Cultura e Società

“The Fabelmans” di S. Spielberg. Recensione di G. Riefolo

23/01/23
"The Fabelmans" di S. Spielberg. Recensione di G. Riefolo

Parole chiave: scena modello; immagine; rappresentazione

Autore: Giuseppe Riefolo

Titolo:  “The Fabelmans

Dati sul film: Steven Spielberg, USA, 2022, 2h 31m

Genere: biografico, commedia, drammatico

Arizona del secondo dopoguerra.. Mitzi e Burt portano il loro figlio Sammy al cinema. Ha sei anni e scopre come il potere dei film nel flusso dei suoi fotogrammi può aiutarlo a cogliere infinite verità. Tra le verità  che scopri c’è Bennie, il più caro amico del padre a cui tutti vogliono bene ed anche… la madre. Si trasferiscono in California e bisognerà separarsi da Bennie. Nella nuova scuola ci sono compagni antisemiti, capeggiati da Logan, che ti bullizzano. Ma Sammy ha la sua cinepresa e può …filmarli.

Quando ti portano al cinema per la prima volta sono tutti preoccupati ed eccitati per te perché quello è davvero “Il più grande spettacolo del mondo” (DeMille, 1952). Loro però si preoccupano del rischio dell’impatto con un nuovo mondo, ma la vera rivoluzione nella tua vita è quando qualcuno intuisce che quell’eccitamento pericoloso ti appartiene e non dovrai rinunciarci, né dovrai rischiare per riaverlo: potrai filmarlo e, come nei sogni, potrai entrarci tutte le volte che vuoi. Mitzi inventa per suo figlio Sammy il dispositivo della cinepresa: “farai scontrare il treno una volta sola e quando faremo sviluppare la pellicola lo guarderai all’infinito finché non ti farà più paura. Il tuo treno vero non si romperà mai!” In realtà Sammy scoprirà che non si tratta di ripetizione per risolvere il trauma, ma che quella cinepresa rappresenta una opportunità per rivivere infinite volte la stessa scena da inquadrature diverse.

La scena più emozionante (forse, a 16 anni, è veramente Il più grande spettacolo del mondo…) è Mitzi che balla nel campeggio. Non c’è luce per la telecamera, ma Bennie accende i fari della macchina. Lei danza come se stesse su un palco, ma soprattutto i fari rendono trasparente il vestito: “non guardare impone, inutilmente, una bambina alla sorella più piccola!”. Siamo nel pieno del cinema: come si può non guardare una danza che ti arriva inattesa e ti porta l’eccitamento della femminilità che alle bambine arriva in trasparenza? Anche Burt e Bennie ne saranno toccati perché entrambi, ciascuno dal proprio vertice, conoscono quell’eccitamento che, come per lo scontro del treno, vorresti vedere ripetutamente. Solo Sammy vede la danza da dietro la cinepresa, e in quel momento, non ne sente l’eccitamento forse perché è concentrato sulla pellicola e non sulla danza. Ma solo Sammy potrà rivedere mille volte la scena in cui sua madre danza trasparente. Come per i percorsi di analisi, se rivedi mille volte la scena e cambi i vertici, ti accorgi che sullo sfondo Bennie abbraccia tua madre e lei lo ama.

Per un attimo Sammy trova che la soluzione al suo insostenibile dolore – che proprio la telecamera ti ha portato – sia la sospensione (fuga?) e il blocco (rimozione?). Quindi, pur di non accettare che tua madre ama Bennie, te la prenderai con il dispositivo e smetterai di fare film perché ti sei liberato anche della tua ultima telecamera! Bennie, che sa di essere uno dei personaggi di quel dolore, ne  propone a Sammy la dimensione vitale che non si ferma ad una formale accettazione o negazione, ma può parlare il linguaggio del sogno e, quindi non solo rimozione, ma anche possibilità: “pensa di me quello che vuoi ragazzo, ma se smetti di fare film spezzerai il cuore a tua madre! E questo non lo puoi fare!”. Gli analisti tollerano con i loro pazienti la vergogna e condividono la vitalità della resa. Sammy, quindi può riprendere il processo laddove si era dissociativamente sospeso e può ricontattare Bennie: “posso comprarti quella telecamera per 35 dollari!”

Il film dice che alla fine la tua vita si muove sempre intorno ad una immagine, quella che ti riguarda profondamente e “da quella immagine usciranno mille scene” (Bollas, 2000). Sammy non smetterà di riprendere quella donna che danza leggera come una ballerina di alabastro che, come nella sala del cinema, cogli solo nel contrasto fra il buio e la luce. Questa volta la lasci andare da Bennie e tu dovrai lasciare tuo padre per abitare finalmente un cinema.

Ho pensato che, finora, attraverso i tuoi film chiedevi che qualcuno arrivasse a salvarti se ti sentivi inseguito da un camionista fantasma, o bloccato in una guerra o messo in una lista di ebrei o che parlavi una lingua aliena che bisognava tradurre o con cui sintonizzarsi. Il film questa volta non chiede aiuto, ma coglie la bellezza di tua madre che danza per Bennie, ma anche per te e tu finalmente sei Logan che non deve essere salvato, ma che può chiedere: “perché l’hai fatto?”.

“i classici sono film che possono essere confusi con la vita”

(Crespi, 2022, 28)

Note bibliografiche e filmografiche

Auster P. (1982). L’invenzione della solitudine. Einaudi, Torino.

Bollas C. (2000). Isteria, Cortina, Milano, 2001.

Crespi A. (2022). Short Cuts, Laterza, Bari.

Il più grande spettacolo del mondo (The Great Show on Earth), USA, 1952. Regia di C.B. DeMille, Sceneggiatira di F.M. Frank, B. Lyndon, T. St. John. Produzione: Paramount Pictures.

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