Cultura e Società

Blue My Mind di L.Buehlmann recensione di R.Goisis

10/06/19

Autore: Roberto Goisis

Titolo: Blue My Mind (Il segreto dei miei anni)

Dato sul film: regia di Lisa Buehlmann, Svizzera 2017, 97’

Genere: drammatico

Una premessa

 Commentare un film è possibile se lo si è visto almeno una volta. Meglio più spesso.

Ogni commento comporta un piccolo problema etico: come parlarne, senza rovinarne la visione a chi deve ancora affrontarla? D’altra parte, frequentemente, prima di scegliere quale film vedere al cinema cerchiamo di farcene un’idea leggendo qualcosa in anteprima.

Questa volta proverò a scrivere delle riflessioni prima e dopo la visione.

 

Prima della visione

 Ecco un elenco di alcuni film.

Alcuni più noti, presi dalla mia memoria associativa:Il giardino delle vergini suicide”, “Ricky – storia di amore e libertà”, “Il cigno nero”, “Giovane e bella”, “Christiane F. Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”, “Thirteen”, “Class enemy”, “La forma dell’acqua”, “Noi siamo infinito”, “Precious”, la serie televisiva “Tredici”

Altri a me ignoti, segnalati da indie-eye.it: “Le opere di Breillat”, “Raw”, “The lure”.

Prendete questi titoli, metteteli in unico contenitore, agitate con forza, versate il contenuto: il risultato vi darà un’idea di questo film.

Potrebbe anche essere un gioco di società con gli amici: quali altri film vi vengono in mente?

Questa non è una critica ma, piuttosto, un apprezzamento per la profonda cultura cinematografica della regista, evidentemente influenzata e permeata – quanto inconsciamente o consapevolmente mi piacerebbe saperlo – da chi prima di lei ha trattato il tema di questo film.Tema non nuovo, quello del passaggio adolescenziale nelle sue variabili e componenti anagrafiche, fisiche, sociali, mentali e psicologiche. In questa opera sono centrali i temi del corpo e dell’identità.

Mi preme fare subito una premessa. Vedrete un film, per certi aspetti, “forte”. Ci sono immagini dirette, esplicite, anche disturbanti (almeno lo sono state per me). Di sicuro non vedrete una rappresentazione edulcorata dell’adolescenza, quanto piuttosto un racconto dolente, struggente, profondamente toccante. Credo che queste sensazioni rappresentino esattamente quello che la regista avrebbe voluto suscitare con il suo film, farci sentire proprio quello che prova Mia, la giovane e bravissima protagonista.

Ho sempre diviso i film sull’argomento tra quelli sull’adolescenza e quelli per gli adolescenti. Forse quest’opera è riuscita a realizzare la sintesi, “su e per”. Mi piacerebbe sapere cosa provano i ragazzi a vedersi rappresentati in maniera così verosimile. Come adulto credo di avere sperimentato dei sentimenti di profonda immedesimazione, mi sono sentito “loro”. Ecco, a mio avviso, la ragione di quel sottofondo di disturbante fatica, che poi scompare mano a mano che la proiezione avanza. Stavo provando – credo che voi proverete – ciò che prova la protagonista nei vari momenti della storia che sta vivendo.

Vi consiglio, perciò, di lasciarvi andare, di lasciarvi prendere da ciò che succede, senza timori, senza preclusioni, senza giudizi. Come Mia attraverserete mari insidiosi e perigliosi, ma, come in una favola – e un po’ il film lo è – troverete, ne sono sicuro, la vostra serenità.

E, a proposito di mare e spiaggia, prestate attenzione alla prima scena, alla protagonista da bambina e ai suoi piedi nella sabbia.

 

Dopo la visione

Se il gioco della prima parte è stato cercare i film, ora potremmo giocare a “cercare l’adolescenza”.

Quindi, inserite nel contenitore tutto quello che vi viene in mente sulla fisiologia e psicopatologia dell’adolescenza, nuova miscelazione, ecco il risultato: il film, nel quale è possibile trovare una serie infinita di dettagli e di particolari che ci parlano delle varie forme con le quali gli adolescenti si manifestano.

E, di nuovo, vedo questo come un pregio, la dimostrazione pratica della lunga frequentazione con gli adolescenti che la regista ha avuto nella fase di preparazione del film. Anche se è evidente il rischio di avere a che fare con un contenitore troppo pieno, quasi didascalico. Questione di gusti e sensibilità.

Ecco i temi, come se fossero pennellate, alcune più evidenti, altre solo tratteggiate, come le ho colte, viste e sentite io.

Inizio dalle immagini iniziali e finali. Nelle prime il mare, una bimba che cammina sulla spiaggia e i suoi piedini che affondano nel terreno. C’è pace e tranquillità, la stessa che troviamo alla fine nell’inquadratura fissa sul mare e l’orizzonte. Come due parentesi tra l’infanzia e l’adultitá. In mezzo c’è tutto il film, la sua storia, la turbolenta adolescenza che si svolge e l’attraversa.

