Cultura e Società

La Ninas Quispe (Le signorine Quispe)

31/08/13
  • Autore: Rossella Valdrè
  • Titolo: La Ninas Quispe (Le signorine Quispe)
  • Sezione: Settimana della Critica (In concorso)
  • Dati sul film: Regia di Sebastian Sepulveda, Cile-Francia-Argentina 2013, 83’min
  • Giudizio: ****
  • Genere: Drammatico, storico 
  • Trama: Siamo nel 1974, da poco il dittatore Pinochet ha preso il potere in Cile. Come molti altri contadini, ciò che è rimasto alle tre sorelle Quispe, dopo la perdita del padre e della maggiore, Justa, Lucia e Luciana, è la loro vita solitaria, unita, dignitosa e dura interamente dedicata al lavoro, l’allevamento di capre al nord dell’assolato e freddo altopiano cileno. Abituate come il padre minatore a una vita semplice e che trae non solo sostentamento ma la sua stessa ragione d’essere dal loro allevamento, la loro esistenza è sconvolta quando apprendono che il nuovo regime vuole imporre nuove regole, far uccidere gli animali, come le informa il vecchio Don Juan, loro unico contatto sociale. L’angoscia cresce: la polizia ucciderà i loro animali? Rimarranno da sole per sempre? Nel cercare risposte a ciò che per loro è incomprensibile interrogando Maria, la sorella morta il cui ricordo non le lascia mai, passa nell’altopiano un giornalista che tenta di fuggire al regime, e le cui notizie sulle violenze le spaventano ancora di più; ma soprattutto, il suo inaspettato passaggio di ‘uomo’ sveglia in Luciana un mai sopito, rude e straziante desiderio d’amore, i residui di una femminilità mai vissuta e perduta per sempre. Della somma di queste perdite e dolori, Luciana si ammala, come a scegliere un destino di morte. Insieme alle sorelle, saranno loro stesse a uccidere ordinatamente tutte le capre e i cani, compagni di una vita, per suicidarsi infine nel lucido e agghiacciante silenzio dell’impiccagione: tre corpi maturi, di donne tra i 50 e i 60 anni dai volti indi scavati dalle rughe e dal sole, penzolano solitari e quasi statuari nella luce accecante dell’altopiano. Ispirato a una storia vera.
  • Andare o no a vedere il film? Assolutamente sì, una vera sorpresa. Alla sua prima regia, il giovane cineasta cileno propone un’opera di rara bellezza, incanto, tragedia e poesia. Il fatto storico in sé, le devastazioni silenziose, sconosciute ai più che sempre le dittature si portano dietro (si ripensi al “Wolfkinder” visto due giorni fa), è qui arricchito dalla splendida recitazione delle tre donne, dal linguaggio di per sé sufficiente del paesaggio, dall’intreccio tra la minaccia della perdita della ragione stessa di una vita, con la perdita intima del sogno infranto di Luciana. Ho volutamente lasciato il titolo originale, benchè ‘ninas’ stia per ‘bambine’ e le tre sorelle siano donne adulte (rese semmai più vecchie dai solchi che la fatica ha scavato nei loro volti), poiché mi pare impoverente qualunque traduzione: le Quispe sono in effetti come bambine invecchiate, mai state donne, tenute insieme dal legame inscindibile fra loro e il ricordo delle perdite subite, in un tutt’uno con la natura e la pastorizia assolutamente inscindibile. Qualunque cambiamento, è impensabile, sconvolgente. Pochi ma intensi i dialoghi; al desiderio di femminilità di Luciana, la più anziana risponde diffidente che lei gli uomini ‘li conosce’: la violentarono da ragazza, in mezzo ai campi e alle capre. Imperdibile film, sperando che la distribuzione non lo penalizzi.
  • La versione di uno psicoanalista: Benchè sembri apparentemente un mondo senza inconscio, quello delle sorelle Quispe, in realtà non è così. Intelligenti e intuitive, con i loro strumenti emotivi ‘sentono’, anche se non sanno, che il cambiamento che un ottuso e violento regime di cui non sanno nulla chiederebbe loro, è quello che Bion chiamerebbe un cambiamento ‘catastrofico’, che non porterebbe a nessuna evoluzione, ma solo alla devastazione identitaria. Il pascolo, come i ricordi, non sono altro-da-sé per queste donne, appartengono a ciò che potremmo definire i loro confini dell’io, la loro sostanza identitaria, il loro Sé. Come se a un individuo di oggi si portasse improvvisamente via la casa, il lavoro, la memoria…tutto, senza capirne il senso. L’aggiunta, da parte forse della narrativa del regista (presente in sala e noto in ambiente cileno), dell’incrocio da parte di una di loro con la fantasia subito perduta dell’incontro maschile, arreca un elemento di soggettività, d’intimità che rende la vicenda ancora più vicina al nostro sentire di oggi, e certo alla nostra attenzione analitica. Così come la perdita del nome per il bimbo di “Wolfkinder”, un’altra intensa riflessione sulla perdita, sull’identità, su ciò che costituisce per ogni essere umano, anche il più semplice e contadino e più distante da noi, il nocciolo duro dell’Io. Ancora una parola, pronunciata in apertura da chi ha presentato il film: Dignità. Potremmo anche chiamarlo così, questa sorta di rispetto di sé cui le tre anziane bambine non sanno rinunciare. Dignità.

(Post) Commento di Marta Capuano

Sono d’accordo con  Rossella Valdrè: un film imperdibile! Ma, ahimè un film per amanti del cinema. Bello il connubio, associato ad una fotografia eccellente, tra luogo, pietre, legno  e umano al femminile (donne, anzi bambine e capre). Il film è tratto da una piece teatrale e racconta una storia vera, di desolazione e povertà, senza scampo come spesso non vi è scampo  all’avvento di un regime. Brave le attrici che hanno saputo “rinunciare” a ogni aspetto di femminilità….Ma, c’è sempre un ma…..sarà stata l’ora della proiezione, le 14, ma da un film che non è un documentario mi sarei aspettata un risveglio con forse un finale più fantasioso! La più giovane delle donne, che chiede insistentemente alle sorelle dell’innamoramento di Maria, sorella–madre persa, ma sempre viva nel ricordo e nell’immaginario, che risveglia continuamente in lei qualcosa che non ha mai vissuto, l’innamoramento, meritava la possibilità di realizzazione di un sogno: forse andare in Argentina con il giornalista fuggitivo!? Perché lei assolutamente non voleva morire.

E’ un film poetico che parla di amore, amore tra sorelle, amore per la natura e gli animali, amore per i luoghi.  Ma dove l’amore non trova scampo. Fino a che punto deve arrivare la dignità e la coerenza delle donne? Un film che mi ha lasciato dell’amaro in bocca….ma forse per questo merita di essere visto!

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