Cultura e Società

“I due Papi” di F. Meirelles. Recensione di A. Cordioli

20/01/20

Autore: Anna Cordioli

Titolo: “I due Papi”

Dati sul film: regia di Fernando Meirelles, USA, UK, Italia, Argentina, 2019, 125’

Genere: drammatico, biografico

 

 

 

 

Che intensa e notevole opera è “I due Papi”!

È utile iniziare precisando che il film, uscito sulla piattaforma Netflix, racconta fatti mai accaduti e, in particolare, si sviluppa attorno a un intenso dialogo della durata di due giorni tra Joseph Ratzinger, già Papa Benedetto XXVI, e Jorge Bergoglio, ancora Cardinale di Buenos Aires.

La storia mescola con grazia elementi storici, iper-reali (come spezzoni di telegiornali), solo in parte trasformati, e scene frutto dell’immaginazione degli autori.

Come ha detto lo sceneggiatore, McCarten: “Solo perché non è accaduto non vuol dire che non sia vero” (intervista a Grandinmedia.ca).

Nasce così l’annosa questione su cosa sia “il reale” nell’arte: se la sua riproduzione o la sua trasfigurazione. E ci si chiede se si possa imparare di più da una narrazione fedele degli eventi o piuttosto da una loro rilettura profonda, ma infedele.

Come spesso accade nelle stanze d’analisi, però, nel mentre si va cercando una verità, se ne trovano altre. Si parte chiedendosi quali eventi siamo reali e quali frutto di fantasia, e si finisce per accorgersi che la questione è più ampia.

Il lavoro analitico ci ha, infatti, insegnato ad ascoltare anche ciò che si manifesta grazie alle omissioni, ai ricordi di copertura e alle fantasticherie che, spesso, divergono radicalmente da ciò che accade nella vita dei nostri pazienti. Eppure, in ciascuna di queste creazioni della psiche abbiamo imparato a ritrovare una verità altrimenti ineffabile, che non è mai pedante o dogmatica ma, semmai, fatta di intimità e dubbio.

Ebbene questo film, che è la trasposizione di un’acclamata opera teatrale di McCarten, è dunque un’opera profonda, ma infedele rispetto alla realtà, e questo è un ingrediente non poco ironico, avendo come protagonisti due uomini di fede.

Lo spunto da cui prende avvio la vicenda è la competizione per il soglio pontificio tra due cardinali, dunque parrebbe un confronto per l’auto-affermazione e, invece, la vera storia inizia dalle dimissioni che Bergoglio avrebbe dovuto rassegnare al compimento dei suoi settantacinque anni. Da qui inizia una più profonda vicenda, che svela quanto l’uomo Jorge sia in realtà tormentato nei confronti del proprio destino e della propria vocazione. Dall’altra parte c’è Ratzinger, già padre, assediato da scandali pontifici. Le sue ben più note dimissioni non sono ancora state maturate e l’uomo Joseph sembra sospeso, in una condizione di incertezza a cui non è abituato e che lo logora.

I due protagonisti anzitutto sono due creature mortali, incerte sul futuro e sul senso che le loro scelte imprimeranno a tutta la loro vita, anche retrospettivamente. Sono uomini molto diversi tra loro, giunti a Roma per strade, e attraverso vocazioni, diametralmente opposte.

Le differenze tra questi due personaggi sono così tante e così caricaturali da espropriarli delle vesti talari per trasformarli in maschere di commedia, ognuno a rappresentare un tipo umano. L’uno è andato alla ricerca di una limpidezza di cristallo, l’altro vive in un corpo a corpo con la vita che lo ha condotto a fare errori enormi. Ad unirli non sono né Dio né la Santa Romana Chiesa ma è invece, ironicamente, il dubbio.

