzarsi agli eventi dolorosi e in cui la morte assume un carattere concreto. Il film descrive attraverso il percorso di una coppia anzianala vitalità e la dignità di una stagione della vita dove il cuore non scoppia di passione ma il gesto sostituisce la parola. L’unica musica del film sono le parole dei racconti che Georges fa ad Anne ormai devastata dall’ictus: un modo per dirle “non importa che tu risponda, io ci sono, io credo di potermi fare sentire da te”. Georges è un uomo aspro, “un po’ mostro…ma gentile” gli dice Anne: è inflessibile nel tentativo di mantenere in vita la moglie nel modo più attinente ai desideri di lei e al tempo stesso sente che l’ha perduta nella malattia.

Questo è un film che dovrebbero vedere tutti coloro che assistono gli anziani che hanno perso la possibilità di comunicare. Lo dovrebbero vedere  per portarsi a casa il pensiero che in ogni assistito c’è una piccola cosa: un granello, un filo con cui è tessuta la storia della vita.

La versione dello psicoanalista: Nel vedere il film mi risuonava una frase letta in uno scritto dello psicoanalista Pierandrea Lussana: “La vecchiaia dovrebbe, vorrebbe, concludere la vita, ma capita, non di rado, che la degradi, la sbricioli. Se la semplificasse, se la assottigliasse, la vecchiaia sarebbe più simile alla prima infanzia”. Credo che queste parole riassumano il tema dell’esser vecchi che il film centra senza inventarsi scorci emotivi. Il degrado e la morte diventano eventi poco simbolizzabili, elementi concreti. Ma la ricchezza del film come delle parole di Lussana stanno a indicare che la vecchiaia non è un regredire ma un percorso dove anche la malattia e la morte possono trovare una simbolizzazione come si vede vedi nel sogno/incubo di Georges e nel suo ironico racconto del funerale per cui la morte diviene quasi un’esperienza che non c’è per chi muore: un delicato tentativo di sollevare la propria compagna dal peso del maldestro tentato suicidio. Una relazione forte, totalizzante la loro, perché bisogna trovare la forza di dirsi addio. La casa, dove rientravano dai concerti, da dove uscivano insieme, diviene l’esoscheletro che sostiene e difende dal dolore-trauma di dover trovare una soluzione in un tempo divenuto ad un tratto più breve.

novembre 2012

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