Cultura e Società

“Mother” di T. S. Mitevska. Recensione di F. Salierno

28/08/25
"Mother" di T. S. Mitevska. Recensione di F. Salierno

Parole chiave: madre, desiderio, cinema e psicoanalisi, 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica

Autore: Flavia Salierno
Titolo: “Mother”
Dati sul film: regia di Teona Strugar Mitevska, Macedonia del Nord, Belgio, Svezia, Danimarca, India, 2025, 104’
Genere: biografico

Primo piano sul volto. Serio, deciso, volitivo. Indossa cuffia e velo nero da suora. Musica rock. Forte, ad alto volume. Comincia così, su un contrasto ricercato e accattivante questo film di Teona Strugar Mitevska, cineasta macedone nota per il suo cinema fortemente autoriale, politico e profondamente femminista. Il ritratto a forti tonalità chiaroscure punta subito la macchina da presa sui nuclei centrali del film. La parte più vera e nascosta di Madre Teresa di Calcutta. Evitando accuratamente agiografie ipocrite e ponendo domande scomode su fede, potere e femminilità. La regista fa un passaggio successivo. Simbolico, sul termine “mother”. Madre è suora, è genitrice, è colei che cura. Simbolo di dedizione e di affetto incondizionato. Nel senso comune del termine.  Poi c’è l’altro senso, più nascosto, più impervio, difficile da riconoscere e da mostrare. Quello dell’invidia, dell’odio, in un’ambivalenza che alterna emozioni spaccandole in due. Ancor più, frammentandole. Abbiamo conosciuto Madre Teresa di Calcutta, ovvero di  Anjezë Gonxhe Bojaxhiu, nata a Skopje, Macedonia del nord, nel 1910 come una delle figure più importanti del 900. Missionaria cattolica, simbolo di carità e dedizione agli ultimi, fondatrice delle Missionarie della Carità, premio Nobel per la Pace nel 1979, amata per il suo radicale servizio ai poveri. Ecco, radicale. Dove le radici sconfinano negli assolutismi toccando quelle del fanatismo. Indirettamente femminista, se per femminismo intendiamo il voler difendere a tutti i costi la propria piena autonomia di azione e pensiero da quelli degli uomini. In un mondo dove le gerarchie conducono a ruoli il cui apice è declinato al maschile, la giovane Anjezë aveva chiara la volontà assoluta di avere un proprio movimento e di esserne ai vertici. Spogliandosi di tutto, e costringendo chi ne facesse parte a fare altrettanto. Le Missionarie della Carità, infatti, è un ordine con regole severe di povertà, obbedienza e castità. La regista macedone sceglie di raccontarne le contraddizioni, e di mettere in scena l’impossibilità alla rinuncia del desiderio. La punizione rivolta a una “devota”, rimasta incinta grazie a un amore inaspettato, diviene la protagonista di un palcoscenico impregnato di tortura e perfidia. In assoluta contraddizione con la dedizione e la cura verso i malati di lebbra. La malattia vera è desiderare che il corpo porti anche solo accenni di sessualità e desiderio, appunto. Cosa è amore verso il prossimo, quindi, se c’è un’ambizione che rispecchia una spinta del potere proprio su altri? Siamo solo tutti esseri umani, anche Madre Teresa di Calcutta, sembra dirci il film. Mitevska non cerca accusa, ma nemmeno assoluzione. Preferisce raccontare, facendolo a modo suo. E Mother ha una confezione destinata a rimanere nella memoria. Non solo perché nella storia dell’umanità è rimasta la vita e l’insegnamento di una suora destinata ad abitarla per sempre, ma anche perché negli abiti talari c’è stata una donna. Madre, nel senso più esteso del termine.

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