Cultura e Società

Una nota su “9-1+1=è abbastanza per te ?”

2/03/16

“9-1+1=è abbastanza per te ?” è un film di 97 minuti, del giovane regista e film-maker Federico Tinelli. Come vedremo, esce decisamente dai modelli correnti di narrativa cinematografica per proporre allo spettatore un’esperienza visuale inedita, che è anche una sorta di sperimentazione di quanto è implicato/nascosto nel semplice fatto di “vedere” un film.

Pur essendo lontanissimo – si può dire agli antipodi – di un film come “Inside out”, “9-1+1” appartiene tuttavia paradossalmente, insieme con pochissimi altri film, a uno stesso universo concettuale, quello dei tentativi di esplorare e mostrare “dall’interno” il funzionamento mentale umano.
“9-1+1” si riferisce peraltro a una zona tuttora poco conosciuta dell’esperienza psichica:quella del funzionamento della mente attraverso il ricorso preponderante alle immagini. 
In realtà, è un fenomeno talmente normale, nella vita quotidiana, che è rimasto per molto tempo sotto forma di una tela di fondo indefinita – quella dei “sogni a occhi aperti” – destinato ad acquistare significato soltanto grazie al gioco degli investimenti affettivi e del linguaggio.

Ma da alcuni anni, sia per la psicoanalisi sia per la ricerca della psicologia empirica, il campo delle immagini mentali ci sta rivelando un mondo di grande ricchezza e di straordinarie suggestioni.
Presenti da sempre nella ricerca psicologica, le immagini mentali nel loro aspetto base e più elementare – che non coincide per nulla con la “fantasia” degli psicoanalisti – hanno posto un interrogativo fondamentale e di non semplice soluzione: come possa esistere e permanere nella mente un contenuto, dell’ordine del visivo, non coincidente e successivamente indipendente dalle percezioni provenienti dalla realtà esterna.
Era del resto il tema affrontato da Freud nella sua costruzione della “teoria del sogno”, e non va dimenticata la centralità, per la teoria psicoanalitica nel suo complesso, del concetto di “rappresentazione” sul quale si fonda, per esempio, quella parte della metapsicologia che descrive le vicissitudini delle pulsioni e del loro funzionamento.
Senza addentrarci in una discussione così complessa, torniamo al film di Federico Tinelli, e all’interesse che riveste per uno sguardo psicoanalitico. In effetti, “9-1+1= è abbastanza per te” è costruito per comunicare l’esperienza di una “narrazione per  immagini” che nasce direttamente di fronte a noi spettatori, per il nostro sguardo più immediato, senza le attese e le pre-condizioni che il cinema normalmente offre come una sorta di “quadro interpretativo” che organizza implicitamente l’esperienza visiva.
Per questo non è facile descrivere il film, poiché sembra rovesciare, se non tutte, molte delle regole di lettura dell’esperienza cinematografica. Tinelli ci mostra in diretta, invece di un film confezionato, lo “storyboard” che lo ha prodotto, o almeno una sua parte. Si tratta di uno strumento di regia che precede la  produzione del film vero e proprio: scena per scena le indicazioni del copione vengono tradotte e disegnate, nelle relative immagini. Ancora sulla carta, il film però prende forma, si mostra con tutte le sue componenti. Non resta che “mettere in scena”, con gli attori in carne e ossa, gli ambienti, le luci, l’azione.
Ebbene, in “9-1+1…” la pagina scritta dello storyboard compare per prima, con il testo del dialogo e le indicazioni di regia, e immediatamente dopo compare l’attrice Adriana, unica protagonista – all’inizio – che ascolta il “discorso” che un Io inizialmente nascosto le rivolge, al quale Adriana reagisce in vario modo. Inoltre, appaiono luoghi, oggetti, maschere, figure diverse. 
Una dopo l’altra, nei nove passaggi che formano il film, che è poi una storia d’amore e di reciproca conoscenza profonda, le scene si costruiscono e decostruiscono in questa forma inizialmente sconcertante, ma poi “concertante” in un modo del tutto inusuale eppure a poco a poco familiare. Il discorso si infittisce di rimandi all’essere “attori”, al gioco di realtà e finzione, e poi sempre di più alla tensione affettiva – che non diventa mai un banale discorso amoroso – che unisce i due protagonisti, regista e attrice, ma anche Federico e Adriana che compaiono insieme in una scena agreste alla fine.
“E’ abbastanza per te?” si rivolge allora allo spettatore, se si è lasciato prendere dal gioco tra il visivo e il verbale, tra il verbale/scritto e il sonoro, e infine tra il sonoro e il visuale, quello che sarebbe stato la “storia” come l’avrebbe narrata un film “normale”.
Con un senso di piacevole sorpresa, se si è lasciato prendere dai giochi narrativi, lo spettatore può scoprire di essere perfettamente a suo agio in questo mondo singolare.
Forse perché si è creato un “mondo” che corrisponde a livello profondo alla effettiva formazione del nostro pensiero “per immagini”, quel fenomeno mentale che ci guida ai limiti tra il mondo interno e il mondo esterno, allo scopo di creare e conservare un  terreno di scambio necessario al nostro equilibrio mentale.
Sogni a occhi aperti che non sappiamo di produrre o non sappiamo produrre, come sa la  psicoanalisi recente; e qui si potrebbe discutere se all’origine si trovino dei “pittogrammi” originari puramente visivi, oppure, come pensano altri, se all’origine non ci sia pur sempre un linguaggio primario, un “mentalese” che poi si traduce in immagini. 
Oppure, come afferma un’altra teoria dell’immagine, potrebbe esserci sempre un “doppio codice”, ora verbale ora visivo, che agisce caso per caso nel costruire l’immagine – il mondo immaginario – più adatta alla vita affettiva del singolo soggetto in quel momento della sua esistenza.
Sembra che l’intuito registico di Federico Tinelli gli abbia fatto scoprire proprio questa possibilità e con il suo film ci abbia mostrato questo funzionamento: raggiungendo per una via tutta personale, quelle ricerche psicoanalitiche che cercano nella psiche profonda, o forse nelle esperienze infantili più antiche, le vie di accesso al “figurale”. In questo, tornando a raggiungere le preoccupazioni di Freud quando cercava una sua teoria sulla formazione del sogno.
Ma forse anche qui, chiediamo a questo film straordinario molto di più, o in realtà molto di meno di quello che può dare: quello che importa davvero è l’esperienza ai limiti del sogno che la forma-cinema riesce a farci sperimentare, l’esperienza di giochi narrativi, di giochi figurali che ci liberano dalle forme più statiche e ripetitive della nostra vita visiva, fanno di noi persone più libere di fare scoperte, di provare sorprese.

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