Cultura e Società

La pelle dell’orso

28/11/16

Autore: Massimo De Mari
 
Titolo: La pelle dell’orso
 
Dati sul film: Regia di Marco Segato, Italia, 2016, 92’

Trailer:
 
 
Genere: commedia
 
 
Trama: C’è un dramma vissuto nel silenzio, all’interno di una famiglia di montanari, in un paesino delle Dolomiti venete. Pietro è un uomo dal carattere difficile, isolato e preso in giro dagli altri valligiani, trattato come un animale scorbutico. Lavora in una cava di sassi, un terreno duro come il suo carattere, che solo la dinamite può sbriciolare. Federico, suo figlio, è un ragazzo quattordicenne che vive isolato come il padre, in un mondo di adulti, a contatto con una natura meravigliosa, ma anche matrigna e persecutoria. A rappresentarla è un orso leggendario, soprannominato “il diavolo”, che ha imperversato nella valle in un passato lontano: tutti lo credevano ormai morto, invece ritorna a seminare paura e morte. Pietro, novello Achab, si offre di andarlo a uccidere e promette di portare la sua pelle per riscattare la fama negativa di un passato trascorso in carcere.
 
Andare o non andare a vedere il film:
La trama scorre sul filo di una tensione sostenuta da un ritmo lento, come l’alternanza dei giorni e delle notti, ma incalzante, sulle orme dell’orso, con i dialoghi asciutti e ruvidi dei protagonisti alternati ai silenzi della natura cui una bellissima colonna sonora fa da cornice discreta. Il racconto si sviluppa a spizzichi e bocconi, individuando per ogni personaggio il proprio ruolo, svelandone i segreti e stemperando, infine, le tensioni in un epilogo drammatico e commovente. È un film per chi ama la natura e i suoi contrasti, per chi ama la fotografia (eccezionale lavoro di Daria D’Antonio) e i suoni della montagna (resi altrettanto felicemente dai sound designers) e, soprattutto, per chi non ama effetti speciali e finti eroi, ma cerca personaggi autentici. Perché andare a vedere il film? La pelle dell’orso è un piccolo film italiano, di una giovane produzione indipendente, la Jole Film di Francesco Bonsembiante, che merita visibilità. Gli attori sono tutti di alto livello, da Marco Paolini a Lucia Mascino al giovane Leonardo Mason. La regia è di Marco Segato, messosi in evidenza alla Mostra del Cinema di Venezia del 2012 con il documentario L’uomo che amava il cinema dedicato a Pietro Tortolina, memoria storica del cinema in Veneto, grande collezionista di pellicole. Con questo film Segato si può considerare, a buon titolo, uno degli eredi della scuola del regista padovano Carlo Mazzacurati, cui il film è dedicato, che si evince soprattutto dalla cura con cui il film è confezionato e per l’efficace coordinamento del lavoro di un gruppo di professionisti di talento.
 
La versione di uno psicoanalista:
Pietro, come Achab, cerca nella lotta con l’orso, il mostro – che rappresenta l’inconscio, come la mitica balena di Melville – un modo per confrontarsi con i suoi fantasmi, la morte misteriosa della moglie e il suo passato pesante, conseguenza di un momento di perdita violenta di controllo. La sua è una lotta che, come quella di Achab, sembra, a tratti, la ricerca di una morte purificatrice, che cancelli il passato e, magicamente, come il meccanismo difensivo dell’annullamento, ristabilisca un equilibrio alterato dal trauma. Durante questa ricerca Pietro deve, però, confrontarsi con Federico, il figlio che gli fa delle domande scomode, lo provoca, lo insegue, critica la sua ricerca di autopunizione, per proporsi come alternativa di vita. Pietro inizialmente nega quasi l’esistenza di Federico, lo sopporta con fastidio, lo scaccia. Nell’evolversi della storia, un po’ alla volta, accetta di riprendere la sua strada con lui e finisce per dare a se stesso un’altra possibilità. Padre e figlio si riavvicinano gradualmente, annusandosi come bestie ferite, scontrandosi, ma, alla fine, ritrovando una possibilità di dialogo, nella ricerca comune delle orme dell’orso e, insieme, delle tracce del loro passato.
 
Novembre 2016

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