Cultura e Società

Precious

13/04/15

di Lee Daniels, USA, 2009, 110 min.

di Cinzia Carnevali e Gabriella Vandi

Il film di Lee Daniels, Precious, ha vinto numerosi premi, tra i quali il Sundance e due premi Oscar. È tratto dal romanzo Push (della scrittrice e poetessa Sapphire, edito dalla Rizzoli 1997).
È una pellicola di grande impatto che parla di abusi, di violenze fisiche e psichiche.
Il regista afroamericano, sceneggiatore e produttore, a sua volta vittima di abusi durante l’infanzia, ha dichiarato di aver tratto spunto dalla sua vicenda personale di bimbo maltrattato dal padre.
Abbiamo presentato questo film, in occasione dell’8 marzo, in collaborazione con la Rete Provinciale Antiviolenza, l’Assessorato alle Pari Opportunità e la Cineteca del Comune di Rimini.
È la storia di Clareece Precious Jones. Nessun altro nome poteva essere più provocatorio e beffardo perché Precious, la protagonista sedicenne del film, è tutt’altro che “preziosa” agli occhi dei suoi genitori, che la maltrattano nel corpo e nella mente. La ragazza, infatti, è tragicamente vittima degli abusi sessuali del padre, da cui ha già avuto una bimba affetta da Sindrome di Down, chiamata dalla giovane madre Mongo, ed è in attesa di un altro figlio frutto dell’incesto.
Precious si sente morta e, per provare a vivere, ricorre a un mondo di fantasie che sembrano rappresentare una droga per non sprofondare nella depressione. Il silenzio, dietro il quale si nasconde, ha lo scopo difensivo di coprire una sofferenza non elaborabile. La giovane alza un muro difensivo dalle relazioni poiché vi sono ferite aperte che “sanguinano”. Tutta la violenza subita rimane drammaticamente racchiusa dentro l’ambito familiare, intriso di omertà.
Il linguaggio introspettivo di Precious ci fa pensare che la ragazza sia un’acuta e attenta osservatrice del mondo, ma che nulla di ciò che osserva possa poi essere comunicato, tutto si esaurisce necessariamente in un dialogo interno. A volte si ha l’impressione che tutto sia osservato e registrato, come se dentro di lei funzionasse una vera e propria macchina da presa interiore. Precious risponde alle domande con poche parole, interagisce su cose pratiche, ma non dice mai nulla di sé. La matematica è per lei un mondo comprensibile, nel quale si muove con capacità sopra la norma, ma la scrittura no; i simboli della scrittura, che compongono il quadro della simbolizzazione, sono per lei difficili. La scrittura rimanda alla possibilità di dire qualcosa di sé e ciò può essere vissuto come pericoloso in un ambiente dove vigono la violenza e la prevaricazione, senza nessuna presenza amorevole o contenitiva.

