Cultura e Società

“Marx può aspettare” di M. Bellocchio. Recensioni di G. Riefolo

29/07/21
"Marx può aspettare" di M. Bellocchio. Commento di C. Giraudi

Autore: Giuseppe Riefolo

Titolo: “Marx può aspettare”

Dati sul film: regia di Marco Bellocchio, Italia, 2021, 96’.

Genere: drammatico, documentario.

(prima visione)

Le lettere: finalmente

(Marx può aspettare, Marco Bellocchio, 2021)

Giuseppe Riefolo

“nello specchio guardo dietro guardando avanti”

(Pistoletto)

Camillo nella mia stanza.

L’idea del film è bella e chissà da quanto tempo era sospesa nelle possibilità di Bellocchio. Possiamo pensare da sempre. Le citazioni di altri film confessano che si tratta di una memoria sospesa che accompagna Bellocchio da sempre e che solo ora prende forma di una sequenza narrabile.  Ci si può chiedere perché ora. Anche questa domanda per un analista è ovvia: forse perché te lo chiedono i tuoi figli da cui non a caso ti fai intervistare. Infatti. “da anziano… prima di morire, mi è venuto in mente di rappresentare questa tragedia!”. Ora ti tocca una felice dimensione di fragilità che ti avvicina a Camillo.

Il giorno dopo averlo visto al cinema, il film di Bellocchio ritorna nella mia stanza di analisi. Giulio ha perso suo padre che era appena adolescente. Ora ha una compagna, un buon lavoro, ma ci sono sempre tanti motivi validi per non poter lasciare la madre che da 20 anni non ha più un compagno. Negli ultimi mesi, tra di noi, c’erano stati dei segnali. La volta scorsa ha dimenticato l’onorario e oggi arriva in ritardo. Una sua amica gli chiede se può aiutarla a portare due cani dal veterinario. Altre volte l’ha fatto, ma questa volta medita di non accompagnarla: “lo so che non ha la patente, ma io che c’entro?”. Qualche settimana fa, dovendo lavorare in remoto, si è messo nello studio del padre che da 20 anni non era mai stato usato. Ha liberato la scrivania ed una piccola libreria: “incredibile! Sono stato bene!” Suggerisco che con me e con la sua amica vuole presentarsi per quello che è… finalmente non deve fare tutto lui e può rischiare di poter essere visto brutto. Rimane in silenzio. “Ho scritto una lettera a mio padre! E’ tanto che ci pensavo! Avevo tante cose da dirgli, ma non ci riuscivo”. Ovvio che come per Bellocchio si trattava di una violenta lettera d’amore che, proprio come per Bellocchio, dopo 20 anni arriva al destinatario. Già durante la seduta con Giulio, ma poi dopo, ho rivisto il film partendo dalle lettere che erano state spedite da Camillo e che solo ora trovano un fratello curioso che vuole leggerle.