Mia, la protagonista, si trova fin dall’inizio alle prese con la fatica del cambiamento di casa, città, scuola e compagni. Esperienza che la obbliga a fare i conti l’accettazione, la novità, le insicurezze, i timori. E su questo si sofferma la prima fase, tra esclusioni, bullismo, maschere e inganni, fino alla vera svolta, la comparsa delmenarca.

È su questo evento che si incardina lo sviluppo della storia. Da quel momento la ragazza non sarà più la stessa, coinvolta e travolta dagli eventi. In questo senso mi pare che la regista faccia una scelta precisa: la biologia, attraverso il corpo, è il motore del processo adolescenziale; tutto il resto, seppur fondamentale, sembra essere il tentativo di gestire e arginare le conseguenze degli stimoli ricevuti dall’orologio biologico.

Un corpo che diventa sempre più ingombrante e inadatto alla vita fuori dall’acqua e che, nella trasformazione finale e definitiva, non permette altra possibilità se non quello di seguirne e farne il proprio destino.

Provo a parlarne attraverso una serie di altre “parole chiave” che descrivono alcuni comportamenti o stati d’animo di Mia.

Differenziazione. Appare nel tentativo di essere diversa dalla madre (non usa i suoi assorbenti, ma si arrangia con della carta igienica) e nella critica e fastidio verso i genitori. I profondi sentimenti di estraneità verso la famiglia.

Aiuto. Ha bisogno di riceverlo (va dal medico, accetta il colloquio con la psicoterapeuta, manifesta un bisogno di protezione) ma, al contempo, cerca di cavarsela da sola. Con tentativi di auto – cura (il taglio delle dita palmate, i cerotti, le bende, i mascheramenti). Anche l’abuso di alcool e di stupefacenti può essere diventare una sorta di illusoria automedicazione.

Identità. Quando le domande su di sé diventano troppo pressanti, la domanda più naturale diventa quella sulle proprie origini (di chi sono figlia? Come sono nata? Chi mi ha cresciuta?). Le mancate risposte degli adulti di riferimento lasciano un vuoto incolmabile.

Gruppo. Massa più o meno indistinta dalla quale si è rifiutati all’inizio, appartenenza ambita poi, di nuovo indifferenziato alla fine, quasi un sistema nel quale confondersi.

Legami. È la capacità di stabilire relazioni con un senso di disponibilità e appartenenza come mai nella vita, mostrata dal rapporto con l’amica che finalmente ti capisce, per la quale daresti la vita, capace di esserti davvero vicina nei momenti cruciali.

Trasgressione. Le sfide e i rischi connessi sono parte integrante del percorso adolescenziale, raramente pensate, più spesso agite come appartenenza gruppale. Tra chat acritiche, giochi pericolosi, frequentazioni al limite.

Sessualità. Mondo ignoto e temuto sulle prime, passo da compiere rapidamente poi senza pensarci, tentativo di “normalizzazione” o di autodeterminazione, perdita di ogni valore e significato infine, quasi senza protezione, vittima sacrificale di un sistema dominato solo dall’istinto. Dove i maschi non ti vedono come essere umano, ma solo come oggetto. Quando il corpo diventa un estraneo da governare la soluzione può essere cercare di andare oltre la sua stessa esistenza.

Autolesionismo. Avviene con la sessualità, con gli abusi, con le sfide, è facile vedere una pratica di self-cutting anche nell’uso della forbice. Non è solo un dolore che ne attenua un altro, è anche un modo per evitare il contatto con il pensiero.

Riconoscimento. La sua mancanza, sia soggettiva, sia da parte degli altri rappresenta un’esperienza dolorosa che rende vano quasi ogni sforzo relazionale, annienta e deprime.

Impulsività. Elemento che caratterizza la fase anagrafica è ben rappresentata dal gettarsi voracemente sui pesci, dalle azioni senza pensiero.

Bellezza. Altro aspetto strutturante l’età appare nelle immagini di natura, musiche, emozioni, sogni, ingenuità e semplicità. Credo sia difficile non amare Mia, la sua battaglia disperata, il suo senso di libertà e costrizione al tempo stesso, l’accettazione serena e consapevole del suo destino, anche la pace grata che riesce a trovare con i suoi genitori. E quella che lascia in noi quando la vediamo e sappiamo nel “suo” mondo. Non più angosciata, spaventata, goffa e inadatta, ma “serena sirena” nel suo mare blù.

 

In questi pensieri messi in parole c’è come il film è rimasto dentro di me.

Se fossi uno psichiatra potrei parlare della rappresentazione di un episodio delirante, un grave scompenso, un black-out come può succedere in adolescenza.

Se fossi uno psicoanalista potrei aggiungere che è possibile vederlo come un sogno, forse anche ad occhi aperti. A cavallo tra il fantasy e l’incubo.

Non cambierebbe granché della lettura e dell’interpretazione dei contenuti. Forse ne amplierebbe i significati. In ogni caso Mia avrebbe bisogno della massima vicinanza e comprensione. E forse non le renderei giustizia.

Preferisco prenderlo come una favola e una metafora, da cui imparare, su cui riflettere.

 

Giugno 2019

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