Cultura e Società

The Affair. Recensione di Paolo Boccara

21/11/16

Ideata da creata da Sarah Treem e Haga Levi, Usa 2014-2015, 2 stagioni, 22 episodi, in uscita terza stagione

Genere Period Drama

Sito ufficiale http://www.sho.com/the-affair

Su Sky On Demand e Sky Box Sets

 

Commento di Paolo Boccara

The Affair narra la relazione tra Noah e Alison. Noah Solloway (Dominic West) e Alison Lockhart (Ruth Wilson) si conoscono nella località turistica di Montauk, negli Hamptons. Lui, sposato e padre di quattro figli, è un professore di New York che ha terminato un romanzo e che sta tentando di scriverne un’altro. Lei, originaria di Montauk, prima infermiera, lavora adesso come cameriera in un ristorante e sta provando a controllare l’equilibrio della sua vita e del suo matrimonio dopo la drammatica morte del figlio piccolo. Lui si è unito molti anni fa con una donna ricca, figlia di un romanziere di successo, grazie alla quale può permettersi di vivere in una bella casa di Brooklyn.

Lei vive con un marito taciturno, che gestisce con la sua numerosa famiglia un ranch e che è in costante crisi coniugale, in seguito alla loro devastante perdita.

Noah e Alison si parlano, la “chimica” si accende istantanea, il tradimento dei rispettivi coniugi è inevitabile …

The Affair non è un qualsiasi film sulle vicissitudini extraconiugali di una coppia. È una serie televisiva tuttora in programmazione con una sua peculiarità: le puntate (della durata di circa un’ora) sono divise in due parti di trenta minuti ciascuna, con la stessa vicenda narrata dal punto di vista sia di Noah sia di Alison. In uno stesso episodio, per esempio, una gita sulla spiaggia dove si consuma per la prima volta il loro rapporto, viene ricordata e raccontata con particolari non sempre coincidenti.

Chi si è proposto per primo? Cosa esattamente, in un comportamento di Noah, ha generato il malumore di Alison? Cosa Noah ricorda di Alison mentre descrive un particolare luogo lungo la costa e come Alison ricorda di averlo proposto?

Il più delle volte gli eventi corrispondono nelle due versioni, ma non la maniera con cui si è giunti fino a quel punto.

Come Freud aveva già intuito, ciò che viene immagazzinato nella memoria non sono riproduzioni esatte di ciò che è percepito, ma tracce mnestiche che, nell’incontro con personali aspetti interni o specifiche realtà esterne, possono riattivarsi in modo differente, manifestandosi non solamente o necessariamente attraverso la rappresentazione verbale, ma anche attraverso il registro del “non verbale”.

Da allora abbiamo scoperto che i nostri ricordi non sono “nastri riavvolgibili” su cui è incisa una realtà oggettiva che si ripropone uguale a se stessa, a comando, ma che sono condizionati da una molteplicità di elementi e che, soprattutto, raccontano un’esperienza già metabolizzata, nel momento in cui viene vissuta dalle nostre emozioni, dalla capacità, o predisposizione o addirittura necessità di vivere coscientemente il presente estraniandoci con la mente per sfuggire ad altri stati mentali potenzialmente disturbanti. Persino la successione dei tempi, nel ricordo, può andare incontro a delle modificazioni. Quello che ci accade dipende da come percepiamo ciò che ci accade.

Le puntate di The Affair ci convincono ancora una volta quindi che le “verità” hanno configurazioni diverse e che i ricordi tendono ad alterarle. Ogni “versione” di Noah e di Alison ha spesso sostanziali e sorprendenti differenze che modificano la percezione di chi le ascolta: dalla caratterizzazione dei protagonisti, alle espressioni del loro volto e dei loro interlocutori, al tono usato nelle conversazioni, alla scelta dei vestiti, all’ordine temporale degli eventi. E ad ascoltarle non siamo solo noi di fronte allo schermo, ma anche, nel racconto cinematografico, un detective che interroga i due protagonisti per scoprire in loro forse l’autore di un omicidio, avvenuto proprio nei mesi in cui accadono quelle particolari vicende.

E anche se, come spettatori attenti agli eventi, non dovremmo disinteressarci di quel particolare interlocutore di entrambi (come nella più famosa serie, True Detective), ci accorgiamo via via di non ragionare più come fa lui per i suoi (buoni) motivi professionali. Arriva, infatti, un certo punto nella puntata in cui non siamo più impegnati a scoprire se quelle che vediamo sono ricordi oppure bugie, o se c’è una versione più autentica dell’altra, o se l’investigatore sta fingendo anche lui, o se c’è un ulteriore livello della storia che ancora ignoriamo. Veniamo via via presi dalla descrizione delle diverse emozioni dei personaggi di fronte allo stesso evento, partecipiamo allo stato d’animo dell’uno o dell’altro sapendo cosa l’altro ha provato in quella stessa circostanza, ci rendiamo conto di come ognuno costruisce una sua realtà che dipende dalla propria storia passata e dalle circostanze di quel particolare momento della propria vita.