lettere

Solo ora puoi scoprire che Camillo ti manda una lettera in cui chiede spazio anche per sé, come allora, nella pancia di tua madre. Eppure, allora ci volle una gran fatica… tre ore, per riprenderti a seguire nella vita, senza raggiungerti: “lui si è ammalato, sciacciato da questo confronto impossibile rispetto ai due fratelli geniali”.  Ma ora Camillo ti raggiunge:“ti mandò una lettera…”; “ A me? Ce l’hai tu?”; “ho una fotocopia! Ti chiede se per caso nel campo del cinema ci potesse essere uno spazio anche per lui!” Incredibile. Dopo 80 anni ancora i gemelli che si cercano nello spazio stretto dove essere insieme, e questa volta si trovano. Quindi la lettera: “carissimo Marco, è quasi un anno che non ci sentiamo….”.  Quella lettera ti arriva solo ora. Sei imbarazzato (commosso?) e cerchi giustificazioni: “eravamo nel 1964… 54 anni fa… potrei anche non avergli risposto!”. Il problema non è la colpa che pure è la prima cose che ti potrebbe rassicurare, ma il problema più doloroso è la memoria: perché una lettera dopo 54 anni? I ricordi possono attendere, ma attendere significa implicitamente, che poi, se la tua vita è ricca, le memorie si ripresenteranno. Ci saranno momenti in cui quelle lettere avranno senso perché ora toccano la tua vita. Ora sei tu che chiedi: “cosa potrei fare?… non ne vengo a capo!”. Ora ti accorgi che quella “è una lettera… piuttosto forte… che ci fosse un disagio abbastanza grande…” e, giustamente ti mancano le parole forse perché l’importanza di quella lettera ti viene dalla presenza dei tuoi figli e sono loro a portarti da Camillo con la loro curiosità. “Io allora non gli risposi in modo affettuoso… fraterno…”. Ora ti chiedi quello che avresti dovuto o voluto chiedergli allora: “fare il cinema? Ma che cosa? L’attore?”. Il problema della lettera che conoscevi, ma non ti è mai arrivata, è che ora ti poni il problema e ora non capisci che cosa avresti dovuto rispondere. Gli analisti sanno che quando una memoria ti si ripresenta, la domanda non riguarda il passato, ma riguarda la tua vita di ora e la domanda non è di tuo fratello, ma è anche tua e la poni  a qualcun altro. I pazienti la pongono all’analista: “E tu gli hai risposto?” (chiede la figlia).  “Non mi ricordo…”

Le lettere del film dicono di un processo che gli analisti conoscono bene e che Giulio mi riportava nella stanza di analisi. Il passaggio dalle memorie (reminiscences) ai ricordi (recollections). Reminiscences si riferiscono ad esperienze accadute quando il soggetto era incapace di integrarle “nel grande complesso delle associazioni insieme alle altre ersperienze” (Loewald, 1955, 209), mentre recollections sono esperienze di ora capaci di riconnetterti con quello accaduto allora. Il film, quindi, è un dispositivo che permette al regista la felice riattivazione di un processo che dalle memorie possa finalmente permetterti i ricordi. Ma il processo non è lineare. Si muove simultaneamente su due livelli per alcuni versi paralleli: “ci troviamo di fronte non al richiamo di qualcosa di dimenticato, ma con un evento creativo in cui qualcosa per la prima volta può essere messo in parole….  Il ricordo… non è una ri-registrazione, ma la creazione di qualcosa di nuovo mentre proveniva da qualcosa di vecchio… mai esistito prima in questa forma” (ibid., 210).

C’é un’altra lettera. Quella di quando Camillo si suicida. Anche questa Marco la scopre ora. La tenne il fratello Piergiorgio che la distrugge perché “era il 1968, dovevamo proteggerci dalla polizia… potevano entrare e fare una perquisizione!”. Marco gli chiede della lettera, del contenuto. Che c’era scritto? Ora la lettera è importante ma allora – come racconta Piergiorgio – era una comune lettera di un suicida: “nulla… un amore deluso…”. Marco ricorda col fratello: “ricordo una frase: ho fallito anche in amore!”. Incredibile. Anche le due sorelle non sanno di questa lettera. La lettera si ricompone nell’intersezione di due ricordi. I fratelli di Camillo e Angela, che lui amava. Ma, mentre Angela ha ricordi: “cara angela, l’angoscia ha raggiunto un punto tale che non posso più vivere…”, i fratelli di Camillo possono solo avere memorie: “c’erano delle lacrime sulla lettera… come se avesse pianto. Tu l’avrai vista la lettera”; “Non me lo ricordo!”

Riferimenti Bibliografici

Loewald, H.W. (1955). Hypnoid State, Repression, Abreaction and Recollection. J. Amer. Psychoanal. Assn., 3:201-210.

Pistoletto M. (2015). “Da uno a molti, 1956-1974” Maxxi, Roma, 04.03/15.08 2011 (Catalogo).


Luglio 2021

(seconda visione)

I due film paralleli

(Marx può aspettare, Marco Bellocchio, 2021)

Giuseppe Riefolo

“Mia cara Michelle, il tempo non esiste, vedrai!

Esiste solo un lungo presente perpetuo”

(Il fiore del male, C. Chabrol, 2002)

Ricostruire la storia.

