Cultura e Società

“Ogni cosa è illuminata”: sulle tracce del passato

22/03/10

 

LA RICERCA DELLE TRACCE DISPERSE DEL PASSATO: PERCHÉ?

 

 

Il 27 gennaio 2010 – anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz- il Centro Milanese di Psicoanalisi ha organizzato una celebrazione dal titolo “La ricerca delle tracce disperse del passato: perché?”. Pubblichiamo il programma; la presentazione  di Simonetta Diena; una breve cronaca di Valeria Egidi Morpurgo seguita dal testo del suo intervento.

 

PROGRAMMA

 

 

20.30  Proiezione del film “Ogni cosa è illuminata”

di Liev Schreiber (USA 2005)

 

  22.15 Memoria autobiografica:”Alla ricerca dell’anima”

La testimonianza dell’analogo viaggio in Ucraina compiuto da Dani Schaumann che racconta, esattamente come nel film, la sua esperienza, a tratti drammatica, a tratti grottesca, della ricerca delle tracce scomparse della sua famiglia paterna: incontri, accoglienze, chiusure, scoperte, immagini di ora e di allora.

 

Aprono il dibattito:

Valeria Egidi Morpurgo -Membro dell’IPA Commettee sul Pregiudizio

Giuseppe Pellizzari – Presidente del Centro Milanese di Psicoanalisi

 

 

PRESENTAZIONE

 

Simonetta Diena

 

 


O Auschwitz, ich kann dich nicht vergessen, weil du mein Schicksal bist…

O Auschwitz, non ti posso dimenticare perché sei il mio destino…

(canzone del campo)

 

Nella comunità psicoanalitica internazionale è da tempo aperto un vivace dibattito sul tema della memoria dei ricordi traumatici di tragedie familiari e sociali, descritti come ‘braci ardenti’ che continuano a bruciare per anni sepolte sotto le ceneri. È utile e opportuno favorire l’accesso a tali ricordi anche molti anni dopo?  Lo psicoanalista statunitense Samuel Gerson, vincitore del Premio IPA 2007 per gli studi sulla Shoah, ricorda come l’imperativo a sopportare e sostenere la testimonianza e la seduzione della cieca negazione sono gli eterni dilemmi delle tragedie collettive, in competizione tra loro. Cosa può esistere tra l’urlo ed il silenzio? Tra il riemergere continuo delle memorie traumatiche, che non possiamo né ricordare completamente, né dimenticare completamente, e il buco che si espande inesorabile oscurando i nostri ricordi e appiattendo le nostre risposte? Tra questi due estremi solo il terzo, il testimone, può essere la presenza che vive nel buco nero, assorbe l’assenza e trasforma le nostre relazioni con la perdita. Il terzo, si colloca tra l’esperienza ed il suo significato, tra il reale ed il simbolico.

Con il passare degli anni diventa sempre più difficile uscire dalla retorica dei sentimenti, dall’obbligatorietà di una rimembranza sterile, fine a se stessa. L’esperienza dei sopravvissuti diventa sempre più “inenarrabile”, e sempre meno possibile la trasmissione diretta della realtà storica e delle vicende personali. E’ sempre più difficile attraversare il buco nero, l’interruzione di senso che la Shoah ha rappresentato nella storia dei singoli individui e dell’umanità.

Quest’anno abbiamo scelto di proiettare un film, “Ogni cosa è illuminata”, che racconta proprio l’esperienza del rincorrere le memorie perdute, di provare a narrare ciò che era stato inenarrabile per la generazione degli scomparsi, o perché, appunto, scomparsi, sepolti dall’oblio dalla storia, o perché sopraffatti dall’inenarrabilità della loro esperienza. Alla proiezione del film abbiamo pensato di associare la straordinaria testimonianza di un analogo viaggio compiuto da un figlio alla ricerca delle radici perdute della sua famiglia paterna.

 

 

CRONACA

 

Valeria Egidi Morpurgo

 

 

In una sala del Comune (Scuola Civica di Musica-Auditorium Lattuada in corso di Porta Vigentina) leggermente demodé, ma molto ben tenuta, accogliente, e con un’ottima acustica eravamo circa un centinaio. La proiezione di Ogni cosa è illuminata ha molto colpito il pubblico; non tutti i presenti avevano già visto il film, e tutti, mi sembra, ne sono stati toccati.

 

Dopo la proiezione del film è intervenuto  Dani Schaumann,  che  qualche anno fa, in compagnia di un figlio e di un nipote, è andato a cercare le tracce dei nonni  (famiglia paterna) in un paese dell’ Ucraina, Kuty, un po’ come nel film. Quella zona era la  Galizia. Il viaggio si è svolto da Kiev a Kuty per 800 km di strade pessime, con molte difficoltà: sia per  capire le indicazioni, sia per comunicare con la popolazione locale. Le foto scattate da Schaumann di paesaggi e di architetture erano molto simili a quelle del film. Il compagno di viaggio trovato là per caso, un israeliano Lubavitch che parlava  l’ebraico e un po’ di russo (con lui Schauman  parlava in inglese e  in un ebraico scolastico)  ricordava certi aspetti picareschi del film. La storia, che Dani ha raccontato in tono molto piano e pacato,  ha avuto un  punto di particolare convergenza emotiva con il film nel momento in cui Dani ha trovato i nomi dei nonni in un elenco di ebrei fucilati vicino al loro paese di origine. 

