Cultura e Società

“La giusta distanza” di Carlo Mazzacurati. Recensione di Gabriella Vandi

12/12/17

Autore: Gabriella Vandi

Titolo: La giusta distanza

Dati sul film: regia di Carlo Mazzacurati, 2007, Italia, 106’ Commento di Gabriella Vandi

Genere: drammatico

 

“Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose (…),

ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto.

Ma la superficie delle cose è inesauribile”.

(Italo Calvino, Palomar)

 

“La giusta distanza” è un film ambientato in un paese dove Giovanni, uno dei giovani protagonisti, cerca di realizzare il suo sogno di diventare giornalista. Spinto da un’autentica passione, cerca il confronto con il redattore di un importante giornale che gli consiglia di lavorare nell’ombra per raccogliere informazioni che altrimenti nessuno gli racconterebbe. Quando esce il suo primo articolo anonimo, i paesani si chiedono come faccia il giornalista a essere così ben informato. Giovanni commenta: “E io me ne stavo nell’ombra, come mi aveva consigliato il maestro”.

La realtà non sempre può apparire, spesso deve rimanere nascosta nell’ombra.

Il maestro gli suggerisce anche “la giusta distanza che un giornalista dovrebbe tenere nel descrivere i fatti narrati: né troppo lontano da sembrare distaccato, né troppo vicino da essere condizionato”.

Il film si muove intorno a questo doppio filo rosso: la giusta distanza emotiva richiede un equilibrio difficile da mantenere; la realtà non è solamente quella che appare, ma si propone a diversi livelli, alcuni dei quali si celano nell’ombra.

La realtà descritta dal regista Mazzacurati non è univoca, ma composta di vari livelli che s’intersecano tra loro. C’è la realtà esterna, formata dalle molteplici storie degli abitanti del paese e dei protagonisti del film; queste realtà esterne possono essere palesate senza censure o opportunamente nascoste, per pudore o convenienze. Le storie dei personaggi che s’intrecciano tra loro formano un altro livello di realtà, costituito dalla trama, che si sviluppa attraverso diversi registri narrativi: la storia sentimentale, la commedia, il noir.

C’è, infine, un livello di realtà che potremmo chiamare interna.

Il concetto di mondo interno, in psicoanalisi, ha acquistato una sua rilevanza attraverso il lavoro di Melanie Klein con i bambini. La psicoanalista inglese ha descritto l’intensa attività psichica, da lei definita fantasmatica, presente nel bambino fin dai primi momenti di vita. Le fantasie inconsce accompagnano tutte le attività mentali; le prime fantasie prendono vita da sensazioni ed esperienze corporee. Le fantasie inconsce appartengono a una realtà interna e soggettiva, strettamente connessa con la realtà esterna, che ha in ogni caso un ruolo fondamentale nella vita del bambino. Si viene così a stabilire uno stretto rapporto tra realtà interna ed esterna, tra fantasia e realtà.

Le fantasie inconsce sono parte del mondo interno che, per la Klein (1994), “è costituito da oggetti, anzitutto dalla madre, interiorizzata in vari aspetti e situazioni affettive”.

Ognuno di noi ha un composito mondo interno, costituito da figure che si sono formate dall’interiorizzazione di persone che sono state significative nella vita,  chiamate in psicoanalisi oggetti interni. Essi sono caratterizzati da pensieri e modi di essere che prendono spunto dalla persona reale, esterna ma, una volta trasformati dalla fantasia inconscia, possono assumere caratteristiche proprie, differenziate dall’oggetto reale.

Nel bambino esiste una madre esterna reale e una madre interna, frutto di un’interiorizzazione di alcuni aspetti della madre reale. Tra la madre reale e quella interna vi è un’interazione costante. Melanie Klein  descrive la formazione di questo mondo interno in questo modo: “Anche le situazioni esterne vissute dal bambino, quando vengono interiorizzate (e io sostengo che ciò accade fin dai primissimi giorni di vita) seguono la stessa sorte: diventano dei “doppi” delle situazioni reali e subiscono delle modifiche per le stesse ragioni. Ma il fatto che, con l’interiorizzazione, persone, cose, situazioni e avvenimenti (ossia tutto il mondo interiore che si sta formando) diventino inaccessibili a valutazioni e osservazioni precise da parte del bambino e non possano essere verificati con gli strumenti della percezione valevoli per il mondo oggettuale tangibile concreto, assume un’importanza notevole per questo mondo interiore di natura fantastica” (Klein, 1978, pag. 329).

