Cultura e Società

This is England

23/10/12

Shane Maeadows. Gran Bretagna, 2009, 101 min.

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Commento di Stefania Nicasi 

Un soldato inglese viene spedito oltreoceano a difendere le Falkland, un gruppo di isole sotto la sovranità della Corona. Il soldato non fa ritorno. Ha un senso questa guerra nella quale perdono la vita 255 uomini dell’esercito britannico? E’ questa l’Inghilterra? E’ questa la patria? E’ madrepatria, è madre, quella che manda a morire i suoi figli piuttosto che perdere la faccia?

Sullo sfondo di una dolorosa disillusione collettiva, la disillusione che segue ogni guerra, anche se vinta, anche se “giusta”, si colloca in This is England  la disillusione del bambino che diventa grande. E’ Shaun, figlio del soldato ucciso. Erano questi i miei genitori? Sono questi gli adulti? E’ questo il loro mondo? Era questa la Terra Promessa?

Il passaggio dall’infanzia al mondo adulto non avviene in maniera graduale: avviene a strappi, a salti, a spinte. Non avviene in maniera pacifica: è violento, è doloroso, è pericoloso, ma è anche sorprendente e intensamente felice. Fra l’infanzia e il mondo adulto si agita l’adolescenza, terra di nessuno e di tutti.

Giuseppe Pellizzari paragona l’adolescenza a una seconda nascita: la nascita del Sé adulto che emerge improvvisamente e irreversibilmente dall’oceano dell’infanzia come un Robinson Crusoe che giunto alla sommità della sua isola la veda per la prima volta tutta intera nella sua separatezza. Questo sono io e quelli sono gli altri. Questa che è passata era l’infanzia, quello che ho di fronte è il mondo dei grandi. Ma chi sono io? E chi sono gli altri?

L’adolescenza è terra di nessuno nel senso che è terra di mezzo fra l’infanzia appena lasciata, ma sempre aperta come possibilità regressiva, e il mondo degli adulti dove non si ha ancora cittadinanza. E’ seccante perdere i diritti dell’infanzia. E’ complicato acquistare cittadinanza. Bisogna trovare una propria collocazione nel mondo degli adulti che da bambini appariva meraviglioso ma che adesso è poco attraente in quanto riflesso dei genitori dai quali ci si è appena staccati: c’è un paradosso in questo o, se volete, una fregatura. Viene voglia di sfasciare tutto. E di rifare tutto da capo: tutto nuovo, tutto diverso. 

Solo gli adolescenti capiscono gli adolescenti e solo dagli adolescenti gli adolescenti vogliono essere capiti. Ai bambini chiedono ammirazione, agli adulti una sponda. Questo si intuisce dal film, un film straordinario anche per la capacità di cogliere la funzione del gruppo nella strutturazione dell’identità. Si vede bene che il bambino ha bisogno del gruppo per crescere. E’ il gruppo che lo inizia al sesso, all’amore, all’esercizio della forza. E’ il gruppo che gli taglia i lacci dell’infanzia insieme ai capelli e gli dà una divisa: non gli informi pantaloni comperati assieme al papà, ma i blue jeans, la camicia, le bretelle, le scarpe grosse, le parole sporche e dure. Il gruppo gli solleva l’autostima. Combinato così, adesso non è più un pulcino: è un soldato, come suo padre in fondo, ma tutto diverso.

Se il bambino ha bisogno del gruppo, il gruppo ha bisogno del bambino: non può farne a meno. Forse ricorderete Nemecsek, il biondino de I Ragazzi di Via Pal, l’unico soldato semplice in un esercito di graduati. C’è sempre un piccolo nel gruppo degli adolescenti: più piccolo o più debole, è lo stesso. Il gruppo lo maltratta, lo sfotte, lo sfrutta, lo difende e lo aiuta. Il piccolo diventa depositario dell’infanzia di tutti (è paradigmatica e indimenticabile nel film l’immagine di Gadget vestito per la caccia, carico delle armi e dei giocattoli degli altri): in quanto depositario dell’infanzia è invidiato, attaccato e amato.

Quale è l’emozione che più fa paura a questi guerriglieri sempre in bilico sul crollo? La tenerezza. La tenerezza, dice un grande conoscitore dell’adolescenza, Philippe Jeammet, fa l’effetto di una goccia d’acqua su una zolletta di zucchero: la scioglie. D’altra parte l’adolescente ne ha ancora enorme bisogno. Per questo viene  compressa e stipata dentro al più piccolo: così resta a portata di mano e non fa danni. Quando invece la tenerezza coglie di sorpresa, come nella scena finale del film, può succedere una catastrofe.

E’ insopportabile che il diverso, costruito come capro espiatorio, contenitore della debolezza e dei difetti infantili, si faccia vicino, compia un gesto amico, evochi la dolcezza degli affetti familiari, la sicurezza che proviene dall’essere amati. Tutto quello che si è perduto, o che non si è mai avuto, tutto quello contro il quale si è faticosamente e creativamente eretta la barriera della militanza violenta, si rovescia addosso generando ondate di dolore. La voce della bontà va soffocata nel sangue. 

Shaun, il dodicenne che sta crescendo, transita da un gruppo a un altro. Nel primo, si è violenti ma si è ancora nell’area dell’esibizione, delle esercitazioni, del travestimento e in fondo del gioco. Non si fa del tutto sul serio. Shaun, identificandosi con i compagni, assaggia la vita dei più grandi nel cerchio protetto del gruppo. Nel secondo, la situazione è diversa per l’intromissione di adulti che approfittano della rabbia giovanile allo scopo di organizzarla in rivolta. Qualcuno fa sul serio e qualcuno ci va di mezzo.  Mentre assiste al pestaggio finale, Shaun apprende un’ amara lezione. A volte quelli che sembrano i più forti sono solo i più fanatici perché sono i più fragili. E’ meglio sottostare alle regole della società che a quelle del gruppo. Si rischia lo stesso di morire, come è successo nella guerra delle Falkland, ma quella morte trova un senso condiviso e un valore riconosciuto. Questa è l’Inghilterra, questa è la vita.

Rassegna di cinema Psicoanalisi e Adolescenza

Vittorio Veneto12 ottobre 2012

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