Cultura e Società

“Il legionario” dal Festival di Locarno Commento di R. Valdrè

30/08/21
Il legionario

Il legionario

Autore: Rossella Valdrè

Titolo: “Il legionario”

Dati sul film: regia di Hleb Papou, Italia, Francia 2021, 81’, Festival di Locarno

Genere: drammatico

Dopo un anno di pausa per la pandemia, è ripreso a Locarno il Festival Internazionale del Cinema, oggi alla sua 74°edizione. La piccola città del Canton Ticino si riapre festosa all’evento culturale che maggiormente la caratterizza dal quattro al quattordici agosto. Come tipico dei festival del cinema che si svolgono in luoghi raccolti, come il Lido di Venezia, tutta la cittadina non vive che di cinema, organizzata intorno alla centrale Piazza Grande, dove ogni sera all’aperto, davanti ad uno degli scherni più grandi del mondo, si svolgono le proiezioni finali della giornata.

Il festival si compone di numerose sezioni, tra film in concorso e fuori concorso, di cui le principali sono: Cineasti del presente, Pardi di domani (i corti), Histoire du cinema, Open doors, Semaine de la critique, Panorama Suisse e Locarno kids. Si aggiunge, e quest’anno di pregio notevolissimo, la sezione Retrospettive, dedicata ad Alberto Lattuada con quaranta film, che spaziano dagli inizi nel dopoguerra, con le prime sceneggiature a due mani con Fellini, fino agli ultimi film degli anni ’70 e’80.

I film sono in lingua originale, sottotitolati in inglese e solo in alcuni casi in italiano, sebbene questa sia la lingua parlata nel cantone, insieme al francese e al tedesco, ognuno presentato dal regista e dal produttore, in un clima partecipativo e di amichevole scambio con il pubblico. Il pubblico costituisce una bella sorpresa e una bella conferma: appena c’è la possibilità, nel rispetto delle norme anti-Covid, il pubblico ai festival accorre sempre numeroso.

Per sua tradizione, il Festival di Locarno si distingue non tanto per il red carpet e le grandi star del cinema, quanto per l’attenzione a scoprire e lanciare nuovi registi, i giovani, gli esordienti. Quest’attenzione ci pare ancora più acuta quest’anno, in cui il cinema, anche come industria e non solo come arte, esce a fatica da un periodo di crisi e di grande incertezza per cui la ripresa del festival, dicono gli organizzatori, è stata essa stessa una sfida. Una sfida vinta, si può dire. Le sale, gli hotel, le vie della cittadina sono piene di gente comune, di semplici appassionati, persone che hanno investito il loro tempo libero nella cultura, in un’arte data sempre per moribonda ma che non muore mai, la cui magia resiste al tempo, alla tecnologia, capace sempre di farci sognare: il cinema.

Ecco quindi, in questa prospettiva di nuove scoperte, “Il legionario”, presentato nella sezione Cineasti del presente, opera prima del giovane Hleb Papou, bielorusso che da dodici anni vive in Italia, che merita tutta la nostra attenzione. In mezzo a tante proposte deboli e poco convincenti, Papou è riuscito a scuotere l’emozione del pubblico e l’occhio della critica, con una vicenda non vera, ma altamente verosimile: lo sgombero di un palazzo occupato da centocinquanta persone nella periferia romana da parte della Polizia, la Squadra Mobile di Roma. Nel composito sottoproletariato che compone la varia umanità degli abitanti del palazzo ci sono, ovviamente, vari immigrati, la cui vita si è organizzata da anni nel palazzo in cui il Comune, chiudendo colpevolmente un occhio, fino a questo punto non li ha mai mandati via; ma il momento è giunto. Sarebbe una spiacevole faccenda di ordinaria ingiustizia, se non fosse che il protagonista, Daniel, uno dei poliziotti, è di origine africana e nel palazzo da evacuare vivono sua madre e suo fratello. Un’azione di polizia si trasforma così in un conflitto interno, un atto professionale può diventare una messa in crisi di coscienza, atto che Daniel, uno dei migliori agenti della sua squadra, apprezzato particolarmente dal suo capo, non può non compiere per non venire meno al suo lavoro, e non può compiere per non venire meno all’affetto per i suoi cari rimasti indietro rispetto a lui nell’inserimento sociale.

Su questo dilemma si disegna il bel film di Hleb Papou, scegliendo la cifra di un moderno neorealismo, piuttosto che dell’esplicito scavo psicologico: i personaggi parlano romanesco, sono figli della loro cultura, i colleghi e il suo capo chiamano affettuosamente  Daniel cho-bar, lui unico di colore alla Mobile. Si evidenzia il tipico clima in Polizia, quello di una destra “alla buona”, che accoglie al suo interno il collega diverso, ma non sarebbe altrettanto tenera verso gli sfollati del condominio, sentiti come i veri “altri”, da cacciare, rigettare, espellere. È in questa periferia, periferia della grande città e periferia della morale che si snodano i grandi conflitti del nostro tempo, immigrazione e diversità, multiculturalismo e guerra tra poveri dell’Italia contemporanea, conflitto che viene ad incentrarsi nel personaggio di Daniel (e forse del regista stesso?), africano nato in Italia che ha scelto di integrarsi, contrariamente al fratello ribelle che ha continuato a vivere ai margini insieme all’anziana madre, e ponendo così Daniel cho-bar al centro di un conflitto virtualmente irrisolvibile.

Merito del film la totale assenza di intenzioni didascaliche o esplicitamente giudicanti e psicologizzanti: pochi i dialoghi, solo le immagini, gli sguardi parlano. Questi sono personaggi di poche parole, sia i poliziotti, sia gli sfollati; chi decide è al di sopra di loro. Tuttavia, come psicoanalisti, possiamo vedervi l’irriducibilità del conflitto quando esso colpisce nella realtà psichica e nella realtà esterna l’individuo senza possibilità di fuga, senza possibilità di rimozione: Daniel tenta di sottrarsi dai turni in cui avviene lo sfollamento, ma inutilmente. Un altro più sottile terreno di conflitto è quello del rapporto con il capo, muto rapporto di stima fatto di sguardi, di gesti e azioni; perché Daniel non confida a un capo che gli vuol bene di avere fratello e madre nel palazzo? Teme che la sua immagine di bravo cittadino inserito ne risenta? Si vergogna di questa parte scissa e rimossa che loro due rappresentano e che ora prepotentemente ritorna? Teme il razzismo di fondo che il capo avrebbe espresso? Allo spettatore è lasciata la fantasia d’interpretare questo lungo, muto sguardo finale tra i due uomini….

Queste poche righe a caldo dopo la visione del film, prima della premiazione. Gli esiti dei festival sono sempre incerti e imprevedibili, ma le proposte di spicco non passano inosservate, e “Il legionario” è una di queste: un piccolo intenso film che riesce con poche immagini a rappresentare un conflitto personale e un dramma epocale, l’immigrazione e il multiculturalismo, attraverso non grandi eventi ma vicende minime, periferiche, di ordinaria povertà e sotterraneo razzismo, sconosciute ai media, che non fanno storia e notizia, non fanno scalpore e che il cinema, in un rinnovato neorealismo, può invece riuscire a raccontare.

Agosto 2021

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