Cultura e Società

“My Octopus Teacher” di P. Ehrich e J. Reed. Recensione di F. Barosi

15/03/22
"My Octopus Teacher" di P. Ehrich e J. Reed. Recensione di F. Barosi

Autore: Filippo Barosi

Titolo: “My Octopus Teacher” (“Il mio amico in fondo al mare”)

Dati sul film: regia di Pippa Ehrich e James Reed, Sud-Africa, 2020, 85’, Netflix

Genere: Documentario

“Il mio amico in fondo al mare” è un documentario, premio Oscar nel 2021, che racconta le vicende del filmmaker Craig Foster, alle prese con una profonda crisi personale.

L’uomo, incapace di lavorare, ritorna così alla casa d’infanzia, all’estremo capo di una baia sudafricana sull’Atlantico e si immerge quotidianamente nelle foreste di kelp antistanti, fino all’incontro con la “Lei” che lo aiuterà a ritrovarsi nel mondo e a riunirsi al figlio: un esemplare di polpo comune.

Narrato con straordinaria delicatezza, a metà tra un documentario e una storia d’amore, il film diretto da Ehrlich e Reed riesce a coinvolgere con intensità, originalità e senza patetismi, attraversando i misteriosi territori del legame interpsichico tra uomo e animale.

Il polpo, qui nel ruolo di insolito compagno-altro da sé e riconosciuto per la sua notevolissima intelligenza in rapporto alla sua linea evolutiva (“un mollusco non dovrebbe essere così intelligente”), viene considerato dai biologi una sorta di “esperimento di mente” evolutosi in maniera precocemente indipendente rispetto al nostro modello di cervello da vertebrati (Godfrey-Smith, 2018).

I subacquei sanno bene che, pur non essendo un animale sociale, e proprio per questo in modo ancora più sorprendente, è capace di creatività e gioco, sfruttando la propria struttura proteiforme e “il multiforme ingegno” (i greci lo chiamavano polúmetis, come Ulisse) ben oltre le sue necessità di sopravvivenza. Dotato di grande curiosità, è in grado di riconoscere uno specifico essere umano e di avere con lui, superata con pazienza la diffidenza istintiva, un rapporto peculiare in cui lo si può intuire sperimentare gioia e piacere fini a se stessi, slegati da elementi di mutualismo.

Certo, non possiamo davvero paragonare un cefalopode, per quanto intelligente, a un essere umano, non fosse che ci separa una evidente alterità biologica che si perde nella culla della vita, ma ci suona familiare pensare a un umano dolente che incontra un Altro da sé sconosciuto, arrivando tuttavia a stupirci di come sia possibile innamorarsi di una creatura bizzarra (anche come spettatori!) e di come questa esperienza amorosa possa aiutare un uomo a fronteggiare le sue sofferenze psichiche.

Come analisti conosciamo il valore dell’esperienza regressiva di ritornare nella casa dei giochi infantili e insieme nell’elemento originario acquatico (il “tuffo nel passato”), da dove proveniamo noi e i nostri antenati comuni. Conosciamo bene anche la necessità di immergersi il più possibile “nudi”, come Foster quando decide di nuotare senza muta per vivere la sua esperienza psicocorporea come parte del mondo subacqueo e non come semplice visitatore. A patto però di ritornare a galla per respirare e non annegare nell’illusione delirante di essere diventati un pesce o addirittura dissolversi nella simbiosi ambientale come avviene nella fantascientifica “Trilogia dell’Area X” di Jeff VanderMeer (2018).

Questa punteggiatura cinematografica, che sfrutta come cesura il pelo dell’acqua, può far pensare alla necessaria interruzione tra una seduta e l’altra, nell’oscillazione anfibia tra il nostro habitat di superficie e quello profondo, oscuro e terribile ma anche affascinante, dove ci immergiamo per curiosità ma anche e soprattutto per curare le nostre ferite.

Nell’ondeggiare continuo tra un vertice scientifico, documentaristico, e uno amoroso e significante, Foster contatta il nostro fondamentale bisogno di sentirci ed essere-sentiti-come vivi, sia rispetto ai nostri simili che dentro di noi e più giù, vicino alle radici dell’albero della vita. Ma nella sua piccola storia c’è anche la straordinaria e fragile bellezza dell’esistenza, sia nella possibilità di studiarla, fin dove si può, che nella primigenia necessità di sognarla, accarezzando e addormentando la parte neocorticale del nostro essere umani.

Bibliografia

Godfrey-Smith P. (2018). Altre menti. Milano: Adelphi.

VanderMeer, J. (2018). Trilogia dell’Area X: Annientamento-Autorità-Accettazione. Torino: Einaudi.

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