Di fronte alle immagini dello schermo con questastruttura bidimensionale”, siamo colpiti ancora una volta dall’ambiguità del ricordo (e della narrazione) e sentiamo com’è proprio “il doppio punto di vista” ciò che svela veramente i personaggi: di come sono e del perché di quello che fanno. Ci ritorna in mente di come e quanto le storie che ci raccontiamo (e che come terapeuti ci narrano i nostri pazienti) sono filtrate dalla soggettività di ciascuno. Di quanto la nostra memoria dipenda dalle emozioni provate, di come il ricordo non possa essere mai considerato oggettivo e del fatto che nessuno di noi è davvero in grado di sapere “come”, “quando” e “quanto”. E alla fine vediamo ancora una volta che ricostruire con qualcun altro un avvenimento del passato, è come mettere insieme le tessere di un mosaico, solo che i frammenti, spesso, non si adattano sempre gli uni agli altri. Anche perché un ricordo è una storia che ognuno di noi si racconta e perché la narrazione ha i suoi principi, le sue strutture (per quanto fragili) e soprattutto una voce che non può, mai, essere neutrale.

L’originalità della struttura del racconto di The Affair sta allora proprio nell’indurre a soffermarsi sui vissuti dei personaggi, sulla complessa e articolata trama di cause che conducono a un fatto, sospendendo il giudizio, avvicinandosi all’altro da noi e alla sua diversità dagli altri, esattamente come facciamo nella nostra stanza di analisi. Si giunge sempre a un posto, ma per vie diverse e, alla fine di ogni puntata, Alison e Noah con i loro racconti, ci fanno arrivare più o meno al loro stesso punto, ma coinvolgendoci e conducendoci per strade limitrofe, passando per le loro stesse emozioni attraverso i fragili pretesti riconoscibili dietro ogni loro decisione.

Nei suoi momenti migliori, le storie di The Affair ci risuonano dentro perché ci dicono qualcosa di come funziona la nostra mente e del nostro modo di rapportarci con gli altri: siamo noi i protagonisti delle storie che ci raccontiamo e il più delle volte tendiamo a giustificarci il più possibile per le nostre scelte. Soprattutto, ci dimostrano che l’esperienza di noi stessi è multipla e discontinua e, nello stesso tempo, in rapporto dinamico con le diverse parti del nostro Sé. Parti più o meno formate, integrate, variamente modellate dalla storia del soggetto e attivate dalla diversità dei contesti e delle relazioni.

Nel mettere in scena l’imprendibile relatività del vero, il brillante drama concepito da Hagai Levi e Sarah Treem (gli stessi autori, tanto per intenderci, di In Treatment) non descrive banalmente due diverse angolazioni, ma propone continuamente due “mondi narrativi”, che occupano due piani esistenziali diversi, legati a loro volta da uno stretto rapporto.

E quest’aspetto è fondamentale ai fini strutturali perché così, come spettatori, ci sentiamo trascinati (come e forse ancor più che nei film dello stesso genere), in un’atmosfera in cui è facile rivedere se stessi o qualcuno a noi vicino. Affezionandoci ai personaggi, proviamo sensazioni diverse di fronte all’ineluttabilità dello sfaldamento di certe coppie matrimoniali e alla riproposizione nella nuova coppia delle stesse dinamiche da cui ci si voleva allontanare. I caratteri in gioco sono sostanzialmente dipendenti dalle relazioni esistenti nella storia e, considerato che ogni interprete recita almeno due personaggi, non esiste un personaggio completamente positivo o negativo, non ci sono buoni e cattivi: tutti ripetono gli stessi errori, tutti vogliono essere capiti, tutti possono essere rifiutati. E lo spettatore, nel partecipare soggettivamente a questi incastri, non diventa necessariamente giudice o carnefice, ma viene indotto a riflettere su com’è la vita stessa a proporre continuamente tante diverse versioni delle stesse persone.

I diversi racconti accendono così un brillante e impietoso riflettore sulla soggettività umana, sui modi in cui ci illudiamo e ci prendiamo in giro, sui piccoli e particolarissimi egoismi che ci permettono di sopravvivere, ed è forse per questo che, se inizialmente siamo indecisi se essere dalla parte o di Noah o di Alison, alla fine riusciamo intimamente a comprendere le loro diverse e legittime motivazioni, interessandoci alternativamente a entrambi.

Alla fine The Affair colpisce per la sua scrittura profonda e articolata, per una grande attenzione ai particolari, oltre che per degli attori tutti eccellenti. Una serie televisiva che conferma di come da sempre molti film hanno avuto la capacità di contribuire a farci capire il mondo in cui viviamo con gli altri e il mondo dentro di noi, con una sorprendente capacità di raccontarci qualcosa. Attraverso immagini, personaggi, storie, musiche si rappresentano ancora una volta parti di noi stessi inespresse, lasciate fuori dalla nostra mente, non solo vissute e poi rimosse, ma anche non rappresentate mentalmente. “Inquilini” inattesi che abitano quella specie di condominio affollato che è la nostra mente.

Novembre 2016

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