Cultura e Società

“Cento giorni che non torno” di V. Furlanetto. Recensione di N. Muscialini

8/04/24
"Cento giorni che non torno" di V.  Furlanetto. Recensione di N. Muscialini 1

Cento giorni che non torno. Storie di pazzia, ribellione e di libertà

di Valentina Furlanetto (Laterza, 2024)

Recensione di Nadia Muscialini

Parole chiave: #Basaglia, #sofferenza mentale, #psichiatria, #diritti

A metà tra inchiesta giornalistica e romanzo, il libro racconta le storie di due vite che si intrecciano sullo sfondo di grandi cambiamenti sociali e legislativi. Le vite sono quella dello psichiatra Franco Basaglia e di una donna, Rosa, che ha vissuto in prima persona le istituzioni psichiatriche prima e dopo la riforma della legge 180. Sullo sfondo i cambiamenti sociali e politici che ne hanno permesso l’attuazione.

L’autrice Valentina Furlanetto, giornalista e scrittrice, riesce a farci entrare nel vivo della sofferenza mentale e dei dispositivi di cura che hanno cercato di darne una risposta. L’autrice mette in luce come la diversità di lettura della sofferenza psichica determini profonde differenze nelle offerte di diagnosi e cura e, di conseguenza, della qualità di vita dei “pazienti” e dei loro familiari.

CENTO GIORNI CHE NON TORNO

Il libro inizia con un  ricordo all’origine della necessità di descrivere le due vite e la storia della psichiatria in Italia.

 “Il 7 maggio 2022, un sabato con qualche nuvola, Lorenzo, 37 anni, paziente psichiatrico, viene trovato morto, legato al letto, dell’ospedale di Monterotondo, Asl 5 Roma. Era uno di tanti malati psichiatrici in Italia, un “fuori di senno”, uno “squilibrato, un “folle”. Ma poteva essere anche il figlio o il fratello di ciascuno di noi, potevamo essere noi. E’ morto legato ad un letto come il padre di famiglia Giuseppe Casu, come il maestro elementare Francesco Mastrogiovanni. Legato?”

L’ascolto di questa notizia scuote profondamente Valentina Furlanetto, la fa riflettere “Lorenzo era stato legato ad un letto ed era morto, non per una malattia, non a causa di una ferita mortale provocata da un incidente, ma come conseguenza di un ricovero, di una presa in carico dell’ospedale, dello Stato.”

“Dopo avere sentito la notizia ho pensato a Rosa, rinchiusa in manicomio, sofferente, sola, sottoposta ad elettroshock, privata dei diritti civili, imbottita di farmaci, costretta a vergognarsi, a nascondere i suoi segreti a tutti, anche alle figlie”.

La prima parte del libro dal titolo “due vite” racconta la vita di Franco Basaglia, nato l’11 marzo del 1924 e di cui quest’anno ricorreva il centenario, proveniente da una famiglia benestante veneziana, e quella di Rosa di estrazione popolare e agricola, vissuta in un paesino della campagna veneta (Guia) non molto lontano da Venezia.

Valentina Furlanetto specifica che i due protagonisti pur avendo vissuto nella stessa epoca e in un contesto geografico simile hanno avuto due destini molto diversi “Franco e Rosa erano anche tanto lontani, per cultura, condizione sociale, economica e destino. Quella di Franco è la storia di un medico rivoluzionario, un filosofo, lo psichiatra che ha chiuso i manicomi in Italia e ha restituito la dignità ai malati di mente con la legge 180, un uomo che ha inciso profondamente sulla storia e sulla cultura del nostro paese, e non solo. Quella di rosa è una storia minima, una storia di tanti e di tante, la storia di una ragazza e  poi di una donna comune, ma è anche una storia che preme sotto pelle, che pulsa, vibra e chiede di essere raccontata. – Rosa viveva in campagna, dove c’erano gli animali, le galline, le mucche e l’orto…”

L’autrice costruisce le due storie attraverso un attento e preciso lavoro di documentazione attraverso la lettura di leggi, testi scientifici e di cartelle cliniche di persone ricoverate nei manicomi. Sottolinea che è la storia di “cent’anni di domande” che sono nate in lei dal tentativo di dipanare il groviglio di due vite parallele che hanno avuto due destini molto diversi; la prima domanda per lei è stata quella che apre il libro, ossia come ancora oggi un uomo può morire legato ad un letto in una struttura che doveva prendersene cura dopo oltre quarant’anni dall’approvazione della legge 180.

Il testo con un linguaggio coinvolgente e per nulla tecnico, si addentra nella storia della psichiatria degli ultimi cent’anni e ci ricorda come le teorie sulle origini della malattia mentale e le proposte di terapia siano fortemente condizionate dalla lettura socio-politica della ”follia” e della “normalità”. Sarà infatti molto diverso ciò che verrà attivato per i “folli” se si considera chi soffre di una malattia mentale un deviante da rinchiudere, punire e sorvegliare; un soggetto impossibile da reclutare nella richiesta di forza lavoro della nascente industrializzazione; una persona con un alterato stato di coscienza che lo connette al divino o un individuo la cui sofferenza esprime l’esclusione, l’emarginazione, le diseguaglianze socio-economiche della società.

In tutto questo vi è un confine netto, una linea di demarcazione tra un prima e un dopo che è rappresentato dalla cura attraverso la “reclusione” in un istituzione totale con la perdita dei diritti civili, “l’apertura dei manicomi” e dalla ridefinizione dei servizi di salute mentale resa possibile dal 13 maggio 1978 con l’approvazione della riforma Legge nm.180 “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” che verrà inglobata il 23 dicembre 1978, nella legge nm. 833 sull’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale. Anche questa legge molto importante poiché decreterà che in Italia la salute è un diritto dell’individuo. Non un privilegio ma un diritto umano di cui la società deve farsi carico. Un diritto del singolo che si ripercuote sul bene della collettività intera.

Il libro oltre a sottolineare la portata rivoluzionaria della lotta di Basaglia e del suo gruppo e le conseguenze positive sulla vita di chi soffre di una forma di sofferenza mentale, descrive in maniera lucida e onesta le criticità ancora presenti in tema di salute mentale e quali potrebbero essere le sfide del futuro.

Ciò che guida l’autrice in questo percorso di scrittura tra il giornalismo di inchiesta e il romanzo biografico può essere riassunto nella frase inserita dalla stessa nell’apertura del libro “Quando l’indicibile viene alla luce, è politico” di Annie Ernaux, un invito a non accomodarsi sulle conquiste  ottenute attraverso le lotte per i diritti e i cambiamenti sociali ma che è necessario disvelare quanto ancora c’è di critico e irrisolto, poiché è solo con la narrazione e la denuncia che possiamo migliorare nel cammino dei diritti, nella cura e nel miglioramento delle condizioni di vita di ognuno e della democrazia.

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