Cultura e Società

“Africana” di C. Piaggio e I. Scego. Recensione di D. Scotto di Fasano

29/12/21
"Africana"

Africana. Raccontare il Continente al di là degli stereotipi.

A cura di Chiara Piaggio e Igiaba Scego (Feltrinelli, 2021)

a cura di Daniela Scotto di Fasano

Parole chiave: Africa, alterità, Perturbante, colonialismo

Leggere questa preziosa raccolta di racconti brevi di autori vari, espressione, ciascuno, dei molteplici volti del Continente Africa, è un’esperienza perturbante, nel pieno significato assunto dall’interpretazione freudiana di tale termine.

Intanto, sottolineo l’esserne, la lettura, una esperienza. Acustica, olfattiva, tattile, visiva, soprattutto emotiva. Si entra in contatto diretto, di pelle, con i fatti narrati, i suoi protagonisti, le atmosfere descritte, i vissuti di chi scrive e di chi anima le scene nei racconti.

Una esperienza perturbante perché, un capitolo dopo l’altro, non trovi mai ciò che ti aspetti, nel leggere ci si scontra continuamente con un’alterità che si sperimenta perturbante perché, come vedremo, è poi in realtà molto poco alterità.

Mi spiego.

Le Afriche descritte del Continente Africa sono, ciascuna, ‘quella’ realtà: l’Eritrea non è la Somalia, il Niger non è la Nigeria, il Ghana non è il Kenya, e nessuna è nessuna delle altre.

Una strategia – credo adottata proprio per scelta dalle curatrici – è per esempio quella di non tradurre alcune parole: se vuoi sapere di che si tratta devi andare a cercarti in google il significato di alcuni termini. Tale scelta editoriale esprime a mio avviso appieno l’obiettivo: ‘entrare’ nel contesto specifico di ciascuna delle realtà descritte.

Eppure – e in tal caso chi legge scopre che il contatto provocato dai testi di Africana con l’alterità non è poi, come dicevo, così tanto altra -, mentre un inquietante vissuto di dolore, di delusione, di dis/piacere si fa strada nello stato d’animo del lettore, entri in contatto con il fatto che non puoi, proprio non puoi, fantasticare l’Africa dei tuoi – che sei, e resti, occidentale – sogni:

Come scrivere dell’Africa. […] fate in modo che le descrizioni siano sempre generiche, romantiche ed evocative. Assicuratevi di mostrare che gli africani hanno la musica e il ritmo nel sangue […] Chiarite subito che il vostro liberalismo è impeccabile, e spiegate fin dall’inizio quanto amate l’Africa, come vi siete innamorati del paese […] Se sei un uomo, buttati nelle sue calde foreste vergini. Se sei una donna, tratta l’Africa come un uomo che indossa una sahariana e svanisce nel tramonto. […] tra i vostri personaggi dovete sempre includere l’Africana Che Muore Di Fame, che gironzola quasi nuda nel campo profughi in attesa della benevolenza dell’Occidente” (Wainaina, 2005, pp. 19/20).

Perché,

Di ogni lavoro che presenterete in cui la gente ha un’aria sporca e miserabile si parlerà come della ‘vera Africa’ […] assicuratevi di dare la forte impressione che senza il vostro intervento e il vostro importante libro l’Africa è condannata” (Wainaina, 2005, p. 13),

sono le citazioni che Chiara Piaggio fa nella Introduzione a Africana per motivare la scelta, sua e di Igiaba Scego,

di aprire questa antologia con la lettera-manifesto di Wainaina, sintesi ideale degli equivoci secolari in cui è stata ingabbiata l’Africa. Una chiave d’accesso, un passaggio necessario per poi lasciar raccontare dall’interno la contemporaneità di una terra così multiforme. Diciannove autori, utilizzando la forma breve del racconto o l’arte visiva, ci portano a scoprire la vitalità del continente. E lo fanno con una sorprendente capacità di sfuggire alle convenzioni stilistiche per esplorare linguaggi innovativi” (Piaggio, 2021, p.13).

