Cultura e Società

Irina Palm

26/09/13

Regia di Sam Garbarsky, 2007, B-L-GB-F, 103 min.

Commento di Jones De Luca

“Irina Palm” è un piccolo capolavoro, nel quale succede una cosa importante.

In maniera delicata e geniale il film accosta due mondi apparentemente lontani permettendo allo spettatore di intuirne il legame. Due mondi ai due lati di un muro, ma in questo muro c’è un buco.  La geniale trovata del “muro con il buco” attorno alla quale ruota il film permette a uno psicoanalista di intuire che cosa vuol dire “indagare la cesura”: questo il mio punto di partenza e forse di arrivo.

Ma procediamo con ordine: il vertice da cui il registra costruisce la sua opera è un vertice al maschile anche se la storia parla di Maggie, una donna non più giovane alla  ricerca disperata dei soldi necessari per curare il proprio nipotino gravemente malato.

La descrizione parte dal primo lato della questione (ovvero dal  lato illuminato del  muro) e si dispiega in piena luce con il racconto della vita di Maggie. Il regista lavora con pennellate sicure e dialoghi precisi: la famiglia, il quartiere, le amiche, i debiti e la ricerca di soldi. Il lavoro per Maggie è impossibile da trovare e, “per dirla con un eufemismo”, si trova a fare la hostess in un locale sexy: 

– “Sai cos’è un eufemismo?”
– “No”
– “Neanch’io. Me l’ha detto il mio avvocato”

Non ha l’età per esibirsi, ma il padrone nota le sue mani morbide e le propone l’attività più innovativa del suo locale: una cabina speciale dove l’unico contatto tra “cliente” e “professionista” avviene attraverso un buco del muro nell’anonimato più totale. Attraverso il buco la professionista provvede con la propria manualità alle “esigenze” del cliente che si trova dall’altra parte del muro e del buco. 

Maggie prende il nome d’arte di Irina Palm. Il suo successo, apparentemente inspiegabile,  ci porta dall’altro lato del muro, a guardare oltre il buco.

Lo stile del racconto cambia: non ci sono più dialoghi, persone, vicende umane, solo poche immagini in penombra. Quello che appare è il bisogno maschile, con il suo carattere di urgenza, intuito più che raccontato, un bisogno muto, descritto con una sorta di pudore: sono uomini in fila, senza volto .

ll vertice di osservazione si rovescia.

Parthenope Bion forse lo spiegherebbe così: “Nel  momento in cui la scatola cambia improvvisamente posizione davanti ai nostri occhi, sta avvenendo la cesura”. Dove cesura è uguale a cambio, passaggio da uno stato mentale all’altro. (Mappe per l’esplorazione psicoanalitica, Borla 2011, pag. 197). L’autrice scrive anche che i due versanti della cesura sono sempre presenti, ma uno è più soffuso, di sottofondo, vergognoso e nascosto. E’ proprio questo lato “soffuso, vergognoso, nascosto”, che è mostrato dal regista. Il suo sembra quasi un appello, ironico e leggero, rivolto al mondo delle donne. Per le donne non è sempre facile ascoltare l’urgenza del bisogno maschile, il corpo non le aiuta.

Le donne analiste vedono spesso il transfert dei loro pazienti costruirsi e dispiegarsi  proprio su questa difficoltà di vicinanza. L’urgenza del bisogno e il dolore per il sollievo mancato entrano prepotenti in seduta.

Nell’analisi di pazienti che vivono in stati mentali “al limite”, è facile per esempio che l’analista sia investita violentemente dalla rabbia del paziente verso le donne perché dispotiche e insensibili: le donne si rifiutano e non danno sollievo alla tensione, pur avendone la possibilità.

La donna è potente e avara come una dea primigenia e, come canta il famoso bolero, “me hizo comprender todo el bien e toldo el mal, que le dio luz a mi vida, apagàdola después..” (“È la storia di un amore, come non ce ne sono uguali, che mi ha fatto capire, tutto il bene, tutto il male, che ha dato luce alla mia vita, spegnendola subito dopo”, Historia de un amor, è una canzone scritta dal cantautore panamense Carlos Eleta Almarán, nel 1956, in forma di bolero.).

La donna possiede la grande ricchezza di un corpo che è in grado di calmare  le tensioni, non solo sessuali, fin dall’inizio, un corpo che può regolare la furia dei bisogni e delle emozioni, ma che può anche negarsi.

Il lavoro analitico porta allora a percorrere, nel controtransfert della analista, la strada dell’oppressione data dal senso di  sfruttamento, dall’irritazione per le pretese (ovvero per la fame insaziabile), e, a volte, della paura.

Il film avvicina con tocco leggero un tema difficile, con tutti e due i suoi lati, nel trattamento di questi pazienti  e di addomesticarlo un po’. 

“Tra le cose più difficile e dolorose nel trattare le cesure c’è il bisogno, che l’analista riscontra, di tenere a mente entrambi i lati del fenomeno e rimanere vigile ad entrambe le posizioni della “scatola”. E’ sempre Parthenope Bion ne “I due lati della cesura”, quando riprende  l’indagine del padre Wilfred Bion, sul tema della cesura.

