Cultura e Società

“Annientamento” di Alex Garland. Recensione di Angelo Moroni

27/03/18

Autore: Angelo Moroni

Titolo: Annientamento

Dati sul film: regia di Alex Garland, USA, 2018, 135’

Genere: Fantascienza

“L’aspetto più triste della vita in questo momento

è che la scienza raccoglie conoscenza più velocemente

di quanto la società raccolga saggezza.”

(Isaac Asimov)

 

Il film di Alex Garland, distribuito dalla piattaforma digitale a pagamento Netflix, mi è parso come la perfetta dimostrazione di quanto ha scritto recentemente Christopher Bollas descrivendo, da un punto di vista psicoanalitico, gli attuali processi di globalizzazione: “Quelle discipline che meritano di essere oggetto di riflessione (tra cui la psicoanalisi) suscitano sempre minore interesse anche nelle società più avanzate. E il mondo del cinema convenzionale impone film di azione standardizzati, perché film basati sul linguaggio sono troppo costosi per essere tradotti e quindi globalizzati” (Bollas, 2015). Già queste parole basterebbero a rendere il film di Garland un oggetto estetico cui uno psicoanalista dovrebbe prestare una certa attenzione, perché ”Annientamento” è proprio l’opposto: un film molto pensato, che muove riflessioni, ottimamente sceneggiato e altrettanto ottimamente girato. Proprio per questi motivi, si pone fuori dai canoni del corrente trend di omologazione economica globale e quindi è da ostracizzare, come “la peste” di freudiana memoria. Per capirlo basta guardare la sua storia distributiva, che vede la produzione (David Ellison) organizzare una serie di proiezioni test prima della sua uscita in sala, i cui risultati non sono ritenuti soddisfacenti: il pubblico campione lo ritiene un film “troppo intellettuale”, quindi a Garland viene chiesto di rivederlo in alcune parti. Il regista si rifiuta, e il film viene quindi distribuito sulla piattaforma digitale Netflix.

Queste vicende la dicono lunga sulla omogeneizzazione e sull’appiattimento dei gusti di un pubblico che la grande distribuzione vuole deliberatamente mantenere ad un livello di intrattenimento molto basso, infantile. Come scrive ancora Bollas: ”L’effetto economico di una simile omogeneizzazione è enorme quando le figure degli eroi (e i loro mondi) sono vendute in tutto il mondo” (Bollas, ibidem).

Il film è tratto dal primo romanzo della trilogia dello scrittore Jeff VanderMeer (“Annientamento.Trilogia dell’Area X”, Vol.1, Einaudi, 2015) e Garland, pur adattando necessariamente il racconto, per motivi di trasposizioni cinematografica, rimane più che fedele al cuore tematico della storia.

Il film è ambientato in un tratto di costa statunitense disabitato da trent’anni, colpito, tre anni prima della vicenda narrata, da un misterioso agente alieno proveniente dallo spazio. Un confine invisibile delimita una zona dove la natura è tornata a regnare indisturbata, generando un’anomalia capace di sovvertire le leggi della materia, del tempo e del ricordo. Un’organizzazione governativa si muove intorno ad un progetto top-secret allo scopo di limitare i danni causati da questo strano e pericoloso fenomeno. Cinque donne – una biologa, una psicologa, un’antropologa, una topografa e una specialista in fisica –  sono pronte a lasciare il “nostro” mondo per decifrare definitivamente il mistero dell’Area X – nonostante il fallimento di dodici spedizioni precedenti.

 

Garland crea in questo film una sorta di “Memoria del futuro” (Bion, 1975,1977,1979), ma declinata su un piano decisamente perturbante, pescando liberamente nell’immaginario proteiforme, onirico, fantastico nel senso quasi lovecraftiano di VanderMeer, e trasformandolo in una versione visionaria che ricorda a tratti “Sogni” di Kurosawa. Ciò avviene soprattutto nelle sequenze del prefinale e del finale, nelle quali il visivo puro diventa il vero protagonista, mettendo tra parentesi ogni coerenza narrativa, e facendo   magistralmente vivere allo spettatore un’esperienza di “epochè” fenomenologio-filmica veramente inedita. In queste sequenze Garland tocca livelli che possiamo definire di “fantascienza filosofica”: un cinema che desidera deliberatamente “fermare” lo spettatore davanti ad uno spazio potenziale immaginifico, attraverso sequenze che rispetto agli standard tradizionali possono apparire lente, fin troppo ricercate, per farlo riflettere sulla condizione umana, sull’incommensurabilità tra Sè e Altro, sul rapporto tra Uomo e Natura. Un film che sembra voler mettere in scena una serie di significanti enigmatici, che perturbano e quindi obbligano a pensare, come quadri di Magritte, piuttosto che semplicemente intrattenere, come vorrebbe il mainstream delle case di produzione statunitensi.

