Cultura e Società

Solos – Commento di A. Cordioli

31/08/21
Bozza automatica 4

Autore: Anna Cordioli

Titolo: “Solos”

Dati sulla serie: creata da David Weil; USA, 2021, Amazon Prime

Genere: Drammatico,Fantascienza

“Solos”, così si intitola la serie apparsa su Amazon Prime, significa “persone sole” ma anche “assoli”.

Mi viene subito mente la canzone di Gaber “I soli”(1987): “I soli sono individui strani […] Non si sa bene cosa sono, forse ribelli, forse disertori. […] Qualche volta è una scelta, qualche volta un po’ meno”. Ho sempre amato questa canzone che sottolinea come la solitudine faccia risaltare tanto i pregi quanto i difetti degli esseri umani. Chi racconta la propria storia “da solo” è metaforicamente più nudo e mostra la propria umanità senza potersi nascondere dietro ad altri.

In “Solos” sono sette i rappresentanti umani che si trovano, al centro della scena. Ogni puntata parla di una diversa solitudine e fa mondo a sé: i personaggi si raccontano senza collegamenti gli uni con gli altri anche se, a ben guardare, ci si accorge che alcuni di loro si sono incontrati. Eppure questi legami è come se non avessero rilevanza alcuna.

Quello che emerge dalla serie è in fondo una vecchia faccenda: nasciamo soli, moriamo soli e talvolta siamo soli anche nella vita, specie quando viviamo sprofondati nelle paure del futuro, dei cambiamenti, della sofferenza, del vuoto di sé.

Quel che ne esce è una antologia di vite molto umane, cadute però lontane dagli altri. Nessuna di queste storie è narrata in maniera scontata o pietistica. Il creatore della serie David Weil ci fa entrare in realtà surreali, dai tratti fantascientifici, che hanno il pregio di far risaltare vissuti universali. È pressoché impossibile sentirsi estranei alle vicende dei sette. C’è una figlia che accudisce la madre malata, una donna che per timidezza non ha vissuto la sua vita, un uomo a cui è stato detto che sta morendo, una donna che per paura non lascia più la sua casa, una donna che ha voluto un figlio con una tecnica sperimentale, una donna che si perde nella disperazione di non avere figli ed infine c’è un uomo malato che vive in un mondo di nebbia.

La serie esplora i confini dell’umano con la richiesta esplicita di ascoltare ciascuno e non escludere nessuno. Era da tempo che non assistevo ad analisi psicologiche così raffinate. Il racconto è reso in prima persona, e risulta così intenso e delicato perché passa attraverso i ricordi o i dubbi di chi parla. Si potrebbe, a tratti, scomodare Bergman se non fosse che qui l’animo umano non viene mai dissezionato attraverso le parole, ma viene “solo” presentato, come fossimo di fronte ad un mistero che ci si schiude davanti.

Un aspetto centrale della serie, poi, è la potenza espressiva degli attori che rendono vivi, credibili e vibranti i personaggi. Certe volte c’è da chiedersi come facciano degli esseri umani ad incarnare e restituirci con così tanta verità le vite altrui. Tra gli attori protagonisti ci sono i premi Oscar Anne Hataway, Helen Mirren e Morgan Freeman, ma anche gli altri attori, meno noti, spiccano qui con interpretazioni di grande intensità. Vale la pena di fare lo sforzo di vedere le opere in lingua originale perché la voce è corpo, certe volte, più del corpo stesso.

Un’altra questione interessante è che, curiosamente, molti siti presentano “Solos” come una “antologia di monologhi” ma, in realtà, quasi ogni puntata nasce e si basa su un dialogo. L’altro personaggio in scena è, anzi, il mezzo stesso dell’esplorazione della vicenda.

Questo impianto narrativo sembra ricordarci che non esiste la solitudine assoluta: “Nessun uomo è pura persona, nessuno è pura individualità” (Buber, 1923), per sentirmi solo ho bisogno di un altro da cui mi ritiro o che mi abbandona. In Solos questo “altro” che parla con il personaggio è la condizione necessaria perché la solitudine diventi evidente. Ma a ben vedere la presenza dell’interlocutore è anche un riconoscimento che quel vissuto resta “cosa umana”. Se sparisce l’interlocutore, sparisce anche il mondo.

In fondo, in analisi, sappiamo bene quanto il dialogo sia il luogo più profondo dell’incontro con la (propria) umanità. In seduta siamo in due, eppure è il paziente che è al centro dell’avventura. L’analista offre una presenza maieutica e rispettosa. É proprio questa presenza misurata che permette le introspezioni più coraggiose e potenzialmente trasformative. Talvolta l’analista è un testimone, talvolta uno specchio, talvolta una reale alterità: l’esperienza clinica ci insegna di quante sfumature di “Altro” necessita l’Io per incontrare sé stesso.

Così, in “Solos”, i personaggi raccontano sé stessi grazie alla presenza dell’altro, anche se questo non è sempre tollerabile (ad esempio perché non sempre è senza desiderio e senza memoria). Non è un caso che quando nei racconti l’alterità è assente o l’inaccettabile, le vicende narrate siano più disperate- accade così anche nella realtà. Allo stesso modo laddove, attraverso il dialogo, si può sia conoscere sé stessi, sia accorgersi del proprio interlocutore, si accende una scintilla che rende tollerabile il dolore.

“Solos” mi ha fatto molto pensare ai miei pazienti, a certe sedute in cui succedono molte cose in meno di un’ora e mi ha fatto ricordare una frase che sentii dire da Borgna durante un convegno: “Talvolta il più arduo dei nostri compiti è proprio far sentire a chi soffre che non è solo, che non è caduto fuori dai confini dell’umanità”.

Bibliografia

Buber M. (1923).“Io e Tu”. In Il principio dialogico, Milano, San Paolo, 1954.

Agosto 2021

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