Cultura e Società

Big Little Lies. Recensione di di Rossella Valdré

21/03/17

Big Little Lies, miniserie 7 episodi

Creata da David E. Kelley, regia di Jean-Marc Vallée, USA 2017

Genere commedia drammatica

HBO – Sky Atlantic in onda

Trailer

di Rossella Valdré

“You hit me, you hit me, now you have to kiss me”

(Canto della scuola)

La miniserie, ideata da David Kelley, con la regia di Jean Marc Vallée, è basata sul bestseller omonimo, “Big Little Lies” (Piccole grandi bugie, 2014) di Liane Moriarthy che non pensava affatto – ha dichiarato, fosse adatto ad una sceneggiatura.

Ha esordito in Italia il quindici marzo dopo essere andato in onda negli Stati Uniti, si è aggiudicato il merito di miglior serie TV del 2017. Il primo episodio, “Somebody’s dead”, apre le sette puntate della serie in modo folgorante, e ne giustifica la pur riduttiva attribuzione di “thriller”.

Ma siamo di fronte a qualcosa di molto più complesso, articolato, profondo, scabroso, che utilizza la tensione del thriller come una sorta di ‘film nel film’, per condurre lo spettatore ben oltre l’apparente copione di un delitto.

Siamo a Monterey, perfetta comunità di una California ricca, magnifici paesaggi, famiglie da cartolina, tutti sono belli, dai bambini – veri imperatori della serie, così come delle comunità benestanti contemporanee – agli adulti; tutti sembrano impeccabili.

Invece il peccato c’è, esiste sotterraneo, e lo scopriremo solo alla fine, a meno che non si sia letto il libro: durante una riunione di scuola, improvvisamente qualcuno viene ucciso. Chi è la vittima? Chi il colpevole? Non si sa nulla, le indagini procedono a flash, inserendosi molto poco nella trama (espediente narrativo efficace che non distrae la concentrazione dal cuore psicologico del film) che ruota intorno alle tre protagoniste: Celeste (Nicole Kidman, anche co-produttrice), Madeleine (Reese Witherspoon) e Jane (Shailene Woodley).

Tra i personaggi femminili di contorno la velenosa Renata (ottima Laura Dern), che sembra vivere per organizzare feste scolastiche e immolare la sua bambina contro tutti. Insieme al delitto, che resta a latere come qualcosa di cui l’amena comunità non si occupa, quello stesso giorno il bambino di Jane, madre single appena arrivata per stabilirsi a Monterey, è accusato di aver maltrattato l’intoccabile bambina di Renata che, decisa a non cedere, su quest’episodio costruirà una sua personale guerra di esclusione. Più vicende s’intersecano, tutte intorno alla scuola.

Apparentemente distanti, accomunate solo dalla scuola, le tre amiche hanno molto in comune: se “Divorce” voleva tentare un seguito malinconico e realistico alla favola di “Sex and the City”, questo “Big Little Lies” sembra riproporre, con molta più grazia, acume psicologico e modernità, il triste destino delle “Desperate Housewifes”: non dimentichiamo che anche lì, il primo episodio si apriva con il suicidio di una loro amica.

Tra le maglie di grandi e piccoli problemi quotidiani, tutte vivono o hanno vissute le tragedie del femminile, il che farà dichiarare a Nicole Kidman che la serie “è dedicata a tutte le donne”.

Celeste, sposata a un uomo più giovane, bello e ricco, vive con lui una sessualità tormentata e non priva di violenza, una violenza che non vorrei etichettare come “domestica” perché l’occhio del regista è più fine: domestica in quanto avviene nel segreto delle quattro mura, ma contiene quella quota di sadismo che sappiamo dalla psicoanalisi necessario alla sessualità, e il cui confine con il gioco e l’eccitamento è, in Celeste, un confine sottile. È certo una donna infelice, come le altre. Madeleine, donna istrionica e rabbiosa, soffre perché la figlia adolescente sta crescendo con l’ex marito e si sta affezionando alla nuova compagna: soffre un nido vuoto di ritorno, una sorta di abbandono.

Jane, dal canto suo, è determinata a rintracciare il padre del figlio, nato da uno stupro.

Nessuna lavora, nessuna impegna la sua intelligenza, il talento, la sensibilità, in altro che non sia la chicchera, il violento menage coniugale, la dedizione a bambini diventati bambole, feticci da mostrare più che realmente proteggere, oggetti narcisistici confusi con le aspettative delle loro madri.

Tutto fa presagire che siano coinvolte nel delitto, che la loro amicizia sarà la loro forza, che saranno vulnerabili e violente e competitive e ferite e il vero delitto è quello sulla verità.

È la verità, l’autenticità dell’essere, ad essere stata, in ciascuno, uccisa. Il Sé è costretto a una maschera per sopravvivere, ma fino a quando …

Le moderne serie americane, a mio parere, e perciò ne faccio un discorso complessivo con “Divorce”, riescono a cogliere il dolore e il trauma della coppia borghese contemporanea con la stessa lucidità, anche se è cambiato il linguaggio, con cui Bergman scoperchiò la pentola dei non detti con “Scene da un matrimonio”, e tutta l’attuale scuola dei moderni scandinavi. C’è un dolore che non si dice, le tre belle donne sorridono sempre, anche dopo le botte, ma c’è una verità che preme per essere detta.

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