Cultura e Società

“Noi” di Jordan Peele. Commento di A. Moroni

15/04/19
"Noi" di Jordan Peele. Commento di A. Moroni

Autore: Angelo Moroni

Titolo: Noi (Us)

Dati sul film: regia di Jordan Peele, USA 2019, 116’

Genere: horror

 

L’aspetto che più colpisce di Jordan Peele, attore, regista e sceneggiatore statunitense, è come un artista proveniente dal genere comico e televisivo, sia riuscito in soli due lungometraggi a dar prova in così breve tempo di una crescita stilistica sorprendente e di un calibro così decisamente autoriale. Il suo esordio alla regia con Get out del 2017 è stato folgorante: il film, a bassissimo budget e a incassi da capogiro, è stato premiato con l’Oscar per la miglior sceneggiatura.

La scena iniziale di Noi inquadra una bambina seduta sul divano che guarda in TV un notiziario su una iniziativa popolare del 1986 chiamata Hands Across America: una vera e propria catena umana di persone che, negli USA, si sono prese per mano per solidarizzare con i poveri e i senza tetto dell’epoca, nonché contrastare le politiche neoliberiste del Presidente Reagan.

Dopo i titoli di testa, il film ci presenta una famiglia black del ceto medio americano, in viaggio alla volta delle spiagge di Santa Cruz, California, per una vacanza: mamma (Lupita Nyong’o) – quella che era la bambina davanti alla TV – papà (Winston Duke), i figli (Evan Alex e Shahadi Wright Joseph). La splendida quanto drammatica colonna sonora di Michael Abels, insieme alla raffinatissima e ricercata palette cromatica di Mike Gioulakis (It Follows, 2014), accompagnano la storia che si va riempiendo di segni e presagi inquietanti. La bellissima inquadratura in oggettiva irreale (plongée) della famigliola ripresa dall’alto mentre cammina in mezzo agli ombrelloni in spiaggia evidenzia la notevole maestria visiva del regista nel sottolineare l’immanenza di un destino catastrofico che incombe sui quattro protagonisti.

Il Perturbante prende letteralmente corpo ovviamente nella notte, come un passato traumatico che improvvisamene riemerge, poiché tenuto per troppo tempo nascosto. Quattro veri e propri Doppelgänger, sosia dei protagonisti, inquietanti e decisamente pericolosi, invadono la casa delle vacanze dove la famiglia Wilson alloggia. Da qui il film prende la strada non tanto di un horror movie classicamente inteso, ma piuttosto di un horror d’autore che riprende e rielabora il tema del Doppio (nell’accezione freudiana e in quella descritta da Otto Rank), traslandolo però su un piano gruppale, familiare, e socio-politico. Il film si dipana attraverso uno stile narrativo innovativo, raggiungendo un effetto straniante di grande potenza visiva. Molti sono i rimandi stilistici e gli omaggi a maestri quali Kubrick – vedi il tema della gemellarità, come in Shining (1981), e i piani medi e lunghi dei corridoi dei sotterranei del luna park, dove saltellano i conigli bianchi- ma anche Romero, e il Carpenter di Essi vivono (1988).

Da un vertice di osservazione psicoanalitico, il film risulta molto interessante appunto perché mette in scena la declinazione più sociale e politica del Perturbante. Non è tanto, e solo, il tema del Doppio, infatti, ad essere esplorato da Peele, quanto invece il ritorno, a livello collettivo di un “rimosso” fatto di ingiustizia umana ed economica a lungo sepolte, non considerate, ma che ritornano a presentare il conto. Un rimosso che torna a vendicarsi, che “fa irruzione” improvvisamente a ricordare che un tempo era stato heimlich. La superficiale vernice maniacale di un ceto medio arricchito, stolido e possessore di privilegi che non si è meritato su nessun fronte, non è sufficiente ad evitargli il confronto con la fragilità, la povertà, cioè il lato uncanny e freak che porta al suo stesso interno e che non vuole vedere. Erano anni che non vedevamo brillare nel cielo del genere cinematografico horror, una stella così luminosa e potente, nella sua funzione di denuncia delle intollerabili ingiustizie e disparità economiche e sociali cui è giunto il mondo in cui viviamo, a livello globale. Il film infatti si apre, non a caso, con l’America di Reagan e continua nel presente dell’America di Trump.

 

Aprile 2019

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