Cultura e Società

“La doppia vita di Madeleine Collins” di A. Barraud. Recensione di A. Moroni

9/06/22
"La doppia vita di Madeleine Collins"di A. Barraud

Parole Chiave: Identità, dissociazione, Doppio, Perturbante

Autore: Angelo Moroni

Titolo: “La doppia vita di Madeleine Collins”

Dati sul film: regia di Antoine Barraud, Francia, 2022, 102’

Genere: drammatico, thriller

La cifra stilistica de “La doppia vita di Madeleine Collins” guarda decisamente al tema del riconoscimento e alle sue declinazioni interne al concetto di identità, vista come costruzione complessa, polimorfa, mai definita o cristallizzabile in una forma stabilizzata una volta per tutte. Il film tratta questioni e filoni concettuali quanto mai suggestivi e molto cari alla psicoanalisi: l’autenticità emotiva, il rapporto tra verità e menzogna, la malafede e la dissociazione. Sembra essere quindi un progetto ambizioso quello del regista e sceneggiatore Antoine Barraud che, per di più, capovolge lo stereotipo dell’”uomo traditore” e lo fa interpretare a una donna, una bellissima e insieme inquietante Virginie Efira, problematizzando tuttavia tale stereotipo, fino a generare uno sguardo estetico sul mondo delle emozioni decisamente polisemico e ricco di prospettive inedite. La trama può riecheggiare atmosfere letterarie alla Dürenmatt oppure, se guardiamo all’ambito cinematografico, quelle hitchcockiane.

Judith conduce una doppia vita tra la Svizzera, dove c’è Abdel, con il quale cresce da anni sua figlia Ninon, e la Francia, dove c’è Melvil, direttore d’orchestra di grande successo, con cui ha due figli più grandi. La sua vita è fatta di menzogne, non detti, andirivieni continui tra le due famiglie e il film ci racconta come, lentamente, questo equilibrio fondato su un “doppio perturbante” (Freud, 1919) difficilmente governabile, vada inesorabilmente in frantumi. Il regista racconta questa drammatica storia attraverso una sceneggiatura articolata secondo agnizioni graduali e mai definitive, che muovono lo spettatore verso una escalation vertiginosa.

L’interpretazione di Efira (“Elle”, 2016, “Sibyl”, 2019) è intensa, toccante, fino a portare via letteralmente la scena al resto del cast, che sembra come muoversi in una danza tutto intorno a lei: una coreografia che, mentre costruisce lentamente l’intreccio della storia davanti agli occhi dello spettatore, simultaneamente mostra la graduale decostruzione identitaria di Judith/Madeleine, disseminando il sentiero narrativo di interrogativi circa il tema dell’identità. “Chi sono io?” è la domanda centrale che il regista fa riecheggiare lungo tutto il corso del lungometraggio, domanda rispecchiata più volte, da quelle che vengono poste alla protagonista da più soggetti: dalle receptionist degli alberghi dove soggiorna che le chiedono i documenti, dalla polizia che la ferma per eccesso di velocità, dalla figlia Ninon. Il tema dell’identità è oggi ineludibile, soprattutto se pensiamo alla manipolabilità odierna della (e delle) nostre identità all’interno dell’universo informatico in cui siamo immersi tutti i giorni. È possibile infatti, ormai, parlare di una sola nostra identità, considerato il tema dei mille avatar che ci rappresentano in internet, oppure i molti account mediante cui la nostra identità diventa “Sè disseminato” (Matot, 2020)? Un Io che sembrerebbe manifestarsi sempre più come “vita liquida” (Bauman, 2005), come funzionamento emotivo profondo che si fa attrarre dal non differenziato, più che differenziarsi, che si disloca sempre più in luoghi transizionali e informi, più come co-emergenza, che come in-dividualità separata e responsabile delle proprie scelte. Sono tutti fenomeni che investono anche le nuove forme di psicopatologia emergenti, e che vanno ben oltre il tema del gender fluid, oppure delle patologie dell’integrazione del Sé in adolescenza.

Il film si è giustamente aggiudicato una nomination al Premio Giornate degli Autori al Festival del Cinema di Venezia nel 2021 e un’altra come Miglior Sceneggiatura al francese Premio Lumiere 2022.

Riferimenti bibliografici

Bauman, Z. (2008), Vita liquida, Laterza, Bari.

Dürenmatt, F. (1958), La promessa, Adelphi, Milano, 2019.

Freud, S. (1919), Il Perturbante, O.S.F., Vol. 9, Boringhieri, Torino, 1982.

Marchiori E. (2006). Io chi? Riflessioni sull’identità attraverso il cinema. In (a cura di M. De Mari, E. Marchiori, L. Pavan), La mente altrove. La sofferenza mentale al cinema. Franco Angeli, Milano, 66-78.

Matot, J.-P. (2020), Il Sé-disseminato. Una prospettiva ecosistemica e metapsicologica. Edizioni Bette, Padova.

Giugno 2022

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