Mi sono chiesto: ma perché andare alla ricerca delle cause? Dei mandanti? Delle colpe? Le lettere arrivano ora e una ti chiede se puoi avere un posto e un’altra ti dice che non lo trovi. Capisco l’operazione di Bellocchio, ma per me le lettere arrivano sempre adesso; sono come i sogni: accadono mentre si raccontano ad un altro (Ferenczi, 1932) e le domande che pongono riguardano la tua vita di ora. Non so le domande che può farsi Bellocchio, ma ho pensato alle domande dei miei pazienti quando li incontro ed ho sentito che le domande che contano sono quelle che mi pongo continuamente, con loro, durante.

Ho avuto paura che il film cerasse di riscrivere una storia cercando le fragilità e quello che si sarebbe dovuto fare o capire 54 anni fa. Qualche volta (magari spesso…) lo facciamo. Ma a che serve? I pazienti spesso hanno una buona storia in cui si riconoscono e soprattutto sentono di aver fatto degli errori e di avere – loro o gli altri – delle colpe. Ma a che serve? Quando incontro un paziente mi chiedo sempre quale sia la domanda di ora. La domanda di ora arriva in una lettera dopo tanto tempo che ti chiede se puoi avere un posto che non trovi. Ma il posto che cerchi lo puoi solo trovare (ricavare?) ora e non allora.

Indagare… analizzare.

E’ la parte del film che mi è piaciuta meno, ovvero il film che cerca le risposte al suicidio: “Camillo non era…uno che partiva per l’Argentina e tornava milionario… aveva una timidezza verso le cose della vita… un velo di malinconia che non gli scompariva mai… Camillo è l’unico che al cimitero scoppia a piangere per la morte del padre. … perché era il beniamino… E’ l’unico che fa il militare… forse per rinviare le responsabilità… arriva finalmente la fotografia di Camillo sul carrarmato” (racconta il fratello Alberto).  Camillo è bello (quante volte deve averglielo ripetuto Angela…) nelle immagini super otto dei filmini di famiglia. La faccia di un attore americano di allora. E’ vero: ha sempre quel velo di malinconia che forse lo vedi dopo. Ma chissà com’è prima… che cosa sentono – o non vogliono vedere – quelli che sono con te allora. Sin dall’inizio devi occuparti di Paolo il fratello pazzo di cui tu solo puoi occuparti. Per tua madre che te lo chiede. Per i tuoi fratelli che non ne sarebbero capaci. Se indaghi la memoria ora i ricordi ti tornano come colpa, ma gli analisti sanno che la colpa ha una funzione rassicurante che blocca i processi di cercare la vita. La colpa pone la distanza dalle esperienze. Forse per questo il tono di voce di Bellocchio per tutto il film mi risuona come un imputato in un processo. Eppure ho amato tanto il suo suggerimento a non fare i processi a Moro e ai brigatisti. Che le storie possono sempre ribaltarsi e accogliere benevolmente la notte. Ma il film per una metà cerca di indagare i motivi di un suicidio. Non so se è un tono emiliano, ma il racconto di Marco del momento in cui apprende della morte e del suicidio del fratello è forte, distante. Mi sarei aspettato una pausa, una perplessità come nel momento in cui sai della lettera a cui non hai mai risposto. E’ strano: ho sentito il dolore per la lettera e la distanza per la morte. Ho pensato che la lettera appartiene alla vita, mentre la morte ti può toccare solo se quella persona la senti viva.

Infine, la ricerca delle “ragioni” arriva fino allo psichiatra. Penso che lo psichiatra serva per indagare il suicidio, ma interferisce con il dialogo possibile che hai con un fratello finalmente vivo. E’ come quando a scuola ci si chiedeva di commentare una poesia e il commento era mettere in prosa la poesia. Perché nessuno mi insegnava allora a godere del suono, le ellissi, i salti, le cadenze? Perché lo psichiatra? Il tema rimane le lettere che l’occasione del film ti portano. La difficoltà di rispondere non è una malattia, ma la felice possibilità che tu ora possa rispondere. Lo psichiatra dice che non hai risposto perché Camillo era malato, ma il tuo film sa che ora la risposta è un tuo diritto.