È infatti proprio il dubbio il vero protagonista del film: la già citata funzionalità degli eventi narrati, le domande sulle scelte da intraprendere, la questione se sia più giusta una visione del mondo o un’altra, finanche la domanda se un compromesso sia un tradimento della regola o la sua più piena realizzazione. Ed è a suo modo sublime che lo sceneggiatore abbia consegnato a questi eminenti uomini di fede il compito di confrontarsi sul più umano di tormenti: non sapere cosa sia più giusto essere o fare.

In effetti, per tutto il tempo, Dio tace e lascia che Joseph e Jorge parlino tra di loro, serratamente; gli interventi risolutivi da parte dell’Altissimo sono limitati ad un flashback, che comunque non toglie i nostri protagonisti dalle angustie del loro presente.

Con grande maestria, gli autori evitano anche di cadere nella tentazione di fare un noioso trattato sulla precaria condizione umana o sull’impossibilità del libero arbitrio. Le razionalizzazioni sono relegate alle schermaglie iniziali, ma è evidente la loro funzione difensiva e inutile per affrontare il nucleo del problema.

In questo film sono dunque messe ai margini sia la fede che la filosofia: esse non sono bandite ma non vengono sfruttate per trovare scappatoie.

Ciò che invece diviene fondamentale è l’incontro. Come ben sappiamo, il più grande sollievo alla sofferenza psichica è sentire che non si è più soli, che qualcuno, che pure non ha il nostro stesso cruccio, può però essere compagno.

L’iniziale com-petizione tra i due si muta dunque in una più articolata com-passione reciproca.

Nel corso del loro intenso dialogare i due Papi si dicono molte cose importanti ma gli aspetti più trasformativi nascono da piccole ironie, avvicinamenti non sempre aggraziati, fino alla creazione di un legame rispettoso ma molto caldo.

Ciò che dà sollievo all’uomo di fronte al tormento del dubbio, non è infine l’arrivo di una rivelazione, ma la nascita di una amicizia.

Il calore di piccoli gesti rende dunque affrontabile quell’iniziale tormento che li ha avvicinati.

In un passaggio di grande tenerezza uno dei due, dirà all’altro “Possa Dio darle il suo perdono e la sua pace ed io la assolvo dai suoi peccati. Però si ricordi: la verità può essere necessaria ma, senza amore, è anche insopportabile”.

È davvero delicato il modo in cui il dialogo tra i due diviene via via più affettuoso, a tratti spassoso e, per questa via, più onesto e utile.

Questa fitta trama affettiva, che sappiamo quanto essere necessaria anche per il funzionamento della coppia analitica, sostiene l’individuo nella propria fatica e lo accompagna per il tratto necessario.

Ciò che ho trovato splendido in questo film è come questo legame affettivo si sviluppi all’interno di scambi formali, mai zuccherosi, sempre deferenti. Non è affatto necessario perdere i reciproci confini per creare una intimità autentica.

A sostenere la sceneggiatura davvero ben scritta, e per cui è scattata la nomination agli Oscar, troviamo due straordinari attori che da soli reggono l’impresa.

Anthony Hopkins è un magistrale Benedetto XXVI (la scena del morso alla pizza meriterebbe una descrizione tutta a parte) e Jonathan Pryce è un Cardinal Bergoglio così simile e realistico da rendere a tratti inquietante la visione del film.

Entrambi sono stati nominati agli Oscar, ai BAFTA, ai Golden Globes – e chi più ne ha più ne metta – ma va soprattutto riconosciuta che la loro è una prova davvero di altissima recitazione. Lo consiglio dunque in lingua originale per godere fino in fondo della loro magistrale interpretazione.

Segnalerei infine che è uno dei tanti grandi film che negli ultimi anni vengono prodotti dalle piattaforme di streaming, in particolare Netflix, senza quasi passare dalle sale cinematografiche. Questa è una delle rivoluzioni attraverso cui il cinema è passato e sempre più passerà.

Ci si augura che la compresenza tra sala e monitor sia virtuosa … come quella tra i due Papi.

 

Gennaio 2020

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