Esiste dunque una realtà esterna, composta di molti livelli, e una realtà interna, anch’essa composita e complessa, anche se meno visibile. Queste varie dimensioni della realtà fanno parte dell’esperienza quotidiana di ciascuno e, dunque, le ritroviamo anche nella dimensione analitica.

Arnold Modell (1994, pag.52) è lo psicoanalista che ha descritto con maggiore precisione i diversi livelli della realtà implicati nel lavoro analitico. Vi sono “almeno due livelli di realtà presenti nella stanza d’analisi: l’analista e l’analizzando all’interno della cornice del setting psicoanalitico, e l’analista e l’analizzando come essi sono nella vita ordinaria”.

Poiché la realtà si declina in numerosi livelli, la loro integrazione è complessa e spesso conflittuale.

Il protagonista del film, Giovanni, ne è un ottimo esempio: ha perso da poco la madre in un incidente stradale e forse sta cercando la giusta distanza dalle profonde emozioni e dal vuoto che questa perdita gli ha prodotto. Il suo progetto giornalistico potrebbe rappresentare una sublimazione, un tentativo di ritrovare l’equilibrio emotivo attraverso la creatività della scrittura. È una morte di cui non si può parlare, come commenta Giovanni: “In casa nostra la parola morte è diventata una bestemmia”. Questa tragica realtà, rimossa, diventa tabù e ognuno ci fa i conti a modo suo: Giovanni sublima le sue emozioni nella scrittura, suo padre affronta l’angoscia della morte, esorcizzandola e proibendo al figlio di andare in moto, la famiglia si rifiuta di parlarne, erigendo un muro intorno a questa realtà che non deve apparire.

Mazzacurati sceglie di ambientare il film in una cittadina immaginaria, Concadalbero. È un paese di fantasia e al contempo realistico; è un borgo come tanti, fotografato con maestria da Luca Bigazzi. Nella sua realtà immobile e riconoscibile, viene a rappresentare una dimensione universale: diventa l’espressione di un’umanità dalle emozioni sfaccettate e complesse, caratterizzate da contraddizioni e paradossalità.

I paesani, che sembrano accettare gli stranieri, nel profondo vivono un’ambivalenza verso loro e sono influenzati da pregiudizi e falsità.

La comunità sembra ben integrata: nel piccolo paese ci sono una tabaccaia romena, una barista cinese e un pizzaiolo marocchino. Anche Hassan, uno dei protagonisti del film, è di origine tunisina e lavora da anni in paese. È un uomo affidabile e perbene ma, nonostante la sua onestà, al primo sospetto sarà accusato di omicidio.

La trama del film si snoda attorno a questi personaggi, ben tratteggiati, e prende le mosse da un evento che coinvolgerà la maggior parte dei paesani: l’arrivo della bella  Mara, l’insegnante della scuola elementare. Questa novità porterà un certo sconvolgimento nella piccola cittadina. La presenza di una donna indipendente, che mostra il coraggio di vivere da sola, fa emergere tutte le contraddizioni di questa provincia tranquilla.

Mara rappresenta l’elemento di novità e di turbamento: “Finalmente qualcosa di cui parlare e litigare”, commenta qualche paesano. L’arrivo della giovane sollecita fantasie e interessi, in particolare in Hassan e in Giovanni. Entrambi affascinati dalla ragazza, in modi diversi, cercano la maniera per avvicinarsi a lei e per spiarla.

I forti sentimenti e le passioni fanno loro perdere la giusta distanza emotiva.

Giovanni legge le comunicazioni on line che Mara invia ai suoi amici, utilizzando segretamente le sue password; Hassan spia la ragazza dalle finestre, nascondendosi tra gli alberi.

Entrambi hanno qualcosa da celare, anche se sono persone di buoni principi: il regista sembra rammentare allo spettatore che la realtà ha molti volti.

Il carattere aperto della ragazza suscita desideri e curiosità anche tra gli altri paesani che lasciano trapelare sentimenti ambivalenti e inconfessabili fatti di gelosie, invidie, desideri repressi. Guido, il conducente di autobus, si mette a disposizione di Mara e Amos, il tabaccaio diventato ricco, cerca di sedurla portandola in gita con il suo yacht privato. Solo Hassan però riuscirà a dichiarare il suo amore a Mara, sviluppando una tenera e appassionata relazione, ricambiata.