Non credo che il problema sia “riconoscere le proprie responsabilità”. E’ una posizione che poi porta alla colpa e al tempo e alle contingenze che leniscono le colpe (era il 1968…). Il problema fertile è la domanda di ora e Camillo diventa un personaggio del tuo Sé che ricompone tuoi stati dissociati e ti fa una domanda: chi vuoi essere? Hai un posto? Gli altri – ora – come ti vedono?

Quindi: l’altra metà del film.

A me è piaciuta l’altra metà del film dove adesso puoi finalmente parlare a tuo fratello. Ho pensato che il film sia stato inseguito per tutta una vita e solo ora, per mille ragioni (occasioni?) diventava possibile. Ciò che rende possibile, ora, il film, è la possibilità di permettersi, da parte del regista, una intimità semplice, familiare e soprattutto fraterna. Questa intimità fraterna è quella di Mariuccia che legge il diario alla sorella Letizia. Due sorelle che finalmente leggono di nascosto il diario della madre che parla del padre dove, il diario mente sulle ultime ore del padre: “giuro che non ho mai visto mio padre così anticlericale come durante l’agonia”. Infatti se Camillo avrà tre battesimi “per paura che morendo potesse rimanere nel limbo”, il padre avrà 4 volte l’estrema unzione per paura dell’inferno. Le scene dicono di un pranzo familiare, cinque anni fa, di quelli che anche nella mia espertienza si facevano ai matrimoni o alle prime comunioni. Dicono di un tempo lento e retorico dove i discorsi sono esagerati nelle immagini e nei toni perché, recuperare quel tempo, ti porta in una scansione lenta e infinita. Infatti, quei pranzi, anche nella mia esperienza, non finivano mai ed andavano ben oltre l’occasione del pranzo. Camillo è dietro tutto questo: nella rabbia del padre che caccia via il prete don Pagani che ti vuole tenere in vita in paradiso; nella negazione della madre che non vuole il limbo né l’inferno; nella gioia di trovarsi tutti insieme che esorcizza l’assenza insostenibile di qualcuno:  “tutti noi cercavamo di sopravvivere!…” La sopravvivenza è l’origine di questa storia, le memorie e il ricordo ne sono la possibilità. Se i fratelli 54 anni fa non hanno potuto ascoltare la bellezza triste di un fratello, neanche quando lo vedono morto, l’emozione passa in Angela e Pia. Confesso che mi sono commosso con Pia, la moglie di Tonino. Penso che Pia riuscisse a stare dentro, ma osservava da fuori perché aveva il vantaggio che  Camillo non fosse suo fratello: “quando tagliarono la corda io lo presi in braccio… era già freddo.. in quell’abbraccio l’ho sentito mio fratello”. E poi, “al funerale vidi quella ragazza bionda… capii che era lei… vidi che le tremava il braccio… tremava tutta e la sentii dire: Camillo, perché l’hai fatto?”

In questa parte del film scopri che le musiche (Ezio Bosso) sono belle. Gradualmente, le ho sempre più ascoltate e sono il vero Requiem. Ho pensato al lutto che si vive in una dimensione di pace e la musica – prima delle ragioni – ti sostiene in questo.

E’ bello il gesto di Piergiorgio nella foto finale che cerca di allargare le labbra della sorella Letizia per disegnarle un sorriso. Mi sono chiesto se fosse mai accaduto. Non posso saperlo, ma mi sono risposto di no. Perché questo è possibile solo ora che c’è il film e la vita riparte, ma non era possibile allora.

P.S. Che vuol dire la scritta finale che “i fatti e i personaggi rappresentati sono frutto dell’immaginazione degli autori. Ogni riferimento a persone reali, nomi e luoghi, è puramente casuale”? Amo fermarmi sempre fino ai titoli di coda, perché sono il film che, gradualmente, mi riporta alla sala illuminata dove mi accorgo che ero con altri a vedere il film. Leggere queste precisazioni rischia di farmi sentire che non sia accaduto nulla… che nonostante il film tutto è come prima!

Luglio 2021

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