Linguaggi direi coraggiosamente innovativi, perché mostrano Afriche con un comune denominatore, che la ‘omogeneizzano’ in un altrove rispetto alle aspettative di fronte a un libro che compri proprio perché te lo aspetti (e lo desideri!) con lo sguardo di persone che

care for Africa” (Wainaina, 205, p.20).

Invece, inoltrandomi di pagina in pagina, di racconto in racconto, mi sono scontrata e incontrata con neri, protagonisti dei fatti narrati, spesso abbietti: per non fare che alcuni esempi, nel racconto di No Violet Bulawayo, Tanti auguri, presidente dell’Africa (2014, pp.31-37); in quello, di Pierre-Christophe Gam L’uomo integro (2021, pp.78-111), un po’ racconto e un po’ arte visiva, che narra l’assassinio di Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso dal 1983 al 1987, a opera del suo vice e suo migliore amico Blaise Compaoré; in Polli (2013, pp.171-181), davvero terribile, di Efemia Chela; in La Ronda dei Quartieri (2020, pp.205-215), di Rémy Ngamije, dove il leit motiv è che

 “ogni giorno è oggi […] e oggi devi badare all’oggi” (p.208);

in Il peso dei sussurri (2003, pp.181-205), di Yvonne Adhiambo Owuor, dove il Kenya mostra il suo volto più feroce, neri contro neri….

Ecco, Africana, nel suo prezioso ventaglio di voci molto interessanti della narrativa africana, potrebbe essere descritto con le parole che Chimamanda Ngozi-Adichie (2019) usa nel racconto Tornare a Lagos, la città che non smette mai di diventare, per descrivere Lagos, cioè che questa antologia

possiede una sua autenticità, perché è immune al bisogno di rendersi gradita: se te ne innamori ti prende tra le braccia; se la detesti, se ne infischia. Quello che vedi di Lagos corrisponde al vero” (p.113).

Così, proprio esattamente così, Africana.

Credo che a noi psicoanalisti leggere Africana faccia bene: ci espone, per usare la arcinota frase di Wilfred Bion, all’incontestabile verità del fatto che la verità è cibo della mente, anche quella più sgradita e sgradevole; anche quella idealizzata da una mentalità e un atteggiamento psichico che – in quanto post colonialista, probabilmente proprio per questo, care for Africa.

Conferma che diniego e rimozione minacciano, a dispetto della nostra formazione, anche in noi psicoanalisti la possibilità che la scoperta del ‘pus’ in ferite che pensavamo chiuse una volta per tutte in realtà minaccia ancora seriamente il nostro rapporto con lo sgradevole, il perturbante di qualcosa che, familiare un giorno, è stato estraniato dalla psiche attraverso la rimozione ma ritorna (Freud, 1919).

L’Hunheimliche quindi, il Perturbante, è il riaffiorare nel vissuto dell’Heimliche, del familiare un tempo.

A me pare che si possa formulare l’ipotesi che il colonialismo in noi occidentali, rimosso perché rifiutato, in piena e sincera buona fede, ci aggredisce quando torna sotto mentite spoglie, si dimostra nostro doppio inconscio, ci smaschera.

Ecco, Africana ci smaschera mettendo a nudo il nostro bisogno di non avere a che fare con neri non all’altezza del nostro desiderio di bianchi postcolonialisti.

Desiderio di neri coraggiosi, che non tradiscono, che non stuprano bambine sorelle e figlie (come ne La vita sessuale delle ragazze africane, di Taiyse Selasi, 2011, pp.141-163), che non devono, ancora oggi, e per mano di confratelli, “imparare come lingua madre il silenzio” (In cerca della bellezza. La poesia del nero in Arabia Saudita, di Sulaiman Addonia, 2019, pp.36-40).

