Cultura e Società

“Esterno Notte” di M. Bellocchio. Recensione di S. Monetti

27/02/23
"Esterno Notte" di M. Bellocchio. Recensione di S. Monetti

Parole chiave: Colpa, Perturbante, Terrorismo, Responsabilità

Autore: Stefano Monetti

Titolo: “Esterno notte”

Dati sul film: regia di Marco Bellocchio, Italia-Francia , 2022, 333’

Genere: drammatico, storico

Esterno Notte è stato proiettato al cinema e ora si può vedere su Raiplay. Dopo Buongiorno, notte Bellocchio torna sulla vicenda di Aldo Moro con il suo approccio personalissimo: la ricostruzione di una vicenda storica tramite una libera rielaborazione che mette in risalto i vissuti immaginari dei partecipanti. In letteratura un esempio magistrale di questo metodo è Libra, il romanzo nel quale Don DeLillo narra l’omicidio di John Kennedy inventando un’autobiografia psicologica dell’assassino, Lee Harvey Oswald. Potremmo definirlo un realismo onirico: un realismo che integra la realtà con le fantasie inconsce che la innervano.

Nel film sono presenti i temi centrali dell’opera di Bellocchio: la politica, la psicoanalisi, il cattolicesimo e la famiglia. È un’opera sul cinema, fin dal titolo, con qualche soluzione da Nouvelle Vague, come nel caso dell’anticipazione del finale in un teatro, dove alcuni attori recitano il rapimento di Moro sotto la direzione di Ruggero Cappuccio che è un regista anche nella realtà.

Seguendo lo stile narrativo di molti suoi film, Bellocchio mette in scena delle deviazioni oniriche della trama, come quando, all’inizio e alla fine dell’opera, propone un finale alternativo nel quale Moro sopravvive al sequestro. In Bellocchio tali scene imprevedibili, insieme alla non coincidenza tra fabula e intreccio, creano un senso d’incertezza nello spettatore che contrasta con lo stile controllato e rigoroso delle immagini. Dal punto di vista stilistico un’analogia possibile è con Il giardino incantato, un racconto atipico di Italo Calvino in cui egli mette il suo linguaggio cristallino e preciso al servizio di un’atmosfera inquietante che ricorda Dino Buzzati. In entrambe le opere, gli elementi perturbanti sono proiezioni del senso di colpa dei protagonisti. Così accade anche nel film che Freud utilizza per esemplificare il concetto di perturbante (Freud, 1919): Lo studente di Praga (Regia di S. Ryen, 1913), in cui il protagonista, mentre si sta recando a un duello per rifiutare di battersi, incontra il suo sosia che ha già ucciso il rivale. L’odio verso il rivale, che effettivamente appartiene allo studente, diventa così causa dell’assassinio, con la colpa che ne consegue.

Bellocchio usa alti contrasti nella fotografia, insieme alla desaturazione dei colori. Ciò rende le immagini più consone con l’epoca, quasi un bianco e nero tagliato negli esterni da una luce opprimente, emblema di un pericolo o di un conflitto latente. I forti contrasti esprimono la solitudine dei personaggi, che non si sentono parte di uno Stato frammentato, sempre separati tra loro da un’interiorità che, se espressa, rimane inascoltata o produce spaesamento. Ciò accade per esempio con Cossiga che chiede improvvisamente al dirigente della Digos Domenico Spinella, interpretato dal figlio di Bellocchio Pier Giorgio, se ha figli. Anche i titoli, riferiti ai vari personaggi, evocano un punto di vista interno multiplo sulla vicenda.

La trama abbonda di aneddoti esemplari, e in questo senso Bellocchio usa gli stilemi della fiction televisiva, anche se, come sostiene Marco Grosoli (2022), Esterno notte può essere considerato una decostruzione della fiction stessa. L’apparente superficialità di alcuni passaggi ben riflette il vuoto interiore di molti personaggi, incoraggiando il sentire dello spettatore in questo senso. Così Bellocchio esprime il disorientamento di alcuni politici italiani, dovuto anzitutto al paradosso della loro militanza in gruppi eversivi paramilitari intesi a salvaguardare la democrazia da un golpe comunista. Difficilmente un personaggio, tranne Aldo Moro, si dimostra all’altezza del suo ruolo pubblico: anche il Papa, scrivendo una lettera in cui ne chiede la liberazione, si rimprovera di usare parole vetuste.

La tesi implicita di Bellocchio pare essere quella storicamente prevalente, argomentata con grande rigore da Giorgio Galli nell’ottavo capitolo de Il partito armato (2003): il rapimento di Moro fa emergere le ambiguità e la fragilità del sistema politico italiano. In Esterno notte l’accento è posto sul rimuginìo verso un dramma del quale tutti, tranne la famiglia Moro, hanno ragioni per sentirsi colpevoli. Il film è attraversato da un senso di colpa inconscio diffuso, che emerge gradualmente nelle riflessioni dei protagonisti; tali riflessioni precedono gli eventi negativi, facendo pensare a una possibile punizione. 

Se la recitazione è sempre sobria e accurata, in linea con le immagini, va menzionato Fabrizio Gifuni che tratteggia un Moro parzialmente assente, immerso nei suoi pensieri, con una voce distante da quel che dice. Egli sa di non essere gradito a gran parte del suo partito. Aldo Moro diviene il padre sacrificale del compromesso storico che, come alcuni eroi della tragedia classica, predispone una società alla quale non potrà partecipare.

Riferimenti bibliografici

Calvino, I. (1948), Il giardino incantato, in Ultimo viene il corvo, Einaudi, Torino, 1969

DeLillo, D. (1988), Libra, Einaudi, Torino, 2016

Freud, S. (1919), Il perturbante, in OSF, vol. 9, Bollati Boringhieri, Torino, 1966

Galli, G. (2003). Il partito armato, Kaos Edizioni, Milano

Grosoli, M. (2022), Esterno Notte, recensione ne Gli spietati: https://www.spietati.it/esterno-notte/

Febbraio 2023

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