Mara, che rappresenta l’estraneo e la diversità (ha, infatti, il coraggio di vivere da sola, di progettare il suo futuro all’estero e di decidere della sua vita), può essere compresa fino in fondo solamente da Hassan, anch’egli venuto da lontano e straniero. Come Mara, anche lui ha rifiutato di conformarsi alle regole, rinunciando a un matrimonio combinato, secondo le usanze arabe. Mara, pur aspirando all’indipendenza e a una vita da single, assapora il piacere di avere una famiglia tutta sua.

Ancora una volta il film mette in luce i complessi sentimenti umani che portano l’individuo a vivere molteplici aspirazioni, spesso in conflitto tra loro. Quest’ambivalenza è rappresentata da gran parte dei paesani che si mostrano aperti all’integrazione, ma al contempo schiavi dei pregiudizi.

Il tragico epilogo conferma questa sconcertante verità portando alla luce il razzismo, celato fino a quel momento: quando, infatti, Mara scompare per alcuni giorni e il suo cadavere è trovato sulla riva del Po, i sospetti ricadono immediatamente su Hassan, lo straniero, condannato per omicidio.

Giovanni, la voce narrante del film, è vittima dello stesso pregiudizio, alimentato forse anche dalla competizione con Hassan che era riuscito a conquistare Mara. Il giovane perde la giusta distanza sperimentando un profondo conflitto tra due aspetti di sé, due realtà che gli appartengono entrambe: il giornalista, professionista lucido e distaccato, e il ragazzo coinvolto, animato dalla gelosia.

Il giovane non è capace di ascoltare il consiglio che gli aveva suggerito il vecchio cronista riguardo alla giusta distanza: “È la misura che tu devi sempre tenere tra te che scrivi e le persone coinvolte nei fatti: non troppo lontano, perché si perde il pathos, ma neanche troppo vicino perché se un giornalista si perde nell’emozione è fritto!”

 

Il problema della giusta distanza riguarda anche la relazione psicoanalitica ed è un tema su cui la psicoanalisi ha riflettuto a lungo, fin dai tempi di Freud. Le recenti teorie psicoanalitiche rilevano il contributo della soggettività dell’analista e l’importanza degli scambi consci/inconsci, nella relazione tra paziente e analista.  La psicoanalisi contemporanea mette l’accento sul valore della relazione e sul mantenimento della giusta distanza, grazie alla funzione dell’analista che può trasmettere al paziente vicinanza e partecipazione, rispettando contemporaneamente i confini e la separatezza necessaria tra i due.

Esiste la giusta distanza, una separazione ideale dalle emozioni e dai fatti? O per raggiungerla è necessario vedere solo alcune parti della realtà, celandone altre e tenendole separate tra loro?

Giovanni si mostra sufficientemente autentico da riconoscere il suo pregiudizio e decide di far luce sull’intera vicenda, scoprendo il vero colpevole.

L’intento del film non sembra quello di giudicare le persone, dividendole in due categorie, quella degli onesti e quella dei malvagi. I personaggi sono presentati in tutte le loro contraddizioni, nelle loro qualità e nei loro difetti.  Nessuno è escluso: c’è un limite umano che riguarda tutti. Anche il vecchio giornalista che propone a Giovanni la giusta distanza, alla fine del film scopre di non essere riuscito a trovare quell’equilibrio necessario nel rapporto con la figlia, con la quale vive profondi conflitti.

Nessuno sembra essere in grado di trovare l’equilibrio emotivo ideale nella vita, perché non è facile integrare armonicamente le passioni in gioco.

A volte il complesso mondo interno è più potente di quello esterno, così emozione e pregiudizio possono prevalere portando a non giudicare correttamente.

 

Bibliografia

Klein M. (1921-1958) Scritti 1921-1958. Tr. It, Boringhieri, Torino, 1978.

Klein M. (1955) Sull’identificazione, in Nuove vie della psicoanalisi.Tr. it. Il Saggiatore, Milano, 1998.

Modell A, H, (1990). Per una teoria del trattamento psicoanalitico. Tr. it., Raffaello Cortina Editore, Milano, 1994.

 

Dicembre 2017

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