Sul piano tecnico tutti i comparti accompagnano ed impreziosiscono una sceneggiatura molto ben calibrata, strutturata su avvitamenti di colpi di scena successivi e spiazzanti che lasciano da solo lo spettatore a guardare verso un ignoto, verso un’”Area X” situata innanzitutto all’interno di se stesso, un’area inconscia davvero inconoscibile e sempre sfuggente. Il film ci fa sentire con mano emotivamente toccante la sensazione di straniamento provata dalle protagoniste, perse nei boschi dell’Area X, nel momento in cui si trovano costrette a perdere completamente ogni loro punto di vista, ogni loro categoria  interpretativa dell’esperienza che vanno facendo, ogni modello di riferimento teorico a cui erano fino a lì abituate. Per questo parlavo di “Memoria del futuro”, cioè dell’ultimo Bion, che cerca di estendere l’idea di essere “senza memoria e senza desiderio” anche sul piano della scrittura psicoanalitica, che diventa in quel testo appunto onirica, puramente estetica, tentativo di “abitare” la fila C della Griglia. Il film di Garland sembra spingere il genere fantascientifico verso questo orizzonte, verso questa O, a mio avviso molto ben rappresentata nella lunga, estenuante sequenza finale dell’interno del faro, dove la protagonista si avvicina alla Cosa-in-Sé, alla Verità Ultima, una Verità aliena, radicalmente, incommensurabilmente altra. Una sequenza poeticissima, contrappuntata da un sonoro che diventa a sua volta, in senso strettamente psicoanalitico, “personaggio” (Ferro, 1992), “aggregato funzionale” (Bezoari, Ferro, 1991), voce di un “oggetto trasformativo” (Bollas, 1987) nel momento in cui questo oggetto trasforma il modo di essere dell’esperienza del Sé del soggetto.

Il film di Garland ci parla quindi della sacralità dell’incontro con l’Altro e col suo Idioma (Bollas, 1987), un’esperienza che è contemporaneamente “terribile e sacra”. Non è un caso forse che il soggetto del film sia tutto declinato al femminile. La spedizione nell’”Area X” è composta da donne, ognuna delle quali è segnata da una storia di lutti, di perdite traumatiche (ad una di essa è morta una figlia, di leucemia). L’Area X è poi un luogo di mutazioni genetiche, di trasformazioni, di sdoppiamenti e di rifrazioni biologiche e psicologiche, un luogo cioè di proto-pensieri, di “betalomi” (Barale, Ferro, 1992), in cerca di un pensatore che li sappia trasformare, che ne consenta un possibile rilancio simbolico, che non si faccia fermare di fronte ad una dimensione troppo enigmatica, ad un’eccessiva, terrorizzante, distruttiva impensabilità per l’apparato per pensare.

 

Il film di Garland è una riflessione sull’umanità e sull’ignoto che la circonda, una riflessione sulla speranza che l’uomo sia capace di ritrovare la sua umanità perduta, di ritrovare la sua saggezza. “Volevo tornare”, dice Lena (Natalie Portman) all’ufficiale che la interroga durante uno dei molti flashback: anche qui, è la stessa riflessione che porta avanti Bion in “L’alba dell’oblio”, il terzo volume della trilogia di “Memorie del futuro” e, curiosamente, anche qui ci troviamo di fronte ad una trilogia, psicoanalitica, mentre eravamo partiti dalla trilogia letteraria di VanderMeer.

Così come Bion in ambito psicoanalitico, e VanderMeer in ambito letterario, anche Garland desidera rappresentare aspetti dell’esperienza umana relativi al “limite primigenio dell’esperienza” (Ogden, 1989), aspetti che investono il significato del passaggio dal somatico allo psichico al relazionale. Come Bion e VanderMeer, allo stesso modo per Garland è urgente che la specie umana cresca in saggezza e non solo in intelligenza. La conquista della saggezza è infatti insidiata dalla potenza dell’oblio, che già nasconde il presente. Occorre mantenere salda la fiducia nella possibilità di superare le barriere dell’ ”Area X” che agiscono come una cortina melanconica paralizzante. Occorre intensamente “voler tornare”, come Lena, la protagonista di questo splendido, inedito film di fantascienza, che ci parla della paura dell’oblio, ma anche del coraggio della speranza, forse non ancora del tutto estinto, ma al contrario ancora vivo e pulsante nel cuore dell’uomo. “Annientamento” è un film che evoca profonde suggestioni psicoanalitiche, e sembra rivolgersi a tutti coloro che trattano le turbolenze emotive che potentemente animano la mente umana, e che provano quotidianamente, con la ragione e con gli affetti, a condividere e a comprendere la natura misteriosa di queste turbolenze.

 

 

Riferimenti bibliografici

 

Asimov, I. (1951). Trilogia della Fondazione, Milano, Mondadori, 2004.

Barale F., Ferro A. (1992). Negative Therapeutic Reactions and Microfractures in Analytic Communication. In: Nissim L., Robutti A. (Eds.), Shared Experience: the Psychoanalytic Dialogue, Karnac Books, London, 143-165.

Bezoari, M., Ferro, A., (1991). Percorsi nel campo bipersonale dell’analisi: dal gioco delle parti alle trasformazioni di coppia, in Rivista di Psicoanalisi, 37.

Bollas, C. (1987). L’ombra dell’oggetto, Roma, Borla, 1989.

Bollas, C. (2015). La psicoanalisi nell’epoca dello smarrimento: sul ritorno dell’oppresso, in Rivista di Psicoanalisi, 2, 411-434.

Bion, W.R. (1975) Memoria del futuro: Il Sogno, Milano, Raffaello Cortina, 1993.

Bion, W.R. (1977) Memoria del futuro: Presentare il passato, Milano, Raffaello Cortina, 1998.

Bion, W.R. (1979) Memoria del futuro: L’alba dell’oblio, Milano Raffaello Cortina, 2007.

Ferro, A. (1992) La tecnica della psicoanalisi infantile, Raffaello Cortina, Milano.

Freud, S. (1919) Il Perturbante O.S.F. 9.

Ogden, T.H. (1989) Il limite primigenio dell’esperienza, Firenze, Astrolabio, 1992.

VanderMeer, J. (2014) Annientamento, Torino, Einaudi, 2015.

 

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

"La sala professori" di I. Catak. Recensione di E. Berardi.

Leggi tutto

"Estranei" (All of Us Strangers) di A. Haigh. Recensione di F. Barosi

Leggi tutto