Cultura e Società

Settimana 3 – Ludovica Grassi

21/04/13

Ludovica Grassi

La terapia di coppia richiede la presenza con il terapeuta di entrambi i partner, eppure nella terza seduta Giovanni accetta la presenza della sola Lea. Un errore tecnico? Ma tutta la serie mi sembra un catalogo di quelle che noi psicoanalisti chiamiamo rotture di setting! Quelle che, come ha scritto Goisis, mettono il terapeuta a nudo. Ciò che colpisce ed emoziona, nella struttura degli episodi, è vedere susseguirsi sulla stessa scena, in rigorosa unità di luogo e di tempo, i diversi personaggi che, con la partecipazione del terapeuta, mettono in atto il loro dramma. E non sempre sono soltanto quelli impegnati nella terapia: ad esempio Lea e Pietro hanno portato fin dalla prima seduta il bambino aspettato da Lea, una presenza molto intensa che pone subito al centro una questione di vita o di morte. Dilemma che nella seconda seduta si trasforma in azione, con l’aborto sul divano.

La psicoanalisi, nata come terapia di parola (una delle prime pazienti di Freud la definì talking cure), ha via via accolto al suo interno anche l’azione (agieren diceva Freud), riconoscendone il valore comunicativo: in inglese si usa il verbo to act, che definisce anche il recitare, il rappresentare sulla scena. Recentemente in psicoanalisi si parla anche di enactment, un’azione prodotta da paziente e analista insieme, che apre nuove prospettive di elaborazione psichica. Nello studio di Giovanni i fatti e le emozioni si trasformano in racconti o semplicemente avvengono, ma spesso anche le parole “fanno”,diventano cioè l’equivalente di azioni. Nella terapia di coppia tutto questo diventa ancora più complesso, perché oltre al terapeuta e ai pazienti entra in scena il legame, il vincolo tenace e inconscio che si costruisce fra i due partner a partire dal loro primo incontro e che li tiene uniti anche a dispetto della più palese conflittualità.

Non è facile per chi lavora con le coppie riuscire a seguire ciò che avviene nel campo di forze affettive generato dall’incontro fra i partner, e fra loro (in quanto individui e come coppia) e il terapeuta. Bisogna riuscire ad andare oltre la concretezza dei fatti presentati e cogliere le oscure fantasie che al di là delle apparenze uniscono i membri di una coppia. Così il bambino atteso, in bilico fra un destino di vita o di morte, può rappresentare il desiderio di far nascere qualcosa di nuovo con la terapia (creatività), ma anche l’angoscia per l’alterità, centrale nella scelta di Lea e Pietro di legarsi a un partner tanto diverso dal proprio mondo originario, ma ora percepita come pericolosa; la minaccia di esclusione, che la nascita di un bambino comporta, è esplicitata nella terza seduta dal terapeuta che attribuisce a Lea la costruzione ripetitiva di situazioni triangolari in cui c’è sempre qualcuno escluso. Non a caso il dilemma sull’abortire o meno si intreccia con quello sul continuare o interrompere la terapia, luogo della creatività e dell’incontro con l’ignoto.

Molto teatrale è anche l’episodio della macchia, che diventa rappresentazione di una traccia o impronta di qualcosa che dev’essere cancellata, ma nello stesso tempo deve restare a perenne testimonianza, e che accomuna le due coppie Lea/Pietro e Giovanni/Eleonora. Viene subito da pensare alle tracce di sangue sulle mani di Lady Macbeth, che l’acqua non riuscirà a cancellare. L’aborto manifestatosi sul divano del terapeuta e la macchia di sangue segnalano quanto le vicende dei pazienti siano in relazione con la terapia e quanto l’analista sia segnato indelebilmente dai suoi pazienti. Mi è piaciuta l’interpretazione di Giovanni della macchia come apertura alla possibilità di vivere il dolore, negato spavaldamente da Lea all’inizio della seduta. E anche Pietro regala a Giovanni un’interpretazione: è un medico che ha paura del sangue, cioè del dolore.

La perdita e la rottura sono reiterati all’interno e all’esterno della cornice in cui si svolge la seduta: Lea vuole fare la terapia da sola, poi è raggiunta da Pietro, e la violenza esplode sotto gli occhi di Giovanni; ma alla fine Pietro resta solo, e accusa il terapeuta di spingerli al divorzio. Uscito anche Pietro, che lasciando i soldi sul tavolo rappresenta il suo desiderio di chiudere i conti con la terapia, entra Eleonora, portatrice di un’altra rottura che sembra esprimere una richiesta disperata. Ma Giovanni fatica ad accoglierla e ad affrontarne il senso dentro di sé: il dolore non può essere utilizzato per mettere in moto la capacità trasformativa del pensiero.

21 aprile 2013

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