Cultura e Società

Mulholland Drive

25/11/09

David Lynch, USA, 2001

Commento di Francesco Carnaroli

 

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Due personaggi femminili, uno interpretato da una bravissima Naomi Watts (nella prima parte prende il nome di Betty Elms, nella seconda si chiama Diane Selwyn); l’altro interpretato da Laura Harring (Rita/Camilla Rhodes). Per semplicità le chiamerò la Bionda e la Bruna.
Due possibili storie, due possibili versioni della stessa vita. Nella prima:
La biondina è ingenua, volenterosa, ha tanta voglia speranza determinazione che i suoi desideri si realizzino nella Città dei Sogni. Sorride e ride, è entusiasta di questo meraviglioso mondo nuovo. I vecchi – le persone della generazione precedente – l’accolgono generosamente, tifano per lei, sono sicuri che lei ce la farà. A loro volta son gente soddisfatta dalla vita, come quella coppia di anziani che ridono, che si danno le pacche, che sprizzano buon umore. Se ti impegni a fondo, ce la puoi fare. La bionda ride sorride e crede, è nata con la camicia.
La Bionda ospita la Bruna che ha perso la memoria, e che perciò sempre non avere né un passato, né altri legami. La Bruna ha perso la memoria in un attentato a cui è scampata. Chi voleva ucciderla? Forse ci sono dietro delle trame di potere?, di potente malavita mafiosa che controlla gli studios di Hollywood? La Bruna si affida alla Bionda, e quest’ultima se ne innamora. La Bionda e la Bruna si compenetrano possessivamente; a un certo punto la Bruna si mette una parrucca bionda che ha lo stesso taglio di capelli della Bruna.
E c’è il successo professionale, volere credere e combattere per sé dà successo. Voleva moltissimo quella parte, si è impegnata moltissimo anche con l’aiuto dell’amica, si cala intensamente nella parte, e così fa il grande balzo nella realizzazione dei sogni.
Seconda storia: la Bionda è andata ad Hollywood, vuole tantissimo essere scelta per una parte, ma nel provino prevale la sua amica Bruna. La Bruna ha successo. E’ la Bruna che occupa il centro della scena, ma generosamente aiuta (generosità competitiva, che genera invidia) l’amica a ottenere “piccole particine secondarie”. C’è una storia di amore fra le due, ma la Bruna, mentre ha successo come attrice, è anche molto corteggiata: dal regista del film, da un’altra attrice. Quindi non sa più se vuole stare con la Bionda, forse no. La Bionda, poveraccia, non è affatto nata con la camicia, non galleggia in un’aureola di fiducia: anzi è costretta a vivere in una scena di doppia esclusione: la Bruna ha successo, e colloca la Bionda ad avere particine sulla scena dove viene celebrato questo successo. La Bruna non avvolge col proprio sguardo la Bionda, ma anzi si dedica ad altri, si fa amare di fronte a lei. Le dice: “vieni alla festa, per me è molto importante che tu venga”. Lì esibisce i suoi amori e il proprio successo, e con lo sguardo (che ogni tanto le indirizza con la coda dell’occhio) sembra che le dica: “godo di tutto il dolore che provi per la tua invidia, la tua gelosia, il senso di esclusione”.
La Bionda si sfalda precipitando in un gorgo di distruzione/autodistruzione: commissiona l’assassinio della Bruna (e così si torna all’inizio del film: è il secondo film a cui Lynch dà una struttura temporale circolare); si droga e infine si spara. La coppia di vecchietti sorridenti, in questo contesto di caduta, non sostiene ma è persecutoria.

I processi primari, onirici, inconsci, producono costantemente abbozzi di storie: inizi di definizioni narrative di cosa è la realtà, un elemento della quale è “Io”. Sono processi in parallelo, sincronici, e le versioni narrative che vengono proposte possono essere fra di loro incompatibili, contraddittorie.
Il pensiero cosciente tende invece ad essere lineare, sequenziale; gli eventi tendono ad essere organizzati in modo non contraddittorio, secondo schemi di spazio, tempo, causalità.
Molti fra i frammenti di storie che emergono possono essere respinti perché minacciano un senso coerente del sé cosciente. Questo fatto del respingere inibisce la capacità di essere creativi. (“Creatività” non è la capacità di accogliere e organizzare i processi primari nei processi secondari? E uno dei fattori terapeutici dell’analisi non è forse costituito dal favorire la crescita di questa capacità?).

C’è un insieme “A” di pensieri e sentimenti organizzati, coerenti (è ciò che sei solito essere); accanto ad esso, affiora un altro insieme, “B”, una nuvola che va organizzandosi in pensieri e sentimenti diversi, dissonanti, decisamente “non A”. Se ci lavori consapevolmente sopra, può darsi che col tempo A e B, oggettivati davanti al tuo sguardo, ti si presentino come sotto-insiemi dell’insieme C, che li comprende e li organizza entrambi. (Sarebbe il pensiero dialettico, che non gode di buona stampa in tempi di “Asse del Bene” che fa la guerra all’“Asse del Male”). Un insieme organizzato produce ai propri margini, ai propri confini, una quantità di prodotti di “scarto”. Possono essere trattati come cacca ed essere evacuati. Invece se ascoltati i loro pezzi sparsi si assemblano e diventano personaggi.

Se sei la Bionda, è doloroso e umiliante far affiorare quel film che racconta di una storia possibile in cui sei invidiosa gelosa esclusa. E’ schiacciante il dolore che viene cantato in spagnolo dalla cantante barcollante nel teatro nottambulo: di strazio si sviene.

Ma non è il peggio del peggio: c’è di peggio ancora. E’ quando non ci sono storie ma solo un mostro nero dietro il muro. Sei davanti al tuo psicoanalista al tavolino del fast-food, il tuo sguardo oscilla fra il terrore e un sorriso dolce che va in cerca dell’appoggio dell’altro. Temi l’impatto diretto con tutto ciò che non hai mai pensato, che mai ha potuto dipanarsi in molteplici storie. Vorresti soltanto che quel mostro non ci fosse, anche se la sua non esistenza di consegnerebbe definitivamente al consumo di una vita senz’ombra, da fast-food. Ma il mostro c’è, e un istante dopo viene costatata la tua morte: il sangue non scorre più nella tua carotide.

“Caro paziente” – dico io – “lo so che non vuoi assolutamente pensare alla tua storia ‘B’ di biondina sfigata: ma magari capita che proprio perché non ci vuoi pensare, di scappa di mano quel personaggio e s’impadronisce dei fatti concreti della tua vita. Oppure ti riduci a un punto, senza spessore, e la realtà diviene per te un luogo dove puoi incontrare il mostro che ti uccide. Quindi credimi, dai retta a me: ti conviene raccontarmela e raccontartela, quella storia”

Francesco Carnaroli
 

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