Cultura e Società

“Parole. Operetta per piano e voce” di U. Contarello. Recensione di S. Mondini

10/09/21
“Parole. Operetta per piano e voce” di U. Contarello. Recensione di S. Mondini

Autore: Silvia Mondini

Titolo: “Parole. Operetta per piano e voce” (dal 78° Festival del Cinema di Venezia), Sezione Notti veneziane delle Giornate degli Autori.

Dati sul film: regia di Umberto Contarello, Italia, 2021, 85’

Genere: documentari

“Cosa volevo? Raccontare il caso. Non progettare nulla. Cercavo l’abbandono.”

(U. Contarello)

Il film, presentato nella Sezione Notti Veneziane delle Giornate degli Autori, può essere pensato come un ritratto che l’autore fa di se stesso. “Operetta per piano e voce”, pur ponendo in primo piano il registro acustico, si definisce anche per mezzo di immagini; ottantacinque minuti di parole e immagini che condensano anni di esperienza e attimi fuggenti, estemporanei, quasi fulminei, che prendono forma con la complicità dello skipper Corrado e della relazione che li unisce. Una relazione dai tratti indecisi, ma necessaria per rappresentare l’altro – e quindi anche lo spettatore –  che, nel ruolo di alter-ego, interlocutore o testimone, deve comunque esserci per rispecchiare e dar consistenza ai pensieri di un uomo che si definisce “narciso”. Un narciso la cui ironia allontana il rischio di risultare patetico e dona, semmai, la capacità di sorridere, e far sorridere, talora con un po’ di commozione.

Un sovrapporsi di parole – pensate, riflesse o improvvisate – e fatti che semplicemente accadono in viaggio o nella metafora della notte.

Un viaggio via terra, dove le cose sembrano perdersi o finire, e via mare, dove le cose, forse le stesse, riaffiorano, si ritrovano, si riannodano lungo il filo di un racconto quasi casuale e denso di piccoli o grandi segreti. Misteri che nell’ottica dell’autore non riguardano l’origine o il perché degli eventi – le cose, per lui, semplicemente accadono – quanto la capacità di poterli osservare, annotare e condividere non appena avranno perso il loro carattere di segreto per diventare, allora, piccole magie del pensiero.

Un flusso inarrestabile di parole, dunque. Parole dense, autentiche, che veicolano qualcosa di vissuto (non importa se nel pensiero o nella realtà esterna) e al contempo parole sfuggenti, imprendibili, perché troppo rapide nel loro succedersi. Ma anche ricordi, aneddoti, riflessioni sul mestiere di scrivere, sul cinema, sulla letteratura che lo spettatore potrà raccogliere, far proprie, solo nella misura in cui andranno a toccare qualcosa di intimo. Infine immagini – di terra, di mare, di orizzonti confusi, di zone di ambigua vaghezza (di cui Formia sembra essere emblema) – e note … quelle composte da Danilo Rea.

Un’Operetta composita, dunque, che inevitabilmente mette in scena il confronto con un altro mestiere fatto di pensieri e parole, quello dello psicoanalista: dar voce a pensieri muti, a pensieri non ancora pensati, creare ponti, collegamenti, legami tra rappresentazioni e affetti, tra ora e allora, tra un prima e un dopo; in pratica “aiutare” l’altro a trovare una storia – la propria – o a tradurla in pensieri e parole. Un parallelismo, tuttavia, che mette in evidenza qualcosa che bonariamente invidio all’autore: la libertà. La libertà di dire ad alta voce tutto quel che vuole senza preoccuparsi di effetti e conseguenze del suo dire perché, raccontare, è il suo mestiere. Raccontare, in prima o in terza persona, storie vissute o inventate, dir bugie come forma di sopravvivenza, evadere dalla realtà, uscire dal controllo e da quella posizione di neutralità fondamentale per l’analista.

E così, forse sollecitata da questo piccolo peccato di invidia, mi prendo la libertà di esprimere un ricordo di tanti, fin troppi, anni fa. In una sera dei primi anni novanta Umberto Contarello – lui non lo ricorderà – mi disse che gli sembravo una persona che, arrivata in cima alla vetta, osserva quel che le sta intorno con lo stesso sguardo di chi pensa: “Ah, ma è tutto qua!”. L’immagine, pur suggestiva, mi lasciò senza parole, tanto che neppure il bicchiere di vino che sorseggiavo riuscì ad essermi d’aiuto. Mi suonava lontana e così, pur all’interno di un’osteria (la storica osteria all’Anfora al tempo frequentata anche dal regista Carlo Mazzacurati) cominciai a chiedermi che cosa avesse in mente Contarello in quel momento piuttosto che cogliere l’attimo e dire, inventare un racconto. Il mio futuro di psicoanalista era già segnato anche se ancora (per poco) non lo sapevo.

Settembre 2021

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