Ricordo un giovane paziente che mi descriveva con rabbia incontenibile il suo odio per le ragazze, dispensatrici di eccitamenti che poi soddisfano o meno secondo il loro capriccio. A volte l’ora dopo mi trovavo ad ascoltare donne ferite dalla violenza dei maschi, donne  violate da bambine, oppure tagliate fuori dalla storia della famiglia perché femmine, donne stremate dal parto, donne spesso inconsapevoli di quello che potevano suscitare.  Si lamentavano dei loro compagni: “non mi ama vuole solo quello…”. Dall’altra parte ascoltavo la versione opposta: “la desidero immensamente, quindi la amo…”.

Una incomprensione epocale, una  guerra dei sessi senza fine e senza quartiere.

Nella consultazione con le coppie questo tema si affaccia quasi regolarmente con un dolore che a volte è letale per la coppia stessa.

Del mio paziente pensavo che non ce la facesse ad avvicinare qualcuna che lo potesse comprendere: il bisogno era troppo dirompente, la frustrazione inevitabile, l’odio e la rabbia incontenibili. Ai suoi stessi occhi tutto ciò lo rendeva poco desiderabile e molto lontano “da qui biondini efebici che piacciono tanto alle ragazze”. Trovava nel contato con una prostituta qualcosa che riusciva a calmarlo. Lei capiva e sapeva cosa fare.

Del resto una di loro, una ”pioniera”(Nell Kimball, Memorie di una maîtresse americana, Adelphi, Milano 1976) questa volta non della psicoanalisi, ma  della “conquista dell’ West”, scriveva nel 1932: “La verità è che il sesso non ha niente di romantico, è  imperioso bisogno di rilassamento come una molla caricata di un orologio”. “Il sesso era una sorta di medicina per la gente impaurita e in preda al panico…non era soltanto un piacere, se ne poteva trarre un sacco di benessere e di pace, come cura faceva bene come una intera scatola di pillole del dottore.

Un altro paziente era arrivato all’analisi sull’orlo dell’abisso: era insonne da mesi dopo che nei suoi sogni aveva incontrato solo corpi di donne a pezzi smembrate da qualche furia sessuale. 

Come può sentirsi il portatore di questa forza distruttrice? Forse lo si può intuire guardando uno dei disegni del Minotauro di Picasso. L’uomo bestia è nel pieno della sua forza: sotto di lui gli occhi sbarrati di una donna.  

minotauro

Poco ci aiuta in questi casi invocare la bisessualità, quello che ci è richiesto non è annullare o diminuire la differenza. Così potremmo solo rischiare una negazione che sarebbe sentita come irrisoria del dolore e dell’angoscia derivati dalla differenza e dall’incomprensione.

C’erano voluti anni di intenso lavoro per tenere questo paziente  fuori della voragine, ma il prezzo era stata la rinuncia ad avvicinare le donne visto che erano capaci di trasformarlo in una bestia.

Per entrambi questi giovani uomini l’inizio della vita non era stato facile: le loro erano storie di trascuratezze gravi, storie di  neonati lasciati troppo presto in mani estranee. Le vicende precoci avevano colorato di astio e disperazione tutti i loro bisogni successivi e la carenza era il  tema centrale.    

E l’Edipo?

Nel film questo tema viene affrontato esplicitamente: quando il figlio si  avvicina l’angoscia sale. E’ forse l’unico momento in cui l’angoscia appare, ma è solo per segnalarci che l’epilogo della storia è vicino.

Non è lì la chiave. La chiave è il successo di Irina.

Nel film c’è un uomo “sapiente” che dice:” Gli uomini vengono qui per essere toccati da una donna.” Lui mette a disposizione dei suoi assistiti le mani di Irina ed è affascinato quando la vede introdurre, nella stanzetta di qua dal muro, gli elementi delle cure familiari: un grembiule da casa, un vaso di fiori, la crema per le mani.

Così si ripropone il rapporto tra sessualità e cure.

Perché lei diventa più brava? Semplice! Ha cura. Di questo le sono grati.

“Separa!” suggerisca la giovane collega che le ha insegnato i rudimenti del lavoro: separa le tue emozioni, la tua vita, il tuo affetto, scindi potremo dire noi, la tua mente. Ma poi, proprio perché  “separa”, la giovane perde il posto: è restata senza clienti, passati tutti alla nuova “professionista”.

Chi separa sono anche le amiche di Maggie: “Come sta tuo nipote? Vedrai che passa, guarirà!”. Negano il bisogno e la disperazione.

Torniamo a  Parthenope Bion dove riprende e amplia l’idea che la cesura sia importante di per sé, sottolineando sia la ricerca della continuità, sia approfondendo e indagando il divario. “Divario dove si colloca l’ansia e la vertigine di quando si guarda dentro/ o fuori  o al di là” .

C’è un momento nel film in cui ci si affaccia a questa vertigine e si vede la disperazione sottostante: è l’unico momento veramente drammatico, perché il registra ci mostra come questi uomini siano “crocifissi” dal loro bisogno. 

Il sogno del regista (se esistesse una nonna come Maggie) è quello di poter ricevere  comprensione per un bisogno che “crocifigge”  dei poveri Cristi.

Questo sogno potrebbe aiutare le analiste alle quali pazienti in grande difficoltà si rivolgono chiedendo di “prendere in mano” questo scabroso problema.

Settembre 2013

Commento presentato alla rassegna “Buio in Sala”, Firenze 2011.

Premi e nomination: David di Donatello (2008) Primo premio, Miglior film dell’Unione Europea; Nastri d’argento della SNGCI (2008) 1° Premio; European Film Awards (2007), nomination per Migliore attrice europea – Marianne Faithfull, Migliore attore europeo – Miki Manojlovic

 

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