La passività e la depressione melanconica di Precious sono frutto di esperienze traumatiche, rese più dolorose dal fatto che non sono state riconosciute dall’ambiente familiare nel quale si sono prodotte e che hanno dato origine a un isolamento nel dolore. La perdita dell’oggetto primario (una madre che delude il bisogno di protezione e rispecchiamento) e la violenza del padre (che abusa perversamente di lei), hanno creato il fallimento di un contenitore primario necessario per una sana evoluzione.
Non solo la madre non l’ha protetta dalle violenze paterne, ma appare perversamente invidiosa della figlia, vissuta come rivale perché preferita a lei, dal partner!
L’accusa senza ritegno: “Ti sei messa a scopare con il mio uomo! Mi vuoi fottere! Tuo padre ti ha dato più figli che a me”!
È una madre degradata e violenta che la maltratta in continuazione e le impedisce di sentirsi speciale e “preziosa”, come dovrebbe percepirsi ogni figlia: “Sei stupida, sei una puttana, sei una stronza, dovevo abortirti quando ho scoperto che ero incinta di te”.
Sono frasi che fanno sobbalzare lo spettatore dalla poltrona per il sentimento d’inaudita violenza e ingiustizia che provocano.
La psicoanalisi ha mostrato, attraverso lo studio dell’età evolutiva e dall’analisi degli adulti, che ogni figlio dovrebbe potersi sentire amato dai propri genitori, unico e prezioso, per sviluppare le basi di una sana identità. L’atteggiamento e le azioni abusanti di questi adulti hanno schiacciato l’identità di Precious, ormai priva di speranza e di volontà. Infatti, frequenta la scuola pubblica senza nessun entusiasmo, costretta dalla madre che continua a impadronirsi del sussidio che spetterebbe alla giovane in quanto ragazza madre.
Il regista Lee Daniels mostra, fin dalle prime scene del film, un ambiente familiare perverso, dominato da violenza e sovvertimento dei valori.
La ragazza è annichilita dal dolore dell’abuso e dall’introiezione del presunto senso di colpa per avere sedotto il padre.
La psicoanalisi, dalle sue origini, si è occupata molto del tema del trauma e degli abusi sessuali.
Ferenczi, psicoanalista contemporaneo e amico di Freud, nel suo scritto “Confusione delle lingue tra adulti e bambini”, (1932) mette in evidenza il ruolo fondamentale assegnato appunto alla “confusione delle lingue”, dove il linguaggio della “tenerezza”, parlato dal bambino, viene frainteso e tradotto nel linguaggio della “passione”, agita dall’adulto. L’incesto, come scrive Racamier (1995), diventa uno sconfinamento, un imperversare, contro ogni riconoscimento, nel territorio identitario di un individuo sull’altro e di un’intera famiglia su un individuo: “E’confusione dei limiti tra le menti e i corpi. E’ confusione degli esseri. L’incesto è avversario della tenerezza […], espelle l’investimento di base sul quale dovrebbero crescere i desideri”.
La famiglia di Precious vive in un clima ambiguo e confusivo, dove i valori sono sovvertiti e i confini generazionali annullati. In una delle sequenze iniziali lo spettatore assiste, impietrito, all’abuso sessuale di questo padre mostruoso ed eccitato che sussurra alla figlia “il babbo ti vuole bene”, sottomettendola ai propri impulsi. In un’altra scena le dice “Mi ecciti più di tua madre”, trasformando la tenerezza di padre in un’eccitazione perversa e mostruosa.
“E’ l’irruzione improvvisa e non contenibile delle potenti emozioni erotizzate di un adulto nella mente e nel corpo del bambino” (Carnevali, Vandi, 2012). L’abuso subito dalla protagonista, fin dall’età di tre anni, ha prodotto effetti traumatici che hanno ostacolato lo sviluppo di una sana identità e la costruzione di un equilibrio relazionale. Precious non ha nessuna stima di se stessa e il suo corpo, mostruosamente deformato dall’obesità, esprime tutto il dolore che nasce da questo essere stata disprezzata che la porta, a sua volta, a disprezzarsi.
È un corpo abusato sessualmente dal padre, ma anche dalla madre che la costringe a mangiare anche quando lei non ha fame e la tratta in modo violento.
In questo film il cibo è un argomento di grande importanza: cibo cattivo (Mac Donalds) e cibo buono (nutriente e biologico), divengono metafore di rapporti perversi e violenti o di relazioni trasformative.
Durante il film la giovane protagonista grida alla madre: “ho fame”, ma la fame di cui parla Precious è una voragine affettiva che non è mai stata soddisfatta. Cerca disperatamente di colmare il vuoto relazionale, rimpinzandosi di cibo-spazzatura e continuando a violentare il suo corpo che diventa sempre più grasso e spaventoso.
Rimpinzandosi, sembra che la giovane proietti sul corpo la violenza fisica e mentale subita dalla madre. Il vomito e la nausea possono essere mezzi impiegati per liberarsi dal vincolo intrusivo materno e fare spazio al nuovo rapporto affettivo con Blu-Rain, l’insegnante di una “scuola alternativa” che l’aiuta a ritrovare fiducia.
Sarà la Preside a proporle la scuola alternativa. Finalmente qualcuno si è accorto di lei: è la prima opportunità reale che le si presenta e Precious la coglie, ribellandosi al divieto materno e ritornando a sperare in futuro possibile, non solo nelle sue fantasticherie difensive.
