Cultura e Società

“The French Dispatch” di W. Anderson. Recensione di A. Meneghini

18/11/21
"The French Dispatch" di W. Anderson. Recensione di A. Meneghini

Autore: Alessandra Meneghini.

Titolo: “The French Dispatch”.

Dati sul film: regia di Wes Anderson, Stati Uniti, Germania, 2021, 108’

Genere: commedia,drammatico.

No crying (motto stampato sulla parete dell’ufficio del direttore del French Dispatch).

Improvvisamente, muore Arthur Howitzer, direttore di una rivista americana che ha la sua sede in un’immaginaria cittadina francese, Ennui-sur-Blasé. Per ricordare il burbero ma acuto giornalista, i suoi collaboratori si riuniscono per scriverne il necrologio. Sarà un necrologio di gruppo, avendo il direttore disposto che alla propria morte il giornale avrebbe spento le rotative.

Ne nascono quattro storie, colorite e colorate rievocazioni di altrettanti articoli apparsi nella rivista in precedenza. Il film si suddivide quindi in quattro episodi, uniti fluidamente dal leitmotiv rappresentato dalla figura carismatica del direttore che, con occhio distaccato, lavora “per via di porre e per via di levare” (Freud, 1904) agli articoli che i giornalisti via via gli sottopongono prima della pubblicazione.

Nel primo episodio, “Cronista in Bicicletta”, uno stralunato redattore della rivista si muove nei bassifondi cittadini, per cogliere come il tempo paradossalmente trascorra e non passi mai, lasciando tutto pressoché identico a se stesso. Nel secondo episodio, “Il Capolavoro di Cemento”, si narra l’improbabile quanto commovente storia d’arte e d’amore tra un detenuto presso il locale manicomio criminale e la sua musa/guardia carceraria, che lo accompagna nei labirintici percorsi della sua ispirazione riottosa quanto geniale. Il terzo episodio, “Revisioni ad un Manifesto”, racconta le appassionate vicende di un gruppo di studenti in lotta a suon di lacrimogeni e di partite a scacchi contro gli adulti che detengono il potere, passando per un inaspettato crocevia edipico che ricorda quello del film “Il Laureato” (1967). Infine, l’ultimo episodio, “La Sala da Pranzo Privata del Commissario di Polizia”, mostra le vicissitudini legate al rocambolesco rapimento del figlio di un commissario amante della buona cucina.

Spunti evocativi densi provengono da questa pellicola allo psicoanalista. Alla morte del direttore e del giornale, quasi un tutt’uno indifferenziato, fanno da contrappeso i surreali personaggi del film, le loro improbabili vicende, i loro pungenti ed ironici dialoghi. Tutto il film è un tripudio di colori, di suoni, di registri affettivi differenti, nei quali Anderson mostra di muoversi con leggerezza, passando dal bianco e nero ai colori, dalle riprese filmiche all’utilizzo del fumetto, dal dramma all’ironia. La pellicola si pone in una dimensione spazio-tempo surreale, venata di maniacalità, dove presente e passato convivono pacificamente secondo il principio di contraddizione, come nelle foto passate e presenti dei bassifondi della cittadina, differenti e uguali allo stesso tempo, e dove anche gli spazi perdono la loro connotazione newtoniana, come quando magicamente la parete di un bar si apre, lasciando entrare lo spettatore nelle scene interne.

In un certo senso, “The French Dispatch” da un lato risuona con il funzionamento del nostro inconscio, dall’altro appare come un caleidoscopico tentativo di elaborare creativamente il dolore mentale legato al lutto, dove la tentazione di negarlo onnipotentemente è dietro l’angolo. Infatti, se il No crying del direttore si colloca agli antipodi della posizione depressiva kleiniana (Klein, 1921-1958), le parole dello chef Nescaffier pronunciate nelle ultime scene “ho sempre cercato invano qualcosa che sfugge, che rimaneva ignoto dietro di me”, preludono al contatto con un vacuum interiore che ricorda la negative capability di Keats (1817) ripresa poi da Bion (1970). È tale passaggio che permette il dischiudersi della possibilità di un’autentica elaborazione del lutto, compreso quello della fine del film. Non a caso, il frammento dell’intervista allo chef viene recuperato nell’ultimo episodio da Howitzer dal cestino della spazzatura dove lo aveva gettato il giornalista, ritenendolo superfluo.

Un film insomma che ci fa immergere nelle vicissitudini legate al difficile lavoro del lutto e alle sue varie declinazioni. Curiosamente, alla fine della proiezione, i numerosi spettatori presenti in sala non accennavano minimamente ad alzarsi, nonostante lo scorrere dei titoli di coda…

BIBLIOGRAFIA

Bion W. R. (1970). Attenzione ed interpretazione. Roma, Armando Editore,1973.

Freud S. (1904). Psicoterapia. O.S.F, 4.

Keats J. (1817). Lettera ai fratelli. Milano, I Meridiani, Mondadori, 2019.

Klein M. (1921-1958) Scritti. Torino, Bollati Boringhieri (1978)

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