Il padre di Schauman, uno studioso, che era rabbino e che è stato una personalità carismatica per l’ebraismo milanese,  si era salvato perché era andato a studiare a Vienna con una sorella. Sapeva che i suoi genitori  erano stati uccisi, ma non se l’era sentita di conoscere i particolari della loro uccisione. Dani ha invece voluto, molti anni dopo la morte del padre, andare a vedere che cosa c’era in quel vuoto, in quel buco della memoria. Ha trovato l’elenco dei fucilati, scritto in precisa calligrafia da burocrati zelanti, nei quali c’erano i nomi dei genitori di suo padre. Ha rivisto anche la casa del nonno, ancora intatta, e il paese intero che è rimasto, quanto a edifici, come negli anni ’30. Nessuna traccia invece è stata trovata dei fratelli e delle sorelle del padre, che erano  ragazzi: scomparsi nel nulla. Del resto di tutti gli ebrei del paese, che erano la maggioranza degli abitanti, era sopravvissuta una sola donna, riuscita a scampare alla strage  rifugiandosi  nella vicina foresta. Il figlio della donna vive oggi a Kuty ed è il solo ebreo del paese.

 

Dopo questi due racconti era difficile dire alcunché che non sembrasse fuori posto, ma abbiamo spiegato al pubblico perché come psicoanalisti avevamo proposto il tema della memoria delle tragedie collettive e della testimonianza. Ricostruzione degli eventi “storici” e ricordo attivo, al fine di  costituire  la memoria condivisa e una comunità della memoria dei traumi collettivi dovuti alla Shoah e alle  tragedie epocali.  Il vuoto, il buco nero, non sono riparabili interamente, ma il lavoro di testimonianza, riparazione e ri-simbolizzazione sono indispensabili per fermare l’azione mortifera del trauma collettivo tra le generazioni. Così abbiamo presentato i nostri  interventi  (Simonetta Diena, Giuseppe  Pellizzari e Valeria Egidi)  poi abbiamo aperto il dialogo con il pubblico che era molto attento e partecipe. Il dialogo è stato rilanciato e animato, tra gli altri, da Anna Ferruta e da Ronny Jaffé.

 

 

INTERVENTO DI VALERIA EGIDI MORPURGO

 

Tra i diversi filoni dello studio e della ricerca psicoanalitica sulla Shoah, quello che  privilegiamo nell’incontro di stasera è quello della memoria. Memoria attiva, intesa come compito non solo conoscitivo ma anche e soprattutto etico, che muove dal concetto di testimonianza. La testimonianza  mantiene e preserva nelle coscienze i ricordi, cioè  pensieri e affetti, e permette la   ricostruzione storica, ma soprattutto quella che ci interessa di più, e cioè la ricostruzione psicologica degli eventi. La testimonianza consente quindi di affrontare  la rielaborazione e tentare la riparazione dei traumi epocali e delle tragedie collettive, di affrontare i processi di lutto, che come dice lo psicoanalista francese René Kaes, sono sempre di carattere collettivo. Per questo, come ricorda Dori Laub, psicoanalista e psichiatra americano, ebreo sopravvissuto al lager dove fu internato da bambino, e cofondatore dell’ Archivio Fortunoff all’università di Yale per la raccolta delle testimonianze dei sopravvissuti della Shoah, per questo occorre costruire una “comunità della memoria” . Per questo ritengo che abbia un senso che stasera ci troviamo qui, per questo ritengo abbia un senso il lavoro di discussione  psicoanalitica sull’antisemitismo messo in atto che con la partecipazione attiva di un gruppo di colleghi del centro milanese di psicoanalisi dal 2004, e la proposta, riformulata ogni anno al pubblico più vasto dei colleghi e di tutti gli interessati, di un incontro di riflessione psicoanalitica in occasione della Giornata della Memoria.

 

Vorrei anche ricordare che con il gruppo di studio dell’IPA sul pregiudizio e l’antisemitismo abbiamo lavorato per cinque anni sulla ricerca dello specifico che porta il pregiudizio comune contro il diverso (pregiudizio che spesso appare blando e innocuo e a cui è facile assuefarsi) a diventare pregiudizio maligno violento e mortifero. La Shoah è unica, la Shoah è  esemplare tra gli stermini e i genocidi dell’epoca contemporanea:  dall’evento  precursore, il genocidio degli Armeni del 1915 che fu studiato con maligna attenzione da Hitler, passando per il terrore di stato staliniano degli anni trenta, fino  agli anni 70 con gli omicidi politici di massa nel Sudamerica, il genocidio in Cambogia, e di lì  agli anni 90:  con la pulizia etnica in Bosnia, il genocidio in Ruanda Burundi, il massacro in  Cecenia, il genocidio in Darfur. Abbiamo imparato qualche cosa? Possiamo imparare qualche cosa? Forse, abbiamo imparato che la testimonianza è un argine per l’orrore che ci permette di sperare in una sia pur parziale e modesta riparazione  dei traumi e  dei lutti collettivi. 

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