Se, come scrive Achille Mbembe, Gli africani devono purificarsi dal desiderio dell’Europa (2019, pp.73-79), noi occidentali dobbiamo purificarci dal nostro bisogno di salvare noi stessi ai nostri occhi: come ha ben mostrato Melanie Klein, nel passaggio dalla posizione schizoparanoide a quella depressiva, alle origini della vita, e, poi, in qualunque altro momento dell’esistenza, ci si sente o ci si può sentire così terribilmente in colpa per la violenza, il sadismo, l’avidità (sperimentati all’origine nei confronti del seno materno), che il bisogno e l’urgenza di porre rimedio (o, con il lessico kleiniano, di riparare) al mal fatto che la riparazione avrà una connotazione maniacale.

Se nella posizione schizoparanoide appare ai propri occhi giustificato il ricorso all’aggressività lesiva dell’altro in quanto l’accento è posto sul diritto esclusivo al proprio benessere – come non pensare in questi termini all’attività predatoria del colonialismo e della tratta degli schiavi? -, in quella depressiva il soggetto si duole per i propri precedenti impulsi avidi nei confronti dell’oggetto e si preoccupa di avergli potuto nuocere o di avergli recato danno. Il bisogno allora è di cancellare l’angoscia persecutoria inerente il sé per poter attutire il senso di colpa persecutorio, allo scopo di rendere la riparazione vera nella realtà esterna, in un’atmosfera di riparazione maniacale più che depressiva.

Africana smaschera l’atmosfera di riparazione maniacale – caratterizzata, possiamo ipotizzare, da mala fede in buona fede (M. Baranger, 1959) – che impregna molte azioni umanitarie. Esemplare, in tal senso, il racconto di Felwine Sarr, Annie tra i poveri (2011, pp.162-169).

Ne cito qualche brano:

Poi, una sera, la rivelazione. Ma certo! Bisognava rendersi utili. Eccolo il senso della vita. […] Là in Africa è pieno di bambini che muoiono di fame! Bisogna aiutarli! […] Tutta la famiglia fu investita da un entusiasmo redentore. Si informò sulle ONG: Medici senza frontiere, Azione contro la fame, Farmacisti senza frontiere, Salviamo i bambini di Kangani. Lottiamo contro la siccità a Moupoukou. […] La vocazione di Annie capitava al momento giusto. Le ONG reclutavano a tutto spiano, l’azione umanitaria andava di moda” (p.166). “Come no! Non può che essere una buona cosa, visto che siete voi a fare le regole, come sempre. Qualche secolo fa siete venuti a portarci il bene supremo, la civilizzazione. Eppure non vi avevano chiesto nulla. Oggi tornate con progetti di sviluppo. Ancora parole vostre: sviluppo. […] avete bisogno di aiutarli per chissà quale oscura ragione?” (p.168)

Insomma, come scrive Igiaba Scego,

La ferita del colonialismo è ancora lì, visibile ai nostri occhi. E’ lì come un fantasma che infesta i sogni” (2021, p.8).

Occuparsi dei fantasmi che infestano la mente per noi psicoanalisti è lavoro.

Bibliografia

Baranger M. 1959, Malafede, identità e onnipotenza, in Baranger W. e M., 1961, La situazione psicoanalitica come campo bipersonale, Cortina, Milano, 2011.

Freud S., 1919, Il perturbante, OSF, 9, Bollati Boringhieri.

Ngozi-Adichie C., 2019, Tornare a Lagos, la città che non smette mai di diventare, in Piaggio C., Scego I., cit., pp.112- 118.

Piaggio C., Scego I., 2021 (a cura di), Africana. Raccontare il Continente al di là degli stereotipi, Feltrinelli, Milano.

Piaggio C., 2021, Introduzione, in Piaggio C., Scego I., 2021, cit, pp.13-15.

Scego I., 2021, L’Africa è un continente, in Piaggio C., Scego I., 2021, cit, pp.7-12.

Wainaina Binyavanga, Come scrivere dell’Africa, in Piaggio C., Scego I., cit, pp.18-21.

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