Cultura e Società

Gli equilibristi

16/10/12

Dati sul film: regia di Ivano de Matteo, Italia, 2012, 100 min 

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Genere: drammatico

 

Recensione: Un piccolo, piccolissimo film che può sfuggire. Lo segnalo perchè merita, invece, di non essere perduto: uno spaccato sull’Italia di oggi, quella della gente normale, una coppia di impiegati a cui basta un evento come la separazione per gettare lui, il bravo Mastrandrea, sul lastrico. Forse uno dei migliori tra i molti film del cinema italiano su questo tema, perchè riesce a farci seguire passo a passo la deriva, quasi una discesa agli inferi, di un uomo qualunque che perde il controllo economico, e quindi parallelamente quello psichico e morale, della sua esistenza. “Il divorzio è per i ricchi, noi non possiamo permettercelo” è la frase del film. Ed è questa amara constatazione a giustificare forse il punto debole del film, un finale che non ha il coraggio di portare all’estremo la tensione drammatica, ma si arresta ad un relativo, parziale recupero per il protagonista che, ridotto ormai a suscitare la pena della giovane figlia, viene riaccolto in casa. Ma il cuore tematico, la parte migliore resta il progressivo declino di un impiegato che da una vita modesta ma ‘normale’ scivola in una umiliante indigenza senza aver nulla preteso, solo oberato da mutui e spese per la sopravvivenza, in un Paese che sostanzialmente lo ignora perchè altri, al pari di lui, sono equilibristi ogni giorno per mantenersi in vita.

 

Perché andare o meno a vedere il film?: Asciutto, essenziale, suscita la nostra empatia per il protagonista, ma senza eccessi. Pur con qualche aspetto irrisolto, vederlo per tenere a mente come la mostruosità sia in mezzo a noi, fra le persone normali, come chiunque possa trovarsi improvvisamente a perdere tutto quello che ha, in una società capitalistica in crisi dove le scelte personali (la separazione) ripropongono un interessante classismo che credevamo superato: c’è chi può permetterselo, e chi no. Pari opportunità mancate, è il sottotema della vicenda, sono molte, anche queste, e possono colpire gli uomini anzichè le donne, i comuni cittadini anzichè gli stranieri, chi ha un lavoro e non solo chi non lo ha…..

 

La versione dello psicoanalista: A prima vista, si direbbe nessuno, se non che si tratta di una vicenda umana di sofferenza, non solo economica, e che quindi inevitabilmente ci riguarda. Ma guardando un pò oltre, direi che il dolore prevalente di questo personaggio alla deriva è il dolore della vergogna, della vergogna divenuta maligna e tossica come la definisce Kilborne, l’umiliazione di esporre un sè, soprattutto alla figlia, deprivato di dignità, costretto quasi a elemosinare in una società che premia l’immagine, il benessere, l’essere vincenti. E allora la vergogna diventa quasi colpa, come se per un perverso meccanismo di ricerca di un capro espiatorio, fosse lui il colpevole di non farcela a arrivare a fine mese, lui con le sue debolezze e le sue incapacità….E’ sotteso nel film, e forse il regista avrebbe dovuto osare maggior scavo psicologico, ma il legame catastrofico tra evento esterno imprevisto, perdita narcisistica, vergogna e colpa costituiscono uno spunto ben incarnato dall’attore, che riesce a tradurre nel suo volto uno dei dolori umani più profondi. 

Ottobre 2012

 

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