Cultura e Società

“Blonde” di A. Dominik. Recensione di A. Falci

13/10/22
"Blonde" di A. Dominik. Recensione di A. Falci

Autore: Amedeo Falci

Titolo: Blonde

79° Mostra internazione del Cinema di Venezia – in concorso

Dati sul film: Regia di Andrew Dominik, USA, 2022, Netflix,166’.

Genere: biografico, drammatico

COME DECOSTRUIRE LE FIABE AMERICANE

Al suo quarto film, Andrew Dominik (classe ’67), procede con il suo smontaggio delle mitologie americane. Come già per il West e i suoi eroi popolari, L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (2007), e come per il background delinquenziale del business capitalistico, Cogan – Killing them softly (2012). Qui, in Blonde, lo smontaggio non è tanto e solo in direzione della matrice hollywoodiana di sogni e finzioni – già ampiamente documentato da molta filmografia USA – quanto piuttosto direzionato verso il rovesciamento della fiaba: la discesa agli inferi della più bella del reame. Qualcosa del genere, con altro linguaggio cinematografico, era stato tentato da Graeme Clifford con Frances (1982), sull’ascesa e rovina dell’attrice Frances Farmer.

Qui, la narrazione, intenzionalmente frammentaria, apparentemente senza ordine, ‘a chiazze’, senza alcuna pretesa di aderenza biografica come per l’omonimo romanzo di Joyce Carol Oates (1999) su cui la sceneggiatura è basata, sembra interamente ruotare intorno al fulcro della dispersione dissociativa tra la originaria Norma Jean, la Marilyn data in pasto (letteralmente: vedi la iconica scena in CGI delle bocche mostruosamente spalancate) al pubblico, e la blonde tra le due.

Film sull’immagine e sulla creazione dei simulacri. Puro Baudrillard (Lo scambio simbolico e la morte, 1976), se Dominik lo conoscesse… Il reale viene sostituito da una sua simulazione, la quale, a sua volta, costituisce una iperrealtà di simulacri. L’unica “realtà” o “verità” è il simulacro. E come paradossalmente Baudrillard sostiene: “Il simulacro non è ciò che occulta la verità, ma diviene una verità che nasconde il fatto che non c’è alcuna verità.” Marilyn e la blonde come più vere di Norma Jean.

Verità simulata delle immagini e potenza dello speculare sull’originale hanno il loro vertice nella scena del triangolo ‘gemellare’ tra Norma Jean, Chaplin Jr. (uno straordinario Xavier Samuel) e Robinson Jr. “Il corpo è fatto per essere visto, ammirato… desiderato…, non nascosto” – le dice Chaplin Jr. Entrambi nudi allo specchio, lui la ‘istruisce’ su come ammirare ed amare ‘l’altra sé’. Acme filmico sulla specularità, sulla costituzione dei simulacri narcisistici, reso ancora più forte dalla presenza dei due uomini in coppia, identici ed omoerotici, ambedue parimenti padri del figlio in grembo della blonde.   

Dominik, e la Oates, non sembrano interessati alle facili piste psicoanalitico-traumatiche, quanto alla decostruzione mitologica. Più che il filo della madre disturbata e abbandonica, è il filo della ricerca paterna che apparirebbe particolarmente enfatizzato nel film. Ma questa pista delle tracce affettive si rivela anche miraggio ingannevole, espediente narrativo del film, il quale anziché pervenire ad un compimento consolatorio — un Padre, sia pur remoto, esiste e ci ama — serve solo a rivelarsi (‘il cartoncino augurale’ in prefinale) l’ultimo crudele inganno e rovesciamento dell’amore e della speranza. In una progressiva, angosciosa sequenziale decostruzione delle fiabe, anche le più ‘belle’, non sposano affatto i principi ‘belli’, o i ‘presidenti’, ma ne vengono oscenamente brutalizzate, precipitando nell’inferno del corpo e della mente.

Film programmaticamente più di immagini che di parole. Visivamente strepitoso, con un geniale improvvisato disordine di colore, b/n, filtri, obiettivi e formati ottici che servono a segnalare la mutevolezza disforica e identitaria della protagonista. Straordinarie le sequenze iniziali di mamma e bambina, in auto, che si precipitano nel fuoco, potentisssima prolessi del progressivo scivolamento della blonde verso il suo inferno. Chiaro omaggio al De Palma di Carrie (1976) e forse a immagini di Lynch, citatissimo anche nell’ultimissima scena che riprende il finale di Mulholland drive (2001).

Difficilissima prova per Ana de Armas che di Marilyn che non ne rende affatto un calco, ma una reinterpretazione del tutto autonoma e originale. Basti per tutte rivedere la scena di N.J. con i due nel ‘triangolo’: osservare la sua straordinaria capacità di rendere quell’intreccio di curiosità, ingenuità, pudore, ritrosia, eccitazione, incredulità, stupore, scandalo, ma anche orgoglio e vanità nell’essere oggetto di così esplicito interesse sessuale (?) da parte dei due amanti, che la introducono al culto della di lei immagine.

Qualcuno insisterà: è un film psicologico. Penserei sia solo un film antimitologico (ma che alla fine, pur decostruendolo, riconferma il mito).

Last but not…: omaggio alle musiche di Nick Cave, di cui Dominik è amico e ammiratore, e sul cui sodalizio con il musicista Warren Ellis ha realizzato un video nel ‘22.

[Warning:Spoiler]

Le ricostruzioni in CGI della presenza fetale temo siano l’unico punto di sensibile smagliatura dell’opera.

         Ottobre 2022

  • Baudrillard J. (1976), Lo scambio simbolico e la morte. Feltrinelli, 2007
  • Oates J.C. (1999), Blonde. La nave di Teseo. 2021

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