Attraverso la nuova esperienza scolastica può finalmente sperimentare relazioni basate sulla fiducia, sul rispetto e interrompere la ripetizione delle esperienze familiari traumatiche che coinvolgono diverse generazioni.
Precious comincia a sperimentare relazioni inedite e vitali con le nuove compagne di classe e con Blu-Rain. L’empatia è alla base dell’incontro con la giovane insegnante che è in grado di “guardarla” e di riconoscerla come persona. Attraverso questo speciale rispecchiamento la giovane potrà a sua volta riconoscere se stessa e quando Blu-Ray le chiede “Come ti senti?”, potrà rispondere “Mi sento qui”, sottolineando che comincia a percepire finalmente se stessa: il processo di soggettivazione si sta riavviando.
Il regista pone l’accento sul ruolo delle istituzioni, nel cambiamento di Precious: senza il loro intervento la giovane non sarebbe riuscita a liberarsi da questi genitori perversi poiché, come in ogni abuso fisico e psichico protratto, la madre e il padre l’avevano espropriata di tutte le sue sicurezze per tenerla in loro potere e dominarla.
Sandra Filippini, nel suo interessante libro dal titolo Relazioni perverse (2005), prova a rispondere a una domanda cruciale, quando si parla di violenze psicologiche e abusi fisici: “Come si diventa vittime di un altro?”. Nel libro descrive il lento e inesorabile processo di “vittimizzazione” che porta la persona a sottomettersi alla volontà dell’abusatore.
Anche i genitori di Precious hanno avviato un processo di “vittimizzazione”, partito da molto lontano, mirato a svalutare il valore della figlia, nel tentativo di sottometterla più facilmente.
A sostituzione di un rapporto sano, hanno stabilito una relazione perversa, dove la giovane vittima è trattata con disprezzo; la madre le fa credere di essere sempre in torto o inadeguata, per avviare un lento ma inesorabile processo d’isolamento, finalizzato ad assumere e mantenere il controllo della sua vita.
A Precious non è consentito di vedere nessuno ed è colpevolizzata violentemente quando la direttrice della scuola le propone d’iscriversi a un corso alternativo per recuperare gli anni persi. La madre, completamente inetta e incapace di prendersi cura di se stessa, ha bisogno delle cure e dell’assegno di Precious; si libera del suo penoso senso di dipendenza, proiettandolo sulla figlia.
Precious, come ogni vittima di abusi, diviene insicura, timorosa di incorrere nelle critiche della madre che proietta sadicamente su di lei il disprezzo che dovrebbe provare per sé, ma che non può confessare.
L’abuso subito dalla giovane e l’omertà del nucleo familiare hanno prodotto una particolare scissione nel suo mondo interno dove la parte abusata, ferita e rabbiosa, è stata tenuta separata e nascosta a favore di un falso Sé, conformisticamente piegato alle tiranniche esigenze del Super-io familiare.
A Precious è stato chiesto implicitamente di “accettare” passivamente la situazione e di adeguarsi al “linguaggio” erotico e violento degli adulti.
Solo alla fine del film la madre è costretta riconoscere la propria miseria umana, davanti alla figlia e alla psicologa dei servizi sociali ai quali si è rivolta per ottenere di nuovo la custodia di Precious e, soprattutto, il suo assegno di mantenimento.
È il momento più drammatico del film quando descrive le sevizie subite dalla bimba di tre anni in sua presenza: anche la psicologa appare sconvolta davanti a uno scenario così degradato.
L’omertà che la madre aveva da sempre imposto alla figlia, aveva impedito a Precious di creare un’adeguata consapevolezza e valutazione delle violenze subite che riesce a riconoscere nella loro drammatica verità solo alla fine del film, dopo le confessioni della madre, riuscendo finalmente a dire: “Non avevo capito chi eri fino a oggi, forse ero troppo stupida o forse non volevo capire. Non mi vedrai mai più”.
È doloroso, ma è anche liberatorio riconoscere finalmente la verità.
Emerge, con forza, la speranza: Precious sente di poter ricominciare a desiderare. Quel muro che la imprigionava è stato abbattuto nel momento in cui ha accettato di chiedere aiuto.
La scuola alternativa, come talvolta l’esperienza viva del percorso analitico con adolescenti in difficoltà, offre a Precious l’opportunità di rimettere in moto il delicato processo di soggettivazione, interrotto dalle vicende traumatiche familiari.
La ragazza, amata e accolta da Blu-Rain anche nella sua diversità, può finalmente amarsi e amare trasformando l’abuso ricevuto in una possibilità di tenerezza e di riscatto: con la sua scelta di non abbandonare i due bimbi, nati dal rapporto incestuoso col padre, accetta e integra parti fondamentali e vitali del suo sé.
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Bibliografia:

Carnevali C., Vandi G. De la confusión de lenguas a compartir un código: la experiencia de rêverie. Revista de Psicoanàlisis de la Associacion Psicoanalitica de Madrid (2012). N°. 65. Pag117-132

Ferenczi S.(1932). Confusione delle lingue tra adulti e bambini. In Fondamenti di psicoanalisi, vol.3°, Guaraldi, Rimini, 1974.

Filippini S. (2005) Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia. Franco Angeli, Milano.

Racamier P.C. (1995). Incesto e Incestuale. Franco Angeli, Milano, 2003.

Aprile 2015

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