Cultura e Società

Kung Fu Panda 3

4/04/16

Autore: Elisabetta Marchiori

Titolo: Kung Fu Panda 3

Dati sul film: regia di Jennifer Yuh e Alessandro Carloni, USA, 2015, 95’

Trailer:

Genere: animazione

Trama

La Valle della Pace è minacciata dal terribile Kai, che torna dal regno degli Spiriti dove era stato esiliato dal saggio Oogway che aveva compreso la sua sete di potere e vuole la rivincita. Per raggiungere l’obbiettivo di conquistare la Cina si deve impossessare dei “chi” di tutti i maestri di Kung Fu, che vengono “compressi” anima e corpo in pietre verdi che porta attaccate alla cintura. Manca solo quello del Guerriero Dragone Po, il panda protagonista dei due episodi precedenti della trilogia: ora conosce il Kung Fu, ma ancora non conosce se stesso, il suo “chi”, non sa come controllarlo, quindi non può affrontare Kai. L’incontro con il padre biologico e di un intero villaggio “segreto” di Panda permetterà a Po di sapere “chi” è (trovare il suo “chi”) e sconfiggere Kai, con l’aiuto dei suoi due papà, di un esercito di Panda da lui stesso addestrato, dei Cinque Cicloni e dei suoi maestri, i due saggi Shifu e Oogway. Questa non è la sola sfida verso cui Po si deve cimentare: si trova infatti a confrontarsi con i suoi simili – creduti estinti – e, soprattutto, fare i conti con il ritrovarsi, orfano di madre, con due padri.

Sì, sembra più complicato di quel che è: forse per capire la trama e i personaggi sarebbe meglio – ma non è necessario – aver visto i precedenti film della trilogia di Kung Fu Panda. Vale la pena, perché si tratta di una delle migliori produzioni della DreamWorks, il primo è diretto da Mark Osborne (regista del meraviglioso Il Piccolo Principe) e John Stevenson, il secondo dalla raffinata Jennifer Yuh (coreana cresciuta in California), il terzo da quest’ultima affiancata ad Alessandro Carloni, direttore artistico della saga e in questo episodio regista, per accettare «la sfida di un personaggio a cui in molti sono affezionati, che nel terzo capitolo doveva cambiare rimanendo uguale a se stesso» (www.gqitalia.it).

Andare o non andare a vedere il film

L’impianto del film è quello della favola tradizionale, narrata attraverso l’estetica orientale e la tecnologia occidentale. L’attenzione dello spettatore viene catturata dalla trama, semplice e nel contempo ricca di colpi di scena, dalla consistenza “pandosa” e la fisicità debordante dell’eroe Po, assoluto protagonista del film, e dagli altri personaggi, tutti con caratteristiche ben delineate. Un film davvero “per tutti”, che si presta a vari livelli di comprensione ed elaborazione in modo gratificante, affrontando tematiche anche impegnative con estrema leggerezza e senza superficialità, suggerendole senza la presunzione di spiegarle. A renderlo particolarmente avvincente è l’utilizzo di diverse tecniche cinematografiche e di animazione, che si adattano ai momenti diversi della storia.

La versione di uno psicoanalista

La trilogia di Kung-Fu Panda, in modo semplice ed efficace, “anima” e “incarna” – nel personaggio corpacciuto di Po e nelle sue avventuare – quelli che per la psicoanalisi sono i complessi processi di “soggettualizzazione” e di “soggettivazione”, entrambi tesi al divenire soggetto. “Chi sono io?” e “Chi sei tu?”, sono le domande – esplicitate dall’idea della ricerca del proprio “chi” – che Po si pone sin dall’inizio della saga e che pone ai suoi “maestri” e ai suoi due padri. Sono loro a guidarlo – con saggezza cinese e una certa attitudine psicoanalitica – a comprendere che è “il vero Sé” che va cercato e trovato. L’incontro di Po con il padre biologico Li, in una scena particolarmente riuscita, e il confronto con altri Panda, rimandano all’importanza della funzione riflessiva: si può essere/diventare se stessi solo attraverso l’Altro che ci rispecchia. La presenza di entrambi i padri – l’oca che lo ha adottato e Li, che lo ha perduto, cercato e trovato – introduce con tatto sia il tema delle “origini” sia quello delle famiglie con due genitori dello stesso sesso.

Con molta ironia e senza mai cadere nel moralismo, il film offre agli spettatori, attraverso le sottotrame che si intrecciano, “pillole di saggezza” (o ravioli ripieni?) fatte di ingredienti semplici, ricette non troppo elaborate, che si gustano con piacere la sensazione che siano “nutrienti”. Il messaggio più chiaro è che “diventare quello che si è” non è scontato, richiede il mettersi in gioco, capacità di ascoltare, rispetto dell’Altro e umiltà. Perché sia possibile crescere, “fare passi avanti”, sono necessari Padri e Maestri, così, a propria volta, si sarà in grado anche di insegnare.

Aprile 2016

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