Parole chiave: pulsione di vita, amore
Autore: Stefano Monetti
Titolo: Undine
Dati: regia di Christian Petzold, Germania-Francia, 2020, 90’
Genere: sentimentale, drammatico
“Se si richiama alla mente lo smarrimento e il dolore, il desiderio per una cosa irraggiungibile, si può iniziare a riparare la propria condizione attuale”.
De Lillo,1982
È visibile su PrimeVideo Undine – Un amore per sempre, opera di uno dei più importanti registi contemporanei, il tedesco Christian Petzold. È la storia di Undine Wibeau, una storica che lavora come guida in un museo berlinese, nel quale commenta alcuni plastici che rappresentano lo sviluppo urbano della città. Lasciata dal fidanzato Johannes, Undine ha una relazione con un saldatore subacqueo, Christoph.
Il film si articola nell’alternanza tra gli spazi urbani definiti dei plastici di Berlino e la fluidità dell’acqua in cui i protagonisti si immergono, come se fossero due modi opposti di pensare il mondo e la mente: discreto e continuo, composto di elementi delimitati oppure privo di distinzioni. Lo spazio delimitato suggerisce una difficoltà nei movimenti, mentre lo spazio indefinito pone il rischio di disperdersi: possiamo pensare questi due tipi di spazio come due metafore di un problema nel funzionamento affettivo, per eccesso o per mancanza di controllo.
Come in altri film di Petzold, la narrazione è innervata di episodi perturbanti che sembrano rappresentare i pensieri intrusivi dei protagonisti. Per esempio, immergendosi per lavoro in un lago, Christoph vede un enorme pesce gatto e la scritta del nome Undine su un muro. Queste frammentazioni narrative stimolano nello spettatore una posizione di permanente vigilanza rispetto a ciò che succede. Il movimento affettivo nel quale si è coinvolti nella visione fa venire in mente altri registi che utilizzano il registro del perturbante, per esempio Marco Bellocchio e David Lynch. Seppure meno disarticolato di molti film di Lynch, Undine costringe a un atteggiamento di sospensione del giudizio rispetto a quel che accade. Una posizione di inquieta apertura verso le intrusioni onirico-inconsce che richiamano l’emergenza incontrollabile degli affetti. Tale posizione è accostabile a quella dell’ascolto psicoanalitico.
È forse in questo film che la poetica di Petzold della relazione amorosa come mescolanza di piacere e di dolore, di pulsioni di vita e di morte, raggiunge una radicalizzazione espressa dalla splendida recitazione di Paula Beer. L’attrice interpreta Undine oscillando tra un fine sentimentalismo e bruschi tratti di rigidità inesorabile, manifestando in questi passaggi l’incertezza di chi sta scoprendo passivamente se stessa. È dunque uno stile recitativo che mostra l’evoluzione del personaggio Undine, a partire dai traumi che la spingono a inabissarsi nel proprio inconscio, come in una crisi psicotica dettata da un’onnipotente aggressività sadica. E si potrebbero rintracciare nel personaggio di Undine alcuni concetti relativi alla fase schizoparanoide descritta da Melanie Klein (1946): il sadismo, la scissione tra un amore idealizzato e un amore persecutorio, l’angoscia paranoide che detta le sue azioni.
Il film si presta a questa possibile interpretazione psicoanalitica, ma offre anche una chiave di lettura alternativa, non estranea alla psicoanalisi: quella del mito. Come in altri film di Petzold, lo sconvolgimento degli affetti rende necessaria la mitologia come tentativo di comprendere gli affetti stessi. Così nell’opera freudiana gli elementi costitutivi della mente sono comprensibili a partire dalla narrazione mitica che li mette in scena. Simili alle sirene, le undine o ondine sono creature leggendarie legate all’elemento dell’acqua, rovinose seduttrici che, secondo la tradizione fiabesca, possono acquisire un’anima amando un uomo mortale. Da questa figura mitologica viene il nome della sindrome di Ondine, una malattia che provoca problemi di respirazione. E la respirazione, cruciale nell’immersione, diviene la metafora del passaggio dalla temporalità della vita cosciente a quella dell’inconscio. Un esempio di come queste due temporalità possano coesistere, pur rimanendo estranee, è dato dall’episodio della respirazione bocca a bocca con la quale Christoph rianima Undine. Nell’eseguirla, egli canta la canzone dei Bee Gees “Stayin’ alive” che gli fornisce il ritmo adatto per un’efficace rianimazione. Da una parte abbiamo dunque il registro psicosomatico rappresentato dalle emozioni e dal ritmo fisiologico del respiro, dall’altra il registro simbolico dei miti e della canzone dei Bee Gees. Il ritmo della respirazione e della canzone è ciò che articola i due registri.
Petzold riesce con facilità a muoversi tra questi due campi, ovvero tra gli affetti e il loro contenimento simbolico, con una disciplina stilistica e un minimalismo narrativo che conferiscono al film una sua organicità necessaria.
Questa stessa organicità, il senso estetico di completezza del racconto filmico, deriva dalla capacità del regista di mettere in scena la tragicità della condizione umana, esponendone le ambiguità senza fornire una sintesi. Alessandro Ronchi suggerisce che il film si limita a giustapporre i molteplici temi che presenta, senza giungere a delle corrispondenze (Ronchi, 2020).
Come dice il poeta: “Lascia che tutto accada: bellezza e spavento. Si deve solo andare: nessun sentire va tenuto lontano” (Rilke, 1923).
Bibliografia
DeLillo, D. (1982). I nomi. Torino, Einaudi, 2004
Klein, M. (1946). “Note su alcuni meccanismi schizoidi”. Scritti 1921-1958, Torino, Bollati Boringhieri, 1978
Rilke, R.M. (1923). Elegie duinesi. Milano, Feltrinelli, 2006
Ronchi, A. (2020). “Undine”. Spietati: